
I giudici del processo escort contro Gianpaolo Tarantini avevano dubbi sull'abolizione dei bordelli.La legge Merlin è salva: fare il lenone rimane un reato. È la decisione cui è giunta la Corte costituzionale, riunita in camera di consiglio per discutere della questione di legittimità sollevata dalla Corte d'appello di Bari. I giudici del capoluogo pugliese, nell'ambito del processo all'ex manager Gianpaolo Tarantini, accusato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione per le cene «galanti» a Palazzo Grazioli, si erano rivolti alla Consulta affinché si esprimesse sulla costituzionalità della norma che abolì le case d'appuntamento.A loro parere, i reati contestati in virtù della legge Merlin a Tarantini - che procurando le escort a Silvio Berlusconi sperava di ottenere favori in politica e in affari, ma non ha tratto profitto dal meretricio - potevano essere in contrasto con il principio di autodeterminazione sessuale (la legge non mi impedisce di vendere il mio corpo, purché nessuno mi costringa a farlo) e, addirittura, con la libertà d'iniziativa economica (quello tratto dalla prostituzione è, infatti, un profitto legittimo). Inoltre, la normativa che bandisce il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione, secondo loro sarebbe stata priva delle necessarie determinatezza e tassatività. Una pronuncia favorevole dei magistrati costituzionali avrebbe potuto salvare Tarantini dalla condanna in appello (in primo grado, è stato già condannato a sette anni e dieci mesi).La Consulta, però, ha stabilito che la legge Merlin non è in conflitto con i beni costituzionalmente garantiti dell'autodeterminazione sessuale e della libertà d'impresa. E che «il reato di favoreggiamento della prostituzione non contrasta con il principio di determinatezza e tassatività della fattispecie penale». In particolare, mentre i giudici baresi avevano ipotizzato che «l'aiuto di terzi» alle escort (ossia, il lenocinio) avrebbe agevolato l'espressione di un diritto (quello di prostituirsi e quello di trarre profitto dalle prestazioni sessuali), i magistrati della Suprema corte hanno ribadito «che non è in contrasto con la Costituzione la scelta politica operata con la legge Merlin, quella cioè di configurare la prostituzione come un'attività in sé lecita ma al tempo stesso di punire tutte le condotte di terzi che la agevolino o la sfruttino». In sostanza: fare la escort è lecito, fare la maîtresse o il macrò è un reato.Rimane sul piatto, ovviamente, l'ipotesi più volte ventilata da Matteo Salvini, cioè quella di spedire in soffitta la legge Merlin e riaprire le case chiuse. La Corte costituzionale, salvando la legge del 1958, ha sottolineato che quella di punire il reclutamento e lo sfruttamento della prostituzione è una scelta «politica». Nulla vieta alla politica, pertanto, di abrogare quella norma.È ancora pendente pure un'altra questione, che La Verità ha già sollevato qualche giorno fa. La Consulta, infatti, è evidentemente orientata a giudicare incostituzionale il reato di aiuto al suicidio. Porre fine alle proprie sofferenze è uno dei modi di «autodeterminarsi». E aiutare a farlo chi è paralizzato a letto significa garantire l'esercizio di quel diritto. Resta difficile comprendere perché, se il ragionamento è questo, chi aiuta una donna ad «autodeterminarsi» sessualmente debba essere un criminale. Perché va bene aiutare qualcuno ad ammazzarsi (lasciando, magari, che una clinica svizzera ne tragga profitto), mentre è illecito aiutare una bella ragazza a guadagnare grazie alla propria avvenenza? Come si vede, il crinale dell'ideologia diritti è ripido. E la Consulta sembra stia camminando sull'orlo di un burrone.
Emanuele Orsini (Ansa)
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