2022-06-03
La malaparata di Mattarella con l’elmetto
Festa della Repubblica come festival dell’ipocrisia. Il presidente parla di forze armate impegnate per la pace mentre sfilano le armi inviate in Ucraina per combattere Mosca. Gli ambasciatori russo e bielorusso non invitati al Quirinale: «L’ha voluto l’Ue».La festa della Repubblica, anzi il festival dell’ipocrisia. La parata militare del 2 giugno che si è svolta ieri a Roma dopo due anni di interruzione a causa della pandemia resterà nella storia per il tentativo maldestro delle istituzioni, a partire dal Quirinale, di sfumare il più possibile, per non dire nascondere, la realtà: le armi che abbiamo visto sfilare, blindati e missili compresi, sono le stesse che da mesi vengono inviate in Ucraina per combattere contro la Russia. La parata militare di ieri, in fin dei conti, è stata quella di una nazione in guerra, seppure per procura. Stride con la realtà storica, e amplifica la percezione di un grottesco tentativo di mistificare la verità, lo slogan scelto per la manifestazione: «Insieme a difesa della pace». Da vero «falco» e pieno di contraddizioni il messaggio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Capo di Stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. Mattarella, infatti, non nasconde la sua linea improntata al bellicismo: «Le aggressioni ai civili», scrive Mattarella, «le devastazioni delle città nel cuore della nostra Europa, pensavamo appartenessero a un passato remoto, ma la drammatica cronaca di questi giorni ci ricorda come stabilità e pace non sono garantite per sempre. Una pace basata sul rispetto delle persone e della loro dignità», aggiunge Mattarella, «dei confini territoriali, dello Stato di diritto, della sovranità democratica; una pace basata sull’utilizzo della diplomazia come mezzo di risoluzione delle crisi tra nazioni».Mattarella parla di diplomazia ma non ammette alcuna ipotesi di trattativa che non parta dalla umiliazione della Russia, «che deve ritirarsi dai territori occupati». «La repubblica italiana», aveva infatti puntualizzato 24 ore prima il presidente, «è convintamente impegnata nella ricerca di vie di uscita dal conflitto che portino al ritiro delle truppe occupanti». Per il capo dello Stato, dunque, la strada da seguire, anche attraverso l’utilizzo delle armi italiane, è quella della riconquista dei territori occupati da parte dell’esercito ucraino. «L’Italia e tutta la comunità internazionale», aggiunge il presidente della Repubblica, «hanno un ruolo centrale nel favorire il dialogo. Dobbiamo farlo uniti, insieme». Favorire il dialogo? Come no: sarà proprio per favorire il dialogo che l’altro ieri sera gli ambasciatori di Russia e Bielorussia non sono stati invitati alla cerimonia al Quirinale, seguita da un concerto eseguito dall’orchestra del Teatro La Fenice diretta dal maestro sudcoreano Myung Whun Chung. Suscita amarezza ancora maggiore la spiegazione del mancato invito: «Così ha deciso l’Unione europea». Mai, nella storia recente del nostro Paese, il Quirinale e il Vaticano sono stati così lontani, così agli antipodi: papa Francesco invita alla Via Crucis una donna russa e una ucraina e le mette una vicina all’altra a reggere la croce, Mattarella si fa dettare da Bruxelles la lista degli invitati al concerto per la festa della Repubblica, alla faccia della sovranità nazionale.Il presidente ha poi accolto nei giardini del Quirinale 2300 cittadini «selezionati tra persone con fragilità». «La Repubblica», dice ancora Mattarella, «è impegnata a costruire condizioni di pace e le sue Forze armate, sulla base dei mandati affidati da governo e Parlamento, concorrono a questo compito». Traduzione: anche se almeno metà delle forze politiche presenti in Parlamento chiede di discutere sull’invio di altre armi dopo 100 giorni di guerra, Mattarella, in altre occasioni sempre pronto a richiamare la centralità del Parlamento, si schiera dalla parte di chi ritiene sufficiente il decreto varato dal governo dopo due giorni di conflitto, senza tener nel minimo conto, oltretutto, la contrarietà della maggioranza del popolo italiano, segnalata da tutti i sondaggi oltre che dall’esperienza quotidiana di ciascuno di noi.Sul palco, tra gli altri, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, il presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, il presidente della Camera, Roberto Fico, il presidente della Corte Costituzionale, Giuliano Amato, ministri vari. La cronaca della parata è quella classica: deposizione della corona d’alloro all’Altare della Patria, sfilata di reparti e armamenti, elicotteri, mezzi pesanti, blindati, missili, frecce tricolori. Impossibile non immaginare questi armamenti operativi in Ucraina, mentre nelle stesse ore il segretario generale dell’Interpol, Jurgen Stock, avverte che le armi che stiamo mandando a Kiev, «anche quelle pesanti, saranno disponibili sul mercato criminale. I criminali di cui parlo», precisa Stock, «operano a livello globale, quindi possiamo attenderci un arrivo di armi in Europa e anche oltre in tutti i continenti».Per la prima volta alla parata partecipano anche le professioni sociosanitarie, con in testa il ministero della Salute, per celebrare la ripresa dopo l’emergenza Covid. Non si vede una mascherina che sia una, mentre gli studenti di terza media e quinta superiore saranno obbligati a sostenere gli esami di Stato imbavagliati, con temperature roventi. Di loro, al festival dell’ipocrisia, non si ricorda nessuno.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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