2021-05-14
La Consulta tifa legge bavaglio
Anziché difendere i diritti costituzionali calpestati, la Corte dei non eletti pretende di introdurne di nuovi, anche a costo di sostituirsi al Parlamento.«La Corte Costituzionale è una bizzarria, un organo che non si sa cosa sia e grazie alla istituzione del quale degli illustri cittadini verrebbero a essere collocati al di sopra di tutte le assemblee e di tutto il sistema della democrazia, per esserne i giudici». La frase non è mia e nemmeno di Silvio Berlusconi, che i giudici della legge li ha sempre considerati di parte e senza alcuna legittimazione popolare. A pronunciarla fu Palmiro Togliatti, il capo del Partito comunista italiano durante i lavori dell'assemblea costituente, quando cioè si stavano scrivendo le regole della nascente Repubblica. Per lui e per altri esponenti del Pci non si poteva lasciare nelle mani di poche persone, per di più non elette, le decisioni che riguardavano milioni di italiani. Preoccupazione che a distanza di oltre settant'anni trova conferma nell'evoluzione del ruolo della Consulta, non più chiamata a far rispettare la Costituzione ma ad innovarla, introducendo nuovi principi e, addirittura, in qualche caso sostituendosi al Parlamento. Un esempio? Quello che sta succedendo con la cosiddetta legge Zan, dal nome del parlamentare del Pd che l'ha patrocinata. Il testo delle norme che si vorrebbero varare per colpire penalmente ogni «discriminazione» di tipo sessuale - e potenzialmente dunque anche ogni critica - è in discussione al Senato, dopo essere stato approvato alla Camera. Tra i partiti è in corso un vivace dibattito e nel Paese si affrontano schieramenti opposti, favorevoli a sinistra, contrari nel centrodestra. Normale dialettica democratica, si potrebbe osservare. Ma ieri il presidente della Corte costituzionale Giancarlo Coraggio, uomo con una lunga carriera in magistratura, ha deciso di metter becco nella faccenda, minacciando addirittura un intervento della Corte costituzionale, spingendo in sostanza per l'approvazione della legge Zan. In pratica, presentando la relazione annuale delle attività della Consulta, Coraggio ha detto che la Corte non può restare a guardare. Sì, proprio così. «È compito proprio del legislatore farsene carico, ma in mancanza di un suo intervento, mancanza a volte giustificata dal tumultuoso evolversi della società, la Corte non può, a sua volta, rimanere inerte, specie quando ci sono in gioco i diritti di minoranze, la cui tutela è il naturale campo di azione, quali garanti di una democrazia veramente inclusiva». In sintesi: o fa il Parlamento, o facciamo noi. La Corte è in pratica pronta a sostituirsi all'assemblea degli eletti per introdurre una nuova fattispecie di reato, quello appunto di omofobia che si vorrebbe inserire con la legge Zan nel codice penale. E verso quale direzione ritiene di andare il presidente Coraggio? Ovvio, in quella indicata dalla legge. Rispondendo alle domande dei giornalisti, il numero uno della Consulta ha chiarito ancor meglio il proprio pensiero: «Non ho studiato il disegno di legge per non essere chiamato a dare un parere concreto: il problema è all'ordine del giorno del Parlamento. Sicuramente una qualche normativa è opportuna». Chiaro il concetto? Non vi dico come, ma la legge si deve fare. A quale titolo il presidente di un organo non eletto decide per gli elettori? La domanda è la stessa che si pose Togliatti, il quale dopo la dittatura delle camicie nere da ex ministro della Giustizia ne temeva una delle toghe con il merletto. So che l'identità di vedute con un tipo come il segretario comunista filosovietico farà rizzare i capelli di molti lettori, ma a volte capita che anche i compagni abbiano ragione e questa è la volta giusta. Con il senno di poi, l'uomo del Comintern avrebbe fatto bene ad opporsi a una Corte costituzionale che sottraeva potere al Parlamento. Ciò detto, torniamo alla legge che vuole istituire un reato di opinione con la scusa della discriminazione. Qui a fianco trovate l'intervista che Francesco Borgonovo ha fatto a Michele Ainis, giurista ed editorialista dell'Espresso e di Repubblica, uno che dunque non può certo essere annoverato fra gli esponenti sovranisti. Che dice il professore? Ribadisce con raffinate argomentazioni giuridiche ciò che da mesi andiamo scrivendo sulla Verità e cioè che se si vuole punire la violenza contro i gay o contro chiunque manifesti le proprie tendenze sessuali non c'è bisogno di fare una legge, perché c'è già la legge Mancino, con le aggravanti dovute a motivi futili o abietti che aumentano la pena di un terzo. Dunque, perché fare un'altra legge, si domanda il professor Ainis? La risposta è semplice ed è che si vuole introdurre nell'ordinamento l'identità di genere, ma questo significa anche la cancellazione del corpo femminile. Per il docente la legge Zan rischia anche di essere controproducente, perché rischia di non ottenere ciò che vorrebbe, ma di aumentare la ghettizzazione. «Le opinioni si combattono con altre opinioni: vietarne alcune per legge le santifica». Opinione mia e di alcuni colleghi della Verità: vietarne alcune significa imporne altre. Con ciò che ne consegue, ossia che parlare di eterosessualità tra poco sembrerà antiquato. Invece, parlare di una Corte costituzionale che ci vuole imporre le sue idee senza che nessuno le abbia richieste, anche se sono trascorsi più di settant'anni, è assolutamente di attualità.
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)