2021-09-20
«La Cina ha scatenato la guerra dei trasporti. E nessuno osa dirlo»
Gianluigi Cimmino (Pietro D'aprano/Getty Images)
Il patron di Yamamay, Gianluigi Cimmino: «Oltre alla battaglia sulle materie prime c'è pure quella su logistica e rifornimenti. E noi siamo le vittime».«Per noi vale un unico imperativo: basta chiusure». È categorico Gianluigi Cimmino, ceo di Pianoforte holding, gruppo nato dall'unione dei marchi Yamamay e Carpisa. «Il tempo del dibattito è scaduto, facciamo tutto quello che è necessario per evitarne di nuove». Green pass a gogo, quindi: «I dipendenti dei negozi devono essere vaccinati avendo contatto con il pubblico. In azienda pure. Ne abbiamo solo sette, in tutto, recalcitranti ma spero di convincerli». Storia di famiglia, quella di Cimmino. Anzi due. I Cimmino e i Carlino. I primi si occupano di Yamamay, brand famoso nel campo della lingerie e stanno al Nord, a Gallarate. I secondi, di Carpisa, specializzati nella valigeria, si muovono al Sud, a Nola, vicino a Napoli: «Se crei il cocktail con i dosaggi giusti tra Nord e Sud, è una bomba». Nei due nuclei ci sono fratelli, sorelle e parenti tutti dediti all'attività: «Per noi la famiglia è intesa come rispetto dei valori sia nei momenti di successo sia in quelli difficili come quello che abbiamo appena attraversato e non del tutto finito». La moda è uno dei settori che ha maggiormente risentito della crisi con negozi chiusi e clientela sparita. Però ce l'avete fatta.«Abbiamo sofferto doppiamente. Yamamay era affrontabile con una cura non troppo invasiva. Nel caso di Carpisa, invece, ed era quello che non capiva il governo, ci siamo trovati ad affrontare da soli una situazione allucinante dato che oltre alle chiusure c'erano pure il turismo bloccato. Ci siamo ritrovati a non poter vendere una valigia dato che la gente non viaggiava più». Che cosa non capiva Giuseppe Conte?«Invece di quei maledetti codici Ateco, sarebbero bastati due giorni di approfondimento sul tessuto industriale, commerciale e distributivo del Paese per dare le risorse giuste a chi ne aveva bisogno. Così invece sono state date in modo inutile». In cosa è mancato il governo?«In tutto: nessuna vicinanza al mondo industriale produttivo e distributivo. Era formato all'80% da persone che, non avendo mai lavorato nella loro vita, fatta salva la buona volontà, non sapevano nemmeno la differenza tra un centro commerciale e un centro cittadino, tra produzione e distribuzione».Questo quanto ha pesato?«Tantissimo. Noi imprenditori siamo stati bravissimi visto il nulla che è arrivato rispetto ad altre parti d'Europa come in Francia, dove hanno avuto sussidi a fondo perduto, in particolare chi veniva riconosciuto appartenere a un settore duramente colpito. In compenso, ci è stata data la possibilità di indebitarci ulteriormente». Le cose stanno migliorando?«Sono stato un super tifoso di Mario Draghi anche quando mi ridevano in faccia in certe trasmissioni televisive, dove mi auguravo che alla guida del Paese arrivasse il più bravo della classe a prescindere dall'appartenenza. In un momento di emergenza il migliore deve fare la squadra dei migliori. Ho sempre avuto il coraggio di dichiarare quali gravi problemi gli imprenditori stavano affrontando».Quante persone lavorano nel gruppo?«Oggi siamo circa 2.500 tra Gallarate, Nola, la rete dei punti vendita e il personale itinerante. Se consideriamo anche l'indotto e la produzione che facciamo in Italia arriviamo a 10.000 persone. Siamo ben radicati».Fatturato?«Puntiamo ai 340 milioni di fatturato entro la fine del 2022. Non parlo del 2021 che dipenderà moltissimo dai prossimi tre mesi. L'anno scorso, di questi tempi, avevamo speranze di ripresa importanti dato che l'estate era andata bene. Ma poi hanno richiuso danneggiandoci moltissimo fino alla proroga delle chiusure in primavera anche dei centri commerciali, una delle cose irrazionali e incomprensibili». Avete avuto tra i vostri testimonial personaggi incredibili: di chi è stato il merito di arrivare a Ronaldo e a Jennifer Lopez?«Con Ronaldo, testimonial che non ci è costato un euro, abbiamo chiuso un accordo di distribuzione del suo brand. A Jennifer Lopez ho fatto tenerezza, le parlai per la prima volta che ero un ragazzino. Alla base c'è sempre la faccia tosta di provare. Non è mai stata una questione economica, si creava un feeling». Questi personaggi hanno poi portato davvero un valore aggiunto alle vendite?«Sì. Nomi di questa levatura danno una visibilità al marchio e ti possono far fare un salto. Ronaldo ha lanciato il nostro settore uomo ed è stato fondamentale, da lì è partita la collezione maschile. Penelope Cruz, con la quale siamo diventati quasi amici di famiglia, è stata il volto di Carpisa».Il made in Italy è il nostro cavallo di battaglia nel mondo, ma da noi è poco considerato.«Il governo lo dimentica sempre ma la moda e il retail fanno parte del patrimonio culturale dell'Italia. Non è che cinesi, giapponesi, russi venivano solo per il duomo di Milano o gli Uffizi di Firenze, arrivavano anche per fare uno shopping di un certo livello, per avere esperienza di marchi che trovano e non trovano nei loro Paesi».In tante manovre del precedente governo la moda manco compariva.«I 5 stelle avevano nel loro programma la chiusura domenicale dei centri commerciali. Se ideologicamente non riconosco l'esistenza di un settore oppure, ancora peggio, vedo l'opportunità di realizzare con la pandemia il mio progetto politico, le cose non possono che mettersi male. Non si è tenuto conto della straordinaria filiera che sta dietro la distribuzione danneggiando tutti, anche la produzione».È il costo del lavoro che spinge gli industriali a uscire dal Paese?«Ormai non è più quello. Incide di più la logistica, i trasporti, l'approvvigionamento dei materiali. Oggi tutto il mondo vive una crisi industriale che si basa su due eventi: la guerra dei trasporti di cui nessuno parla, condotta dai cinesi che aprono e chiudono porti e collegamenti, con navi e treni che non riescono ad arrivare. C'era un lead time che prima era di 30/35 giorni, ora arriviamo a 90/120. E poi c'è un problema di carenza di materia prima come microchip e componenti per l'automotive».Le cause?«Durante la pandemia la Cina ha operato un accaparramento di risorse e materie prime, alcuni componenti li producono solo loro, e questo ha determinato un aumento incredibile dei costi e un loro governo del mercato».È il secolo dei cinesi?«Sì. La pandemia li ha rafforzati molto. Chiudendosi, i consumi interni sono schizzati negli ultimi due anni. Per questo tutte le aziende del lusso hanno fatto budget e crescita in Cina». Cosa pensa del reddito di cittadinanza?«Andrebbe azzerato. Ci vuole una nuova misura per aiutare chi è in difficoltà dando la possibilità di reinserirsi nel mondo del lavoro. Ma il sussidio ha consentito alla Stato di diventare socio di maggioranza del lavoro nero in Italia». Eppure c'erano i navigator.«Ma non hanno mai fatto il loro lavoro. Chi lo percepiva lavorava anche in nero, al Sud è stata una rovina per il lavoro giovanile. Ci vorranno anni per ricostruire un certo tessuto lavorativo».Le è capitato di offrire lavoro per sentirsi rispondere con un no?«Certo. Non trovavamo forze per i negozi. C'era addirittura gente che si dimetteva dai negozi per entrare prima in disoccupazione e poi chiedere il reddito di cittadinanza. È stata la misura che ha consentito ai 5 stelle di arrivare dove sono arrivati. E se non sarà disinnescata purtroppo ce li ritroveremo ancora per anni». Il ministro Giancarlo Giorgetti ha proposto il lavoro di cittadinanza: che ne pensa?«Lo stimo tantissimo e spero di averlo a Nola. Questa proposta immagino sarà presa in considerazione dopo le elezioni amministrative». Consigli al governo?«Investire sul Sud: è qui la grande scommessa dei prossimi anni del Pnrr. Il Nord fa la sua strada, il Sud deve diventare la California d'Europa».Nonostante tutti i quattrini che sono sempre arrivati al Sud?«Parliamoci chiaro, il reddito di cittadinanza serve al voto di scambio, il Sud è il bacino elettorale che ha tenuto in vita chi ci ha governato in questi anni. Ma ora l'occasione è irripetibile visto che abbiamo le persone competenti per farlo. È una missione molto difficile ma la svolta sta lì».Come?«Il turismo è al primo posto, ma anche infrastrutture e tornare alla produzione in determinate aree che hanno la vocazione, a esempio, per la moda. Ci sono distretti straordinari che abbiamo dato in mano ai cinesi o ai bengalesi».Solo ora si corre ai ripari?«Mentre noi alzavamo le barriere all'importazione dalla Cina, non guardavamo ciò che stava succedendo nei nostri distretti industriali, in particolare del tessile. Abbiamo depauperato una manodopera eccellente per quella che arrivava in modo irregolare devastando interi territori».Che fare, quindi?«Se il reddito di cittadinanza sarà cancellato e sostituito da misure di sostegno a famiglie povere che esistono, se si potrà aiutare chi ha perso il lavoro e si deve riconvertire e ricollocare, si potrà parlare di una ripresa equa. Durante e dopo le chiusure, rispetto agli industriali tedeschi, noi non abbiamo avuto niente, ci siamo rialzati solo con le nostre forze grazie alle banche che hanno fatto il loro lavoro con imprenditori, sindacati e lavoratori. Eravamo tutti solidali e sulla stessa barca. Il governo non esisteva. Oggi la differenza rispetto a quel momento è che il governo c'è e al comando c'è il dream team».