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2020-07-23
La Lamorgese ci prende in giro. Accoglie infetti e jihadisti ma mette all’erta sulla movida
Luciana Lamorgese (Salvatore Laporta/Kontrolab/Getty images)
Luciana Lamorgese è molto preoccupata, perché sul territorio italiano si muovono individui pericolosi, il cui comportamento irresponsabile potrebbe vanificare tutti gli immani sforzi compiuti dai nostri connazionali durante l'isolamento. Ah, pensate che si riferisca ai migranti che arrivano a frotte? Ma no, che avete capito… Il vero pericolo giunge della «tribù degli aperitivi», dai giovanissimi e dai quarantenni che infiammano la movida e per cui il ministro dell'Interno invoca controlli più severi. Ieri, intervistata da Il Mattino, la Lamorgese si è pronunciata sulle «modalità caotiche della cosiddetta movida» e ha spiegato che «da parte delle istituzioni, della scuola e delle stesse famiglie è necessario anche uno sforzo più incisivo per informare e rendere più consapevoli i giovani, e non solo loro, sui rischi reali che stiamo correndo».
Di fronte a frasi del genere, sorge il serio sospetto che il ministro ci stia prendendo in giro. Ma quale scuola dovrebbe informare i giovani? Quella che ancora non sappiamo se e come riaprirà? Andiamo bene. E le famiglie? Davvero vogliamo dire agli italiani che ancora, dopo tutti questi mesi di sacrifici, non hanno fatto abbastanza? Quale «informazione» in più dovrebbero fornire ai ragazzi? Soprattutto: con quale faccia si scarica il bidone nelle mani dei cittadini quando le istituzioni sono le prime a creare pericoli e a fregarsene delle reali esigenze della popolazione?
Il fatto è che la Lamorgese viene a parlarci di movida e di aperitivi, ma intanto sulle coste italiane sono sbarcate la bellezza di 10.463 persone, contro le 3.428 registrate nello stesso periodo dell'anno scorso. Tra i nuovi arrivati, come sappiamo, molti sono risultati infetti. Ma il ministro non sembra preoccupato. «Due giorni fa», dice, «sono andata a Lampedusa per verificare la situazione e ho potuto rassicurare il sindaco Totò Martello sull'impegno del governo a non lasciare sola anche la sua comunità». Certo, fatto sta che nell'hotspot di Lampedusa ci sono attualmente 400 persone: cifra da collasso. Ogni giorno si contano centinaia di nuovi stranieri in ingresso, però la Lamorgese è tranquilla: «Il test sierologico viene eseguito su tutti i migranti che sbarcano sull'isola grazie al servizio sanitario della Regione Siciliana, e i nuovi arrivati vengono trasferiti in tempi brevi verso altre destinazioni». Ah, e questo dovrebbe rasserenarci? Lampedusa continua a essere sotto pressione, in compenso centinaia di stranieri vengono sparsi altrove: giusto ieri 200 tunisini sono stati spediti a Porto Empedocle (Agrigento). Il risultato di queste politiche lo conosciamo: i migranti intasano i centri in vari luoghi della Penisola e spesso e volentieri si danno alla fuga.
Quanto accaduto in Basilicata, ad esempio, è fuori dalla grazia di Dio. Come noto, la regione è stata fra le meno colpite dal coronavirus, tanto da meritarsi il titolo di «Covid free». Visto che la situazione era tranquilla, che cosa ha fatto il ministero? Ha pensato bene di trasferire in Basilicata un bel gruppo di bengalesi che sono poi risultati positivi. Questi signori sono approdati a Lampedusa, e da lì spostati ad Agrigento. Hanno fatto il test sierologico, proprio come ha detto la Lamorgese. Poi, però, quando sono stati sottoposti al tampone, ben 36 sono risultati infetti. E adesso se ne stanno in un territorio che fino a qualche tempo fa era libero dalla pandemia. Però, secondo il ministro, il problema è la movida…
Se non bastasse il Covid, poi, ci sono pure altre bellezze. È la stessa Lamorgese a confermare al Mattino che in Italia «sono stati rintracciati soggetti radicalizzati che risultavano già espulsi». In pratica continuano ad arrivare, oltre ai contagiati, pure i terroristi islamici, tanto per non farsi mancare niente. Il pensiero del ministro, tuttavia, va ai tunisini, un popolo a cui «dobbiamo tendere la mano» perché il loro Paese «sta attraversando una grave crisi economica dovuta al Covid-19». Già, l'Italia invece la crisi non la sente nemmeno un po'…
Il concetto, in ogni caso, è chiarissimo: il problema, al solito, è costituito dagli italiani indisciplinati, mica dagli stranieri che entrano a mucchi e vengono distribuiti in giro cosicché possano darsi alla macchia, aggredire i militari (è accaduto in un centro di accoglienza siciliano) o aumentare il pericolo di contagio. Infatti la Lamorgese non ci pensa nemmeno a escogitare misure più rigide per bloccare gli arrivi. Macché: insiste a voler cambiare i decreti sicurezza, anzi a sentir lei è già tutto pronto. «Il tavolo istituito al Viminale è vicino al traguardo», afferma. «Nei prossimi giorni avremo un testo finalmente condiviso con le modifiche che, ci tengo a ricordare, riguardano esclusivamente le norme sull'immigrazione».
Che meraviglia: finalmente le leggi del perfido Matteo Salvini verranno annientate, le Ong avranno meno difficoltà, gli arrivi saranno più sicuri, i centri torneranno a riempirsi (anche perché è diventato ancora più difficile rimpatriare gli stranieri, specie se nei Paesi d'origine è diffuso il Covid) e noi ci sentiremo tutti più generosi. E se poi decine di infetti vengono spediti a turbare gli equilibri di una regione «Covid free», pazienza. Per essere buoni bisogna pur soffrire un po', no?
Abusata a 5 anni. L’«orco» è il vicino romeno
Quando l'orco è il vicino di casa. È successo a Ostia, il mare della Capitale, dove una bambina di 5 anni è stata violentata dal vicino di casa, D.C., nato in Romania. La bambina era stata affidata all'uomo dal padre, anche lui romeno. D.C, 32 anni, residente a Ostia, nella zona dell'Idroscalo, famosa perché lì, il 2 novembre 1975, veniva ammazzato Pier Paolo Pasolini, è stato arrestato con l'accusa di violenza sessuale aggravata dalla minore età della vittima e portato nel carcere di Regina Coeli. A eseguire l'arresto la polizia giudiziaria del commissariato di Ostia, diretto da Eugenio Ferraro, che ha eseguito l'ordinanza emessa dal gip del Tribunale di Roma, a seguito di un'indagine coordinata dal pool specializzato della Procura romana.
Il fatto sarebbe accaduto lo scorso 26 giugno quando il padre della vittima, operaio di un cantiere navale di Ostia, per un imprevisto impegno di lavoro ha affidato per un paio d'ore i suoi figli, la bambina di 5 anni e il fratellino di 2, al vicino di casa, nonché amico di famiglia. Poco tempo dopo, appena rientrata a casa, la mamma era andata a riprendere i figli e la bambina subito le aveva raccontato cosa era successo nell'abitazione dell'amico di famiglia: il mostro l'aveva palpeggiata ripetutamente, aveva abusato sessualmente di lei. All'arrivo del papà, la giovane coppia aveva portato la piccola all'ospedale Grassi, dove i medici hanno riscontrato sintomi compatibili con la violenza riferita dalla bambina. Ascoltata poi in audizione protetta dagli investigatori, con l'aiuto di una psicologa, la bambina aveva confermato quanto aveva già confidato alla mamma, raccontando tutti i dettagli di quella violenza subita aggiungendo, peraltro, che l'amico di famiglia si era fermato dal fare quei palpeggiamenti ripetuti nel momento in cui aveva sentito il rumore dell'auto della madre che stava rientrando a casa.
Disperati ed esterrefatti i genitori che fin dal primo momento hanno raccontato di fidarsi del trentaduenne e che mai avrebbero sospettato che fosse capace La bambina è stata poi ascoltata in audizione protetta dagli investigatori, con l'aiuto di una psicologa, e ha confermato quanto aveva già detto alla mamma, raccontando i dettagli della violenza subita e precisando che l'uomo si era fermato a palpeggiarla nel momento in cui aveva sentito il rumore dell'auto della madre che stava rientrando a casa. Disperati ed esterrefatti i genitori che hanno raccontato agli inquirenti come mai avrebbero sospettato che l'uomo, di cui avevano piena fiducia, fosse capace di violentare la loro bambina.
Il romeno, che è incensurato, sulla base degli indizi raccolti, è stato arrestato direttamente nel cantiere in zona Trionfale dove lavora. Espletate le formalità di rito è stato portato nel carcere romano di Regina Coeli: per lui l'accusa è di violenza sessuale aggravata, in quanto commessa in danno di minorenne.
Non è la prima volta che l'orco è proprio il vicino di casa, la persona di cui spesso genitori indaffarati e senza altri aiuti si fidano e al quale affidano i loro figli. Lo scorso dicembre, per violenza sessuale, lesioni personali e violazione di domicilio è stato arrestato un romeno di 38 anni, residente a Sezze, in provincia di Latina. L'uomo, intorno alle 2 di notte, dopo aver infranto il vetro della porta d'ingresso ed essere entrato nell'appartamento di una sua connazionale di 35 anni, si era introdotto nella cameretta della figlia della donna, di 10 anni. L'aveva baciata e palpeggiata nelle parti intime poi aveva dato alla piccola 10 euro minacciandola affinché non raccontasse ad alcuno quanto accaduto. I genitori però, richiamati dalle urla della figlia, avevano fatto in tempo a vedere l'uomo in fuga e a denunciarlo.
Lo choc di Ostia per la squallida violenza ai danni della piccola romena violentata dal vicino, si aggiunge a quello della stessa Capitale dove martedì scorso una ventenne, all'uscita di un supermercato nello storico e famoso rione Testaccio, è stata trascinata da un dipendente in un vicolo laterale. L'uomo l'ha costretta prima a un rapporto orale e poi ha tentato di avere un rapporto completo. La ragazza è riuscita a divincolarsi, fuggire e poi a denunciare l'uomo, di 50 anni, che è stato arrestato dalla polizia per violenza sessuale. Era già noto alle forze dell'ordine. È stato bloccato dalla polizia all'interno dello stesso supermercato dove era ritornato a lavorare. La ragazza si era recata negli uffici di polizia per sporgere denuncia dopo essere stata visitata in ospedale.
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Per il ministro dell'Interno il pericolo viene della «tribù degli aperitivi». Non dai radicalizzati che risultavano espulsi né dai positivi sbarcati e smistati. Anche in Basilicata, che era Covid free.Arrestato a Ostia l'amico di famiglia cui i genitori di due bimbi avevano chiesto aiuto a causa di un impegno di lavoro improvviso L'uomo ha rivolto pesanti attenzioni alla più grande, che però ha riferito tutto alla mamma. La visita in ospedale, poi la denuncia.Lo speciale contiene due articoli Luciana Lamorgese è molto preoccupata, perché sul territorio italiano si muovono individui pericolosi, il cui comportamento irresponsabile potrebbe vanificare tutti gli immani sforzi compiuti dai nostri connazionali durante l'isolamento. Ah, pensate che si riferisca ai migranti che arrivano a frotte? Ma no, che avete capito… Il vero pericolo giunge della «tribù degli aperitivi», dai giovanissimi e dai quarantenni che infiammano la movida e per cui il ministro dell'Interno invoca controlli più severi. Ieri, intervistata da Il Mattino, la Lamorgese si è pronunciata sulle «modalità caotiche della cosiddetta movida» e ha spiegato che «da parte delle istituzioni, della scuola e delle stesse famiglie è necessario anche uno sforzo più incisivo per informare e rendere più consapevoli i giovani, e non solo loro, sui rischi reali che stiamo correndo». Di fronte a frasi del genere, sorge il serio sospetto che il ministro ci stia prendendo in giro. Ma quale scuola dovrebbe informare i giovani? Quella che ancora non sappiamo se e come riaprirà? Andiamo bene. E le famiglie? Davvero vogliamo dire agli italiani che ancora, dopo tutti questi mesi di sacrifici, non hanno fatto abbastanza? Quale «informazione» in più dovrebbero fornire ai ragazzi? Soprattutto: con quale faccia si scarica il bidone nelle mani dei cittadini quando le istituzioni sono le prime a creare pericoli e a fregarsene delle reali esigenze della popolazione?Il fatto è che la Lamorgese viene a parlarci di movida e di aperitivi, ma intanto sulle coste italiane sono sbarcate la bellezza di 10.463 persone, contro le 3.428 registrate nello stesso periodo dell'anno scorso. Tra i nuovi arrivati, come sappiamo, molti sono risultati infetti. Ma il ministro non sembra preoccupato. «Due giorni fa», dice, «sono andata a Lampedusa per verificare la situazione e ho potuto rassicurare il sindaco Totò Martello sull'impegno del governo a non lasciare sola anche la sua comunità». Certo, fatto sta che nell'hotspot di Lampedusa ci sono attualmente 400 persone: cifra da collasso. Ogni giorno si contano centinaia di nuovi stranieri in ingresso, però la Lamorgese è tranquilla: «Il test sierologico viene eseguito su tutti i migranti che sbarcano sull'isola grazie al servizio sanitario della Regione Siciliana, e i nuovi arrivati vengono trasferiti in tempi brevi verso altre destinazioni». Ah, e questo dovrebbe rasserenarci? Lampedusa continua a essere sotto pressione, in compenso centinaia di stranieri vengono sparsi altrove: giusto ieri 200 tunisini sono stati spediti a Porto Empedocle (Agrigento). Il risultato di queste politiche lo conosciamo: i migranti intasano i centri in vari luoghi della Penisola e spesso e volentieri si danno alla fuga.Quanto accaduto in Basilicata, ad esempio, è fuori dalla grazia di Dio. Come noto, la regione è stata fra le meno colpite dal coronavirus, tanto da meritarsi il titolo di «Covid free». Visto che la situazione era tranquilla, che cosa ha fatto il ministero? Ha pensato bene di trasferire in Basilicata un bel gruppo di bengalesi che sono poi risultati positivi. Questi signori sono approdati a Lampedusa, e da lì spostati ad Agrigento. Hanno fatto il test sierologico, proprio come ha detto la Lamorgese. Poi, però, quando sono stati sottoposti al tampone, ben 36 sono risultati infetti. E adesso se ne stanno in un territorio che fino a qualche tempo fa era libero dalla pandemia. Però, secondo il ministro, il problema è la movida…Se non bastasse il Covid, poi, ci sono pure altre bellezze. È la stessa Lamorgese a confermare al Mattino che in Italia «sono stati rintracciati soggetti radicalizzati che risultavano già espulsi». In pratica continuano ad arrivare, oltre ai contagiati, pure i terroristi islamici, tanto per non farsi mancare niente. Il pensiero del ministro, tuttavia, va ai tunisini, un popolo a cui «dobbiamo tendere la mano» perché il loro Paese «sta attraversando una grave crisi economica dovuta al Covid-19». Già, l'Italia invece la crisi non la sente nemmeno un po'…Il concetto, in ogni caso, è chiarissimo: il problema, al solito, è costituito dagli italiani indisciplinati, mica dagli stranieri che entrano a mucchi e vengono distribuiti in giro cosicché possano darsi alla macchia, aggredire i militari (è accaduto in un centro di accoglienza siciliano) o aumentare il pericolo di contagio. Infatti la Lamorgese non ci pensa nemmeno a escogitare misure più rigide per bloccare gli arrivi. Macché: insiste a voler cambiare i decreti sicurezza, anzi a sentir lei è già tutto pronto. «Il tavolo istituito al Viminale è vicino al traguardo», afferma. «Nei prossimi giorni avremo un testo finalmente condiviso con le modifiche che, ci tengo a ricordare, riguardano esclusivamente le norme sull'immigrazione». Che meraviglia: finalmente le leggi del perfido Matteo Salvini verranno annientate, le Ong avranno meno difficoltà, gli arrivi saranno più sicuri, i centri torneranno a riempirsi (anche perché è diventato ancora più difficile rimpatriare gli stranieri, specie se nei Paesi d'origine è diffuso il Covid) e noi ci sentiremo tutti più generosi. E se poi decine di infetti vengono spediti a turbare gli equilibri di una regione «Covid free», pazienza. Per essere buoni bisogna pur soffrire un po', no? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-lamorgese-ci-prende-in-giro-accoglie-infetti-e-jihadisti-ma-mette-allerta-sulla-movida-2646451303.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="abusata-a-5-anni-l-orco-e-il-vicino-romeno" data-post-id="2646451303" data-published-at="1595440852" data-use-pagination="False"> Abusata a 5 anni. L’«orco» è il vicino romeno Quando l'orco è il vicino di casa. È successo a Ostia, il mare della Capitale, dove una bambina di 5 anni è stata violentata dal vicino di casa, D.C., nato in Romania. La bambina era stata affidata all'uomo dal padre, anche lui romeno. D.C, 32 anni, residente a Ostia, nella zona dell'Idroscalo, famosa perché lì, il 2 novembre 1975, veniva ammazzato Pier Paolo Pasolini, è stato arrestato con l'accusa di violenza sessuale aggravata dalla minore età della vittima e portato nel carcere di Regina Coeli. A eseguire l'arresto la polizia giudiziaria del commissariato di Ostia, diretto da Eugenio Ferraro, che ha eseguito l'ordinanza emessa dal gip del Tribunale di Roma, a seguito di un'indagine coordinata dal pool specializzato della Procura romana. Il fatto sarebbe accaduto lo scorso 26 giugno quando il padre della vittima, operaio di un cantiere navale di Ostia, per un imprevisto impegno di lavoro ha affidato per un paio d'ore i suoi figli, la bambina di 5 anni e il fratellino di 2, al vicino di casa, nonché amico di famiglia. Poco tempo dopo, appena rientrata a casa, la mamma era andata a riprendere i figli e la bambina subito le aveva raccontato cosa era successo nell'abitazione dell'amico di famiglia: il mostro l'aveva palpeggiata ripetutamente, aveva abusato sessualmente di lei. All'arrivo del papà, la giovane coppia aveva portato la piccola all'ospedale Grassi, dove i medici hanno riscontrato sintomi compatibili con la violenza riferita dalla bambina. Ascoltata poi in audizione protetta dagli investigatori, con l'aiuto di una psicologa, la bambina aveva confermato quanto aveva già confidato alla mamma, raccontando tutti i dettagli di quella violenza subita aggiungendo, peraltro, che l'amico di famiglia si era fermato dal fare quei palpeggiamenti ripetuti nel momento in cui aveva sentito il rumore dell'auto della madre che stava rientrando a casa. Disperati ed esterrefatti i genitori che fin dal primo momento hanno raccontato di fidarsi del trentaduenne e che mai avrebbero sospettato che fosse capace La bambina è stata poi ascoltata in audizione protetta dagli investigatori, con l'aiuto di una psicologa, e ha confermato quanto aveva già detto alla mamma, raccontando i dettagli della violenza subita e precisando che l'uomo si era fermato a palpeggiarla nel momento in cui aveva sentito il rumore dell'auto della madre che stava rientrando a casa. Disperati ed esterrefatti i genitori che hanno raccontato agli inquirenti come mai avrebbero sospettato che l'uomo, di cui avevano piena fiducia, fosse capace di violentare la loro bambina. Il romeno, che è incensurato, sulla base degli indizi raccolti, è stato arrestato direttamente nel cantiere in zona Trionfale dove lavora. Espletate le formalità di rito è stato portato nel carcere romano di Regina Coeli: per lui l'accusa è di violenza sessuale aggravata, in quanto commessa in danno di minorenne. Non è la prima volta che l'orco è proprio il vicino di casa, la persona di cui spesso genitori indaffarati e senza altri aiuti si fidano e al quale affidano i loro figli. Lo scorso dicembre, per violenza sessuale, lesioni personali e violazione di domicilio è stato arrestato un romeno di 38 anni, residente a Sezze, in provincia di Latina. L'uomo, intorno alle 2 di notte, dopo aver infranto il vetro della porta d'ingresso ed essere entrato nell'appartamento di una sua connazionale di 35 anni, si era introdotto nella cameretta della figlia della donna, di 10 anni. L'aveva baciata e palpeggiata nelle parti intime poi aveva dato alla piccola 10 euro minacciandola affinché non raccontasse ad alcuno quanto accaduto. I genitori però, richiamati dalle urla della figlia, avevano fatto in tempo a vedere l'uomo in fuga e a denunciarlo. Lo choc di Ostia per la squallida violenza ai danni della piccola romena violentata dal vicino, si aggiunge a quello della stessa Capitale dove martedì scorso una ventenne, all'uscita di un supermercato nello storico e famoso rione Testaccio, è stata trascinata da un dipendente in un vicolo laterale. L'uomo l'ha costretta prima a un rapporto orale e poi ha tentato di avere un rapporto completo. La ragazza è riuscita a divincolarsi, fuggire e poi a denunciare l'uomo, di 50 anni, che è stato arrestato dalla polizia per violenza sessuale. Era già noto alle forze dell'ordine. È stato bloccato dalla polizia all'interno dello stesso supermercato dove era ritornato a lavorare. La ragazza si era recata negli uffici di polizia per sporgere denuncia dopo essere stata visitata in ospedale.
Da domani in Arabia Saudita al via la final four. A inaugurare il torneo saranno Milan e Napoli, in campo giovedì (ore 20 italiane) per la prima semifinale. Venerdì tocca a Inter e Bologna contendersi un posto nella finalissima di lunedì 22 dicembre.
Il primo trofeo della stagione si assegna ancora una volta lontano dall’Italia. Da domani la Supercoppa entra nel vivo a Riyadh con la formula della final four: giovedì la semifinale tra Milan e Napoli, venerdì quella tra Inter e Bologna, lunedì 22 dicembre la finale che chiuderà il programma e consegnerà il titolo.
Riyadh si prepara ad accogliere di nuovo la Supercoppa italiana,. Tre partite secche, quattro squadre e una posta che va oltre il campo: Napoli, Inter, Milan e Bologna portano in Arabia Saudita storie diverse, ambizioni opposte e un equilibrio che negli ultimi anni ha reso la competizione meno scontata di quanto dicano le statistiche.
Il Napoli arriva da campione d’Italia, il Bologna da vincitore della Coppa Italia, l’Inter da seconda forza del campionato e il Milan da detentore del trofeo. È soltanto la terza edizione con il formato a quattro, ma è già sufficiente per raccontare una Supercoppa che ha cambiato volto: nelle ultime due stagioni hanno vinto squadre che non partivano con lo scudetto cucito sul petto, un’inversione rispetto a una tradizione che per decenni aveva premiato quasi sempre i campioni d’Italia.
Proprio il Milan è il simbolo di questo ribaltamento. Campioni in carica, i rossoneri hanno spezzato una serie di finali perse all’estero e hanno riscritto la storia della manifestazione vincendo prima da finalista di Coppa Italia e poi da seconda classificata in campionato. In Arabia Saudita tornano con l’obiettivo di agganciare la Juventus in vetta all’albo d’oro, dove oggi i bianconeri comandano con nove successi, uno in più di Inter e Milan.
Il primo incrocio, giovedì 18 dicembre, è contro il Napoli. Gli azzurri inseguono invece un ritorno al passato: l’ultima Supercoppa vinta risale al 2014, una finale rimasta negli archivi per durata e tensione. Da allora, tentativi falliti e una presenza costante tra semifinali e finali mancate. Per la squadra di Antonio Conte, il confronto con il Milan è anche un passaggio chiave per evitare una prima volta storica: mai la squadra campione d’Italia in carica è rimasta fuori dall’atto conclusivo della competizione.
Dall’altra parte del tabellone, Inter e Bologna. I nerazzurri sono ormai una presenza abituale nella Supercoppa a quattro, protagonisti nelle ultime due edizioni e detentori di record individuali che raccontano la continuità del loro percorso. Il Bologna, invece, vivrà un esordio assoluto: sarà il tredicesimo club a partecipare alla manifestazione, chiamato subito a misurarsi con una dimensione internazionale che rappresenta una novità anche simbolica per il club. Negli ultimi anni la Supercoppa si è decisa spesso senza supplementari e rigori, ma resta una competizione capace di ribaltare copioni già scritti. Lo dimostrano le rimonte, i gol decisivi negli ultimi minuti e una storia che, pur ricca di record individuali e panchine vincenti, continua a sorprendere.
Fuori dal campo, la tappa di Riyadh diventa anche una vetrina per il calcio italiano. La Lega Serie A ha annunciato iniziative dedicate all’inclusione di tifosi con disabilità sensoriali, che accompagneranno tutte le partite del torneo. Da un lato, l’utilizzo di una mappa tattile interattiva permetterà a tifosi ciechi e ipovedenti di seguire l’andamento della gara attraverso il tatto; dall’altro, magliette sensoriali trasformeranno i suoni dello stadio in vibrazioni per tifosi sordi. Un progetto che coinvolgerà complessivamente trenta spettatori per ciascuna iniziativa, inserendosi nel programma ufficiale della competizione.
A rappresentare visivamente la Supercoppa sarà invece il nuovo Trophy travel case, realizzato dal brand fiorentino Stefano Ricci. Un baule pensato per accompagnare il trofeo nelle tappe internazionali, simbolo di un’italianità che la Serie A continua a esportare all’estero, soprattutto in Medio Oriente, dove la Supercoppa si gioca per il quarto anno consecutivo.
Il calcio d’inizio è fissato. A Riyadh non si gioca soltanto una coppa, ma un racconto che intreccia campo, storia recente e immagine del calcio italiano nel mondo. E, come spesso accade in Supercoppa, i numeri potrebbero non bastare per spiegare come andrà a finire.
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(Apple Tv)
Non è affatto detto che sia così perché, dietro l’obiettivo di rovesciare le formule della fantascienza, si nasconde l’ambizione di una riflessione sul rapporto tra benessere collettivo e libertà individuale, tra felicità globale e identità personale. Il tutto proposto con grande cura formale, ottime musiche e qualche lungaggine autoriale. Possibili, lontani, riferimenti: Lost, per i prologhi spiazzanti e i flashback, Truman Show, per la solitudine e l’apparenza stranianti, Black Mirror, per la cornice distopica. Ma la mano dell’ideatore è inconfondibile.
Ci troviamo ad Albuquerque, la città del New Mexico già teatro dei precedenti plot di Gilligan, ma stavolta la vicenda è tutt’altra. Siamo in un futuro progredito e un certo rigore si è già radicato nella quotidianità. Per esempio, l’avviamento delle auto di ultima generazione è collegato alla prova di sobrietà del palloncino: se si è stati al pub, l’auto non parte. Individuato da un gruppo di astronomi, un virus Rna proveniente dallo spazio, trasmesso in laboratorio da un topo e contagiato tramite baci e alimenti, rende gli esseri umani felici, gentili e samaritani con il prossimo. Le persone agiscono come un’unica mente collettiva, ma non a causa di un’invasione aliena, tipo L’invasione degli ultracorpi, bensì per il fatto che «noi siamo noi», garantisce un politico che parla dalla Casa Bianca, anche se non è il presidente. «Gli scienziati hanno creato in laboratorio una specie di virus, più precisamente una colla mentale capace di tenerci legati tutti insieme». In questo mondo, non esiste il dolore, non si registrano reati, le prigioni sono vuote, le strade non sono mai congestionate, regna la pace. Tutto è perfetto e patinato, perché la contraddizione non esiste. Debellata, dietro una maschera suadente. La colla mentale dispone alla benevolenza e alla correttezza le persone. Che però non possono scegliere, ma agire solo in base a un «imperativo genetico». Soltanto 12 persone in tutto il Pianeta sono immuni al contagio. Ma mentre undici sembrano disposte a recepirlo, l’unica che si ribella è Carol Sturka (Reha Seehorn), una scrittrice di romanzi per casalinghe sentimentali. Cinica, diffidente, omosex e discretamente testarda, malgrado vicini, conoscenti e certi soccorritori ribadiscano le loro buone intenzioni - «vogliamo solo renderti felice» - lei non vuole assimilarsi ed essere rieducata dal virus dei buoni. I quali, ogni volta che lei respinge bruscamente le loro attenzioni, restano paralizzati in strane convulsioni, alimentando i suoi sensi di colpa. Il prezzo della libertà è una solitudine sterminata, addolcita dal fatto che, componendo un numero di telefono, può vedere esaudito ogni desiderio: cibi speciali, cene su terrazze panoramiche, giornate alle terme, Rolls Royce fiammanti. Quando si imbatte in qualche complicazione è immediatamente soccorsa da Zosia (Karolina Wydra), volto seducente della mente collettiva, o da un drone, tempestivo nel recapitarle a domicilio la più bizzarra delle richieste. A Carol è anche consentito di interagire con gli altri umani esenti dal contagio. Che però non condividono il suo progetto di ribellione alla felicità coatta: tocca a noi riparare il mondo. «Perché? La situazione sembra ideale, non ci sono guerre, viviamo tranquilli», ribatte un viveur che sfrutta ogni lusso e privilegio concesso dalla mente collettiva.
L’idea di questa serie risale a circa otto o nove anni fa, ha raccontato Gilligan in un’intervista. «In quel periodo io e Peter Gould (il suo principale collaboratore, ndr.) avevamo iniziato a lavorare a Better Call Saul e ci divertivamo parecchio. Durante le pause pranzo avevo l’abitudine di vagare nei dintorni dell’ufficio immaginando un personaggio maschile con cui tutti erano gentili. Tutti lo amavano e non importa quanto lui potesse essere scortese, tutti continuavano a trattarlo bene». Poi, nella ricerca del perché di questa inspiegabile gentilezza, la storia si è arricchita e al posto di un protagonista maschile si è imposta la figura della scrittrice interpretata da Reha Seehorn, già nel cast di Better Call Saul. Su di lei, a lungo sola in scena, si regge lo sviluppo del racconto. A un certo punto, provata dalla solitudine, ma senza voler smettere d’indagare anche perché incoraggiata dalle prime inquietanti scoperte, Carol cambia strategia, smorzando la sua ostilità…
Il titolo della serie deriva da «E pluribus unum», cioè «da molti, uno», antico motto degli Stati Uniti, proposto il 4 luglio 1776 per simboleggiare l’unione delle prime 13 colonie in una sola nazione. Gilligan ha trasferito la suggestione di quel motto a una dimensione esistenziale e filosofica, inscenando una sorta di apocalisse dolce per riflettere sulla problematica convivenza tra singolo e collettività. Per questo, in origine, Plur1bus era scritto con l’1 al posto della «i».
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Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Questo allentamento delle norme consente che nuove auto con motore a combustione interna possano ancora essere immatricolate nell’Ue anche dopo il 2035. Non sono previste date successive in cui si arrivi al 100% di riduzione delle emissioni. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha naturalmente magnificato il ripensamento della Commissione, affermando che «mentre la tecnologia trasforma rapidamente la mobilità e la geopolitica rimodella la competizione globale, l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita». Ursula 2025 sconfessa Ursula 2022, ma sono dettagli. A questo si aggiunge la dichiarazione del vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné, che ha definito il pacchetto «un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». Peccato che, in conferenza stampa, a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Séjourné perché si sia arrivati alla necessità di un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea. Ma sono altri dettagli.
L’autorizzazione a proseguire con i motori a combustione (inclusi ibridi plug-in, mild hybrid e veicoli con autonomia estesa) è subordinata a condizioni stringenti, perché le emissioni di CO2 residue, quel 10%, dovranno essere compensate. I meccanismi di compensazione sono due: 1) utilizzo di e-fuel e biocarburanti fino a un massimo del 3%; 2) acciaio verde fino al 7% delle emissioni. Il commissario Wopke Hoekstra ha spiegato infatti che la flessibilità è concessa a patto che sia «compensata con acciaio a basse emissioni di carbonio e l’uso di combustibili sostenibili per abbattere le emissioni».
Mentre Bruxelles celebra questa minima flessibilità come una vittoria per l’industria, il mondo reale offre un quadro ben più drammatico. Ieri Volkswagen ha ufficialmente chiuso la sua prima fabbrica tedesca, la Gläserne Manufaktur di Dresda, che produceva esclusivamente veicoli elettrici (prima la e-Golf e poi la ID.3). Le ragioni? Il rallentamento delle vendite di auto elettriche. La fabbrica sarà riconvertita in un centro di innovazione, lasciando 230 dipendenti in attesa di ricollocamento. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Ford Motor Co. ha annunciato che registrerà una svalutazione di 19,5 miliardi di dollari legata al suo business dei veicoli elettrici. L’azienda ha perso 13 miliardi nel suo settore Ev dal 2023, perdendo circa 50.000 dollari per ogni veicolo elettrico venduto l’anno scorso. Ford sta ora virando verso ibridi e veicoli a benzina, eliminando il pick-up elettrico F-150 Lightning.
La crisi dell’auto europea non si risolve certo con questa trovata dell’ultima ora. Nonostante gli sforzi e i supercrediti di CO2 per le piccole auto elettriche made in Eu, la domanda di veicoli elettrici è debole. Questa nuova apertura, ottenuta a fatica, non sarà sufficiente a salvare il settore automobilistico europeo di fronte alla concorrenza cinese e al disinteresse dei consumatori. Sarebbe stata più opportuna un’eliminazione radicale e definitiva dell’obbligo di zero emissioni per il 2035, abbracciando una vera neutralità tecnologica (che includa ad esempio i motori a combustione ad alta efficienza di cui parlava anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz). «La Commissione oggi fa un passo avanti verso la razionalità, verso il mercato, verso i consumatori ma servirà tanto altro per salvare il settore. Soprattutto servirà una Commissione che non chiuda gli occhi davanti all’evidenza», ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi, anche presidente dell’Automotive Regions Alliance. La principale federazione automobilistica tedesca, la Vda, ha detto invece che la nuova linea di Bruxelles ha il merito di riconoscere «l’apertura tecnologica», ma è «piena di così tanti ostacoli che rischia di essere inefficace nella pratica». Resta il problema della leggerezza con cui a Bruxelles si passa dalla definizione di regole assurde e impraticabili al loro annacquamento, dopo che danni enormi sono stati fatti all’industria e all’economia. Peraltro, la correzione di rotta non è affatto un liberi tutti. La riduzione del 100% delle emissioni andrà comunque perseguita al 90% con le auto elettriche. «Abbiamo valutato che questa riduzione del 10% degli obiettivi di CO2, dal 100% al 90%, consentirà flessibilità al mercato e che circa il 30-35% delle auto al 2035 saranno non elettriche, ma con tecnologie diverse, come motori a combustione interna, ibridi plug-in o con range extender» ha detto il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzizikostas in conferenza stampa. Può darsi che sarà così, ma il commissario greco si è dimenticato di dire che quasi certamente si tratterà di auto cinesi.
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