2024-12-23
La guerra ha piegato l'Europa. Chi chiede scusa?
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Chiederanno scusa agli ucraini? Ammetteranno di averli illusi, di averli mandati a morire, di averli trascinati in una guerra che li ha resi orfani, invalidi, poveri, precipitandoli in un orrore che non avrà fine neppure quando cesserà il tuono dei cannoni? Riconosceranno di aver raccontato loro un’infinità di menzogne? Se lo chiedeva ieri, su La Stampa, Domenico Quirico, uno dei pochi inviati che le guerre le ha viste davvero e dunque non fa il tifo per l’odore del sangue e della polvere da sparo. «L’impossibilità di vincere in Ucraina riporta l’Occidente alla realtà dei fatti» era il titolo del suo articolo. «La Nato non può sopperire alla carenza di uomini di Kiev. Dobbiamo scusarci con gli ucraini caduti» era il succo del discorso. Già, dopo tre anni di guerra, centinaia di migliaia di morti, forse un milione di feriti, la guerra ci riporta impietosamente alla realtà. Kiev ha esaurito il materiale umano. Non i missili, non i carri armati e nemmeno i droni, che abbiamo generosamente donato: semplicemente non ci sono più soldati da mandare in trincea a morire per l’Occidente. Decine di migliaia di giovani in età da divisa si sono dati alla macchia, preferendo l’onta della diserzione al freddo della bara. Nessuno sa esattamente quanti siano i morti, quanti gli invalidi e i fuggiaschi, però da mesi un fatto è certo: le trincee sono rimaste sguarnite e delle truppe mandate in tutta fretta e con gran entusiasmo nel Kursk per dare scacco a Putin nessuno conosce il destino. Dimenticati, come dimenticati sono stati tutti gli altri. E le promesse? Tutte quelle belle parole per assicurare che l’Ucraina non sarebbe mai stata lasciata sola? Perse nel vento. Ora è tempo di realismo. Per di più, fra meno di un mese, alla Casa Bianca arriverà Trump e ci penserà lui. Della ritirata si potrà sempre incolpare lui. La scusa per l’abbandono di Zelensky e dei suoi martiri è già pronta e assolve tutti i guerrafondai di casa nostra. I quali hanno indossato l’elmetto e imbracciato il moschetto rimanendo nel salotto di casa loro, gonfiando il petto negli studi televisivi. Era già tutto scritto. Lo so, ha poco senso di fronte alla tragedia di centinaia di migliaia di morti rivendicare di aver avuto ragione. Ma gran parte delle argomentazioni che oggi spingono governanti e commentatori a sostenere che non si può continuare così, che serve una pace o quantomeno una tregua, erano note fin dall’inizio. Mentre qualche ragionierino alla Fubini raccontava che mancava poco e poi, grazie alle sanzioni, la Russia sarebbe stata costretta a capitolare, noi spiegavamo che i numeri purtroppo erano dalla parte di Putin. Non quelli delle banche e delle industrie, ma i numeri dei soldati. La guerra non è una battaglia navale che si gioca a tavolino. Servono gli uomini e a meno di non schierare truppe occidentali i numeri erano impietosamente a favore della Russia. Si sono illusi di spazzare via Putin con un colpo di Stato, poi con una malattia, ma a tre anni di distanza il potere dello zar del Cremlino appare intatto. Anzi, paradossalmente lo abbiamo rafforzato, perché anche se con la sua operazione speciale non ha ricondotto l’Ucraina sotto di sé, ha resistito a quella che Quirico considera la più grande alleanza militare ed economica dell’Occidente, tenendo la Crimea, conquistando tutto il Donbass e dando a Kiev un colpo da cui non si riprenderà per anni. Altro che piegare la Russia. Da questa guerra esce in ginocchio l’Europa. Politicamente ed economicamente. La Germania è avvitata in una crisi spaventosa che rischia di trascinare nel vortice anche l’Italia. La Francia non sta meglio. A tre anni dall’invasione russa e dopo decine di bellicose dichiarazioni si torna al punto di domanda di Quirico. Chiederanno mai scusa agli ucraini i governanti che giuravano di essere pronti a difendere la libertà? Ammetteranno di aver scritto stupidaggini i soldatini dalla penna facile? Domanderanno perdono agli ucraini, ma anche agli europei, per averli trascinati alla sconfitta?
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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