2020-08-09
La Juventus scarica «l’intruso» Sarri e ci prova con Pirlo in versione Zidane
Al toscano mancava il pedigree richiesto e l'appoggio di Cr7. Ora palla al neo allenatore dell'Under 23 per l'euro assalto.Maurizio Sarri, con in mano i cocci di un'avventura a pezzi, di nuovo fuori dalla Champions. È finita lì, con la distonia sulle responsabilità, l'avventura a corte dell'ex genio della tattica. È finita dopo solo un anno, come se fosse il Gigi Maifredi del terzo millennio. Esonerato 14 ore dopo la disfatta. Un cambio in corsa velocissimo, come se sulla tolda della corazzata bianconera non si aspettasse altro. In serata ecco la novità: Andrea Pirlo è il nuovo ammiraglio, il giovane metronomo della squadra dei record in panchina, la prima panchina, dall'Under 23 ai riflettori dell'Allianz Stadium.Suona profetica la frase del presidente Andrea Agnelli alla sua presentazione: «Questa è solo la prima tappa». Un'attesa durata solo dieci giorni. Due anni di contratto, un'investitura da far tremare i polsi. Scelta coraggiosa, fortemente voluta da Agnelli in solitaria, che in meno di un giorno ha azzerato i consigli di Fabio Paratici (l'uomo mercato è in bilico e potrebbe rifugiarsi nella nuova a Roma), ha messo in disparte Pavel Nedved e ha deciso da solo. C'è il rischio del salto nel vuoto, ma c'è uno stupendo precedente a dare forza al colpo di teatro. Nel passato juventino un altro grande calciatore diventò allenatore subito vincente: Giovanni Trapattoni. #SarriOut gridavano da giorni le viscere del web e molti giornalisti pur sapendo che la Juventus di Sarri non è mai esistita perché nessun dirigente ha mai neppure pensato di costruirla. Non certo con Adrien Rabiot, Aaron Ramsey, Danilo e il fratello grasso di Gonzalo Higuain. Vedere negli ultimi minuti Mathijs De Ligt giocare centravanti aggiunto contro il Lione è stato percepito come un gesto di disperazione provinciale davanti alla settima squadra della Ligue 1 che aveva nelle gambe due partite in tre mesi. Il problema è che SarriOut lo hanno scandito ieri notte anche i senatori dello spogliatoio, alcuni per non dover impazzire a imparare nuovi meccanismi a pochi chilometri dalla pensione (Giorgio Chiellini e Leonardo Bonucci), altri perché stanchi di trascinare invano una squadra balbettante e poco organizzata, da fuoriclasse soli al comando (Cristiano Ronaldo e Paulo Dybala). La bocciatura di CR7 è la più pesante. Praticamente un «o lui o io» con la minaccia di andarsene al PSG. Da dieci anni l'asso portoghese non usciva agli ottavi di Champions (coincidenza, nel 2010 proprio a causa del Lione) e dai tempi delle giovanili non si sentiva nella condizione di dover vincere praticamente da solo. Quest'anno, soprattutto dopo il lockdown, l'unico scherma della Juventus era: palla a Ronaldo o Dybala e vediamo che succede. Troppo poco per il club più seguito d'Italia, quasi nulla per una holding che ha speso 800 milioni negli ultimi due anni e ingaggiato il calciatore più forte del mondo per conquistare la coppa dalle grandi orecchie. E invece è sempre ferma a Chiasso. Immaginabile il tono delle telefonate di John Elkann al cugino Andrea.Quando Ronaldo ha emesso la sua sentenza, Sarri ha capito che era finita. Sarri e Torino non si sono mai amati, Sarri e la Juventus si sono annusati sei mesi invano. Troppo diversi lo stile, il linguaggio, le tute da dopolavoro, gli epiteti, gli sbadigli, le caccole in diretta, le sensibilità, le recondite ipocrisie. Le leggi sabaude non sono mai state digerite dall'ex bancario toscano e le sbandate da osteria del condottiero di Napoli e Chelsea non non mai piaciute alla high society piemontese. Ieri nel post di fine stagione, realizzato per ribadire che «la Juventus deve essere all'altezza della sua storia e dei suoi obiettivi», CR7 non ha mai nominato Sarri. Un fantasma, una virgola con il mozzicone fra le labbra.Poi c'è la foto, il simbolo del distacco, quello scatto memorabile di Salvatore Giglio per Tuttosport nel giorno dello scudetto più risicato della storia, con un punticino sull'Inter: la squadra che guarda verso Sarri per portarlo in trionfo palleggiandolo in aria e lui che volta le spalle e se ne va nello spogliatoio. Non è mai scattata la scintilla, quella che si dice l'empatia. Nessuna complicità, solo ragionieristica professionalità. Esattamente come per Gian Piero Gasperini all'Inter nove anni fa ed esattamente per lo stesso, elementare motivo: puoi chiedere il salto nel cerchio di fuoco, le sovrapposizioni con ritardo massimo di due secondi a gente che arriva dal nulla, a Robin Gosens e Hans Hateboer. Non a campioni che hanno vinto tutto.La Juventus volta pagina con fragore, Andrea Agnelli sa che l'estate sarà brevissima, fra 20 giorni si ricomincia e il siluro immediato al passato aveva lo scopo di guadagnare tempo per cominciare a cavalcare il futuro. Si riparte da Pirlo, il silenzioso genio del centrocampo, l'allenatore in campo a 30 anni, e fresco di nomina all'Under 23 bianconero. Comunque un altro mestiere, gestire uno spogliatoio di campioni è ben altra cosa. L'ex centrocampista bresciano (41 anni e costo minimo, a conferma che le casse sono esanimi) dovrà esibirsi in una scalata himalaiana. Per lui un contratto di due anni. Ha scavalcato Simone Inzaghi, che Claudio Lotito avrebbe lasciato andare dopo estenuanti e costose trattative; ha scavalcato Zinedine Zidane, che in ogni caso sarebbe costato 12 milioni a stagione. È lui l'uomo del destino (e un suggestivo parallelo con le gesta di Zizou al Real, successi in campo e in panchina, soprattutto in Champions, l'ossessione vera, scatta). Il dettaglio più singolare è l'ultimo: la squadra che Paratici sta costruendo è la più giovane e sarriana dell'ultimo decennio. Il general manager sta svecchiando con fatica (l'estate scorsa fu protagonista di pasticci omerici, provò a dar via pure Dybala) ma ora l'esito è molto interessante. Oggi con De Ligt, Merih Demiral, Cristian Romero, Arthur Melo, Dejan Kulusevski e Felix Correia la Signora torna giovane, aggressiva, rampante, disposta al sacrificio supremo in nome della vittoria. In più c'è l'accordo con Arkadius Milik da mettere accanto a Cr7 (ma Aurelio De Laurentiis vuole 40 milioni sull'unghia e non sa che farsene di Federico Bernardeschi). Una squadra che non avrà problemi a correre e soffrire in allenamento come in partita. E che, con Pirlo in panchina, non vivrà la Champions come un'ossessione ma come un sogno.