2018-11-13
La Clinton si ricandida, ma è sempre in ritardo di otto anni
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A volte ritornano. No, non è a un film dell'orrore che ci stiamo riferendo. Anche se, a ben vedere, potrebbe somigliarci. Stando a quanto scrivono sul Wall Street Journal due consiglieri della famiglia, Mark Penn e Andrew Stein, Hillary starebbe scaldando i motori per candidarsi alla nomination democratica del 2020. Se la cosa di per sé fa già abbastanza ridere, aggiungiamo anche che - secondo i due - l'ex first lady godrebbe del 75% di popolarità tra gli elettori del Partito democratico. E che sarebbe quindi pronta a ripresentarsi in una nuova veste gagliarda di donna di sinistra.Ammesso e non concesso che ci sia del vero in queste affermazioni e che Hillary Clinton stia veramente pensando all'ennesima candidatura, non si può fare a meno di notare lo scenario da incubo che si aprirebbe per il Partito democratico qualora una simile eventualità si concretizzasse. Sebbene l'ex first lady abbia ripetutamente affermato di aver perso a causa del boicottaggio russo, a guardar bene la principale ragione del disastro democratico avvenuto nel 2016 è stata proprio lei. E questo per una serie di ragioni. Innanzitutto, è bene rilevare che Hillary si sia sempre rivelata una candidata "vecchia". E attenzione: non ci riferiamo qui ai dati anagrafici. Il suo problema è infatti sempre stato di carattere programmatico, dal momento che non ha mai mostrato di possedere il benché minimo fiuto elettorale. Quando si candidò alla nomination democratica nel 2008, condusse una campagna che sarebbe potuta andare bene nel 2000. E quando scese in campo nel 2016, si comportò come se la situazione americana fosse quella del 2008. Insomma, è come se l'ex first lady fosse sempre in ritardo di otto anni, non riuscendo a rendersi conto del mutare dei tempi e delle esigenze dell'elettorato. Il problema è che forse sia rimasta ancorata al moderatismo del marito Bill: una ricetta che poteva andare bene negli anni Novanta ma che è diventata ormai un'anticaglia inservibile, visto il cambiamento che l'America ha conosciuto nel frattempo.In secondo luogo, l'altro grande errore commesso dall'ex first lady è stato quello di aver dato la propria vittoria per scontata: doveva essere votata per il nome che portava, doveva essere votata perché donna, doveva essere votata perché alcune quote elettorali devono automaticamente sostenere il candidato del Partito democratico. Peccato che le cose siano andate in maniera leggermente differente. Non solo il crescente clima di antipolitica ha creato un sempre maggiore astio nei confronti delle dinastie di Washington (un destino amaro, toccato anche ai Bush). Ma ampie quote degli elettori storicamente democratici (dalle femministe agli operai) hanno voltato le spalle all'ex first lady, decidendo di astenersi o di votare - turandosi il naso - lo stesso Donald Trump. In terzo luogo, Hillary si porta dietro anche un problema di credibilità amministrativa. Nonostante la sua importante carriera, non dobbiamo trascurare che - da senatrice per lo Stato di New York - non si sia distinta per chissà quali attività, mentre - come segretario di Stato - ha sulla coscienza disastri come l'attacco bellico in Libia del 2011. Se a tutto questo aggiungiamo poi i vari scandali (dagli impicci di Bengasi al caso delle email manipolate) capiamo che i problemi non sono pochi.Infine, c'è un altro fattore da tener presente. Chi la conosce personalmente sostiene che Hillary abbia un carattere vendicativo e rancoroso e che sarebbe rosa da un senso di ambizione sfrenato. Tutte caratteristiche che, se vogliamo, erano già presenti in Richard Nixon. Con la differenza che Nixon era almeno un analista geopolitico raffinatissimo, che sapeva mettere da parte le paranoie per circondarsi di persone in gamba. Hillary, dal canto suo, non solo - come abbiamo visto - ha contribuito a incendiare il Medio Oriente. Ma è anche una persona che tende ad attorniarsi quasi esclusivamente di figure a propria immagine e somiglianza. Per intenderci, Nixon scelse come proprio National Security Advisor Henry Kissinger (da cui era stato pesantemente attaccato durante le primarie repubblicane del 1968). Hillary, nel 2016, ha scelto come suo vice il senatore Tim Kaine: un centrista con le sue stesse idee. Una mossa con cui l'ex first lady ha di fatto sbattuto la porta in faccia alla sinistra del suo partito. Una sinistra che poi nell'urna si è vendicata.Al di là di eventuali cambi programmatici di carattere strategico, Hillary rappresenta un'America ormai tramontata. Un'America interventista e liberista che guarda con nostalgia alla Guerra Fredda e che non ha ancora capito che l'elettorato va ormai da un'altra parte. Questo è stato il senso della vittoria di Barack Obama nel 2008 e di quella di Trump nel 2016. Hillary resta quindi una figura politica irrimediabilmente ancorata al passato. E qualora il Partito democratico volesse sciaguratamente puntare di nuovo su di lei si avvierebbe a finire del tutto scaraventato nel dimenticatoio della storia. Se infatti l'Asinello oggi conosce la crisi profondissima in cui si trova è principalmente proprio colpa dell'ex first lady: della sua concezione padronale del partito, della sua strategia clientelare e tendenzialmente calunniosa verso gli avversari, della sua incapacità a essere una donna di sintesi e di raccordo tra anime politiche differenti. Ricordiamo gli attacchi scorretti a Obama nel 2008. E a come la sua fedelissima, l'allora presidentessa del Partito, Debbie Wasserman Schultz, abbia manipolato le primarie democratiche del 2016, per azzoppare il candidato socialista Bernie Sanders. Ecco: tutto questo evidenzia come la sinistra americana abbia bisogno di ben altro per arrivare a una rinascita. L'Asinello non gode oggi di buona salute. E affidarsi a Hillary significherebbe abbandonarsi a un tramonto ineluttabile. E definitivo.
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