2023-04-04
La malattia di Saied inguaia l’Italia. La Tunisia a rischio guerra civile
Stamani a Palazzo Chigi summit sul piano per fermare i flussi. Centrale la cooperazione coi Paesi di partenza. Lo stato di salute del leader africano però preoccupa: se morisse, non è prevista successione. Sarebbe il caos.Si complica la situazione in Tunisia, prima nazione di partenza dei migranti arrivati in Italia nel 2023, dopo che da giorni circolano voci allarmanti sullo stato di salute del presidente della Repubblica Kais Saied, accanito fumatore, che non compare in pubblico dal 23 marzo scorso, quando è stato ripreso in occasione dell’uscita da una moschea per la rituale preghiera serale del Ramadan. Secondo quanto riferito da Rafik Abdessalem, genero del leader del movimento islamico Ennahda ed ex ministro degli Esteri, il capo dello Stato è stato ricoverato nell’ospedale militare di Tunisi a seguito di gravi problemi di salute. Il ministro della Sanità tunisino Ali Mrabit si è rifiutato di rispondere alle domande dei giornalisti sulla presunta malattia del presidente. Mentre scriviamo il presidente del Fronte di salvezza nazionale, principale coalizione dell’opposizione, Ahmed Nejib Chebbi, ha chiesto al governo di fornire chiarimenti in ordine allo stato di salute del presidente in occasione di una conferenza stampa ripresa da Mosaique Fm: «Siamo a conoscenza, dal primo giorno, della malattia del capo dello Stato ma abbiamo preferito aspettare perché la nostra lotta contro di lui è politica, ma oggi quando alcuni media hanno iniziato ad affrontare l’argomento, abbiamo deciso di parlarne». Alcune fonti diplomatiche contattate da Agenzia Nova hanno confermato che il sessantacinquenne Kais Saied è stato effettivamente ricoverato lo scorso 30 marzo dopo aver accusato un leggero infarto. Il presidente sarebbe stato sottoposto subito a un intervento chirurgico e si troverebbe al Palazzo di Cartagine, sede dell’amministrazione presidenziale. Secondo le stessi fonti il giurista, professore di diritto costituzionale, che dall’ottobre 2019 è presidente della Repubblica tunisina e che ha accentrato a sé tutti i poteri, dovrebbe tornare al lavoro mercoledì 5 aprile. Se accadrà sarà certamente una buona notizia, tuttavia il suo stato di salute non può che preoccupare visto che se dovesse ammalarsi gravemente, oppure morire, la costituzione del 2022 non prevede che qualcuno gli possa subentrare. Quindi il Paese resterebbe in uno stallo politico istituzionale pericolosissimo, con il rischio che i fondamentalisti islamici possano sfruttare il momento di debolezza delle istituzioni. Tutto questo la Tunisia non se lo può permettere, visto che sta faticosamente tentando di ottenere un prestito da 1,9 miliardi dollari dal Fondo monetario internazionale per evitare il default che secondo gli esperti potrebbe arrivare tra sei, nove mesi al massimo. L’Italia è in prima linea per aiutare la Tunisia (anche per ottenere il prestito), e proprio stamattina a Palazzo Chigi è in programma un vertice convocato dal primo ministro Giorgia Meloni per fare il punto sul piano per contrastare gli arrivi di centinaia di migliaia di migranti previsti per i prossimi mesi. Nel piano sviluppato in nove punti c’è il coinvolgimento di alcuni Paesi europei e della Commissione europea nella gestione dei flussi, il sostegno dei Paesi del Nord Africa, uno su tutti la Tunisia, in piena crisi economica e sociale, oltre a rinforzare gli accordi già esistenti con gli altri partner, ad esempio quelli nei Balcani. Si tratta di un progetto molto complesso, al quale lavorano di concerto con il governo i ministri dell’Interno e degli Esteri, Matteo Piantedosi e Antonio Tajani, insieme ai vertici dell’intelligence nazionale. A proposito dei servizi segreti italiani, da mesi vengono monitorate le mosse dei trafficanti che hanno contribuito all’aumento della partenze dalle coste libiche di Tobruk e di Bengasi, amministrate dal generale Khalifa Haftar. Per limitare le partenze verso l’Italia, nel piano del Viminale e della Farnesina c’è un passaggio imprescindibile: bisogna siglare accordi con i Paesi di provenienza dei migranti. A fine marzo erano operativi quelli con Costa d’Avorio, Guinea, Pakistan, Bangladesh, Tunisia, Egitto, Camerun, Siria, Mali, Burkina Faso. Visti i numeri occorre aumentare anche i rimpatri ed in tal senso nel piano c’è la concretizzazione delle intese già raggiunte con Tunisia, Costa d’Avorio, Egitto e Gambia, in modo che accolgano loro i connazionali giunti sulle coste italiane con lo status di irregolari che vengono per questo espulsi. Qui il passaggio è delicatissimo perché occorre coinvolgere anche Niger, Guinea, Mali, Camerun, Burkina Faso, Bangladesh e Pakistan. A proposito di rotta balcanica, durante Vinitaly il vice premier Antonio Tajani ha incontrato a Verona i presidenti di Serbia e Albania, Aleksandar Vucic ed Edi Rama, e in seguito i ministri degli Esteri austriaco e bosniaco, Alexander Schallenberg e Elmedin Konakovic: «Siamo d’accordo contro il traffico di essere umani», ha spiegato Tajani, «la lotta deve essere fermissima, non può essere soltanto italiana, serve il coinvolgimento di tutti, dell’Europa e delle Nazioni unite: vogliamo colpire coloro che stanno dietro allo scafista manovale, ovvero gli organizzatori». Poi il vice premier e ministro degli Esteri ha parlato dell’immigrazione regolare: «Le nostre imprese hanno bisogno di lavoratori nei settori industriale, servizi e agricolo». Concetti ribaditi ieri a Roma da Tajani quando ha incontrato altri sei ministri dei Paesi balcanici ai quali ha spiegato come il piano preveda il rafforzamento delle relazioni esistenti, ed in particolare con Croazia e Slovenia, in modo da ridurre gli ingressi via terra oltre alla stabilizzazione dell’area dal punto di vista economico e politico per frenare i trafficanti ma anche per contrastare l’influenza russa.
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