
A confermare il fatto che la norma sullo scudo fiscale fosse nota a tutto l'esecutivo, c'è la benedizione venuta anche dalle Entrate. Lo stralcio porterebbe 600 milioni di coperture in meno. L'effetto immediato è indebolire il governo ora che con Bruxelles è guerra.Mercoledì pomeriggio, durante le registrazioni di Porta a Porta, il vicepremier, Luigi Di Maio, lancia una bomba senza precedenti. Accusa una «manina» di aver modificato l'articolo 9 del decreto fiscale «diretto al Colle», aggiungendo che avrebbe al più presto provveduto a sporgere denuncia contro alla Procura. Mezz'ora dopo arriva la prima risposta. Il Quirinale nega di aver mai ricevuto il testo. Dopo un'altra mezz'ora interviene il premier, Giuseppe Conte, il quale cerca di mettere una grossolana toppa. «Il testo non è mai andato al Colle perché è nelle mie mani», commenta. Ma il danno è fatto, perché le reazioni successive smentiscono la teoria esposta dal leader grillino. Nessuna manina avrebbe modificato alcunché.L'articolo 9 in entrata al Consiglio dei ministri di lunedì, secondo i vertici leghisti, è identico a quello in uscita. Il viceministro, Massimo Garavaglia, conferma ai microfoni delle tv nazionali: Il testo? Lo conoscevano tutti», afferma di fatto rivendicando la paternità della pace fiscale e dell'estensione dello scudo per i capitali detenuti all'estero. In effetti a preparare il testo sono stati soprattutto Massimo Bitonci, sottosegretario all'Economia, e il professore Maurizio Leo, esperto di temi fiscali e deputato leghista. Ma a quanto risulta alla Verità, quel «lo sapevano tutti» di Garavaglia si riferirebbe anche ad altri funzionari pubblici. A visionare il testo e a fornire suggerimenti tecnici sarebbe stata anche l'Agenzia delle entrate. Tant'è che lo zampino del fisco emerge qualche riga più in basso rispetto all'articolo 9. I vertici del fisco avrebbero ottenuto un allungamento di tre anni dei tempi di prescrizione. In poche parole il testo farebbe da scudo sul reato di autoriciclaggio, ma lascerebbe poi la mano libera per altri tre anni agli 007 del fisco per rintracciare i reati commessi in Italia e legati all'evasione nel caso di riutilizzo dei capitali rimpatriati. Le motivazioni di tale schema sarebbero da inquadrare nella necessità di portare a casa più gettito favorendo ed evitando il fallimento della voluntary disclosure bis. Quando l'obiettivo è diventato di dominio pubblico, Di Maio avrebbe deciso di ribaltare il tavolo e alzare i toni. Nessuno scrupolo a incolpare presunte manine, l'importante è far vedere al proprio elettorato che i 5 stelle in nessun modo possono favorire l'imprenditore brianzolo che ancora detiene un po' di soldi all'estero. L'input sarebbe arrivato al leader grillino dopo una riunione con i capigruppo, con alcuni presidenti di commissione (ad esempio Carla Ruocco) e pure con il presidente della Camera, Roberto Fico. Quest'ultimo avrebbe pigiato il piede sull'acceleratore del dissenso chiedendo a Di Maio di prendere le distanze. Il timore di Fico è quello che gli elettori pentastellati credano che tutte le proposte della Lega si realizzino a discapito di quelle promosse dalla componente gialla del governo. Da qui la sparata ad alzo zero, che ha pure volutamente coinvolto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il primo risultato ottenuto è stato quello di ributtare la palla sulla scrivania di Conte con l'obiettivo di mettere all'angolo la Lega. Senza un nuovo Consiglio dei ministri, il testo sarebbe finito in Parlamento con un'accoglienza vicina a quella che i vietcong riservavano ai marine Usa. Nemmeno Matteo Salvini si può augurare un tale naufragio. Al tempo stesso, l'eventuale rimozione dell'articolo 9, quello contestato, procurerebbe una perdita di gettito di circa 600 milioni in tre anni. Poca roba, viene da dire, ma comunque un vulnus che imporrebbe al governo di rivedere l'intero schema delle coperture. In pratica, partirebbe un nuovo round di trattative dentro le due componenti del governo. È chiaro però che la frattura potrebbe essere saldata nel breve termine ma la rottura della fiducia diventa un asset più difficile da recuperare. Il sottosegretario Giancarlo Giorgetti è stato il primo motore del governo, colui che ha spinto più di tutti per l'alleanza gialloblù. Adesso il suo atteggiamento, dicono gli osservatori dei corridoi romani, è molto cambiato. In molti sono convinti che lo stesso numero due del Carroccio stia incontrando imprenditori, sindaci e rappresentanti della cosiddetta società civile per capire quali margini di manovra e di sostegno ci siano in caso di rottura con i grillini. Le prossime ore saranno significative per capire se Salvini abbia deciso di ascoltare i sentimenti di Giorgetti o mantenere la propria strada. Nel secondo caso c'è da spettarsi un riavvicinamento a Di Maio. Il primo caso è però quello più gettonato. Se così fosse, il governo romperebbe sul più bello, proprio quando c'è da ribattere all'Europa e quando le banche e parte del sistema finanziario hanno iniziato ad aprire linee di credito ai populisti. Romperebbe, per giunta, per un comma che vale al massimo 600 milioni in tre anni, quando in ballo ci sono solo per il 2019 15 miliardi di euro per reddito di cittadinanza, quota 100 e infrastrutture.
Federico Fubini (Ansa)
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