2019-04-22
La Casa Bianca s’infila nella guerra dei sunniti
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La decisione degli Stati Uniti di riavvicinare Khalifa Haftar non deve stupire. Non solo perché l'uomo forte della Cirenaica ha vissuto per una ventina di anni in esilio in Virginia ed è stato collaboratore della Cia. Ma anche perché i suoi sforzi antiterrorismo sono in linea con le politiche del presidente Usa Donald Trump.La Libia è un nuovo Yemen piuttosto che una nuova Siria. Spesso la crisi nel Paese nordafricano è stata paragonata allo Stato fallito guidato da Bashar Al Assad e in preda alla guerra civile. In particolare, per il rischio che diventi un hub per il terrorismo e che alimenti la crisi dei rifugiati.In realtà, in palio nella guerra libica c'è la leadership dell'islam sunnita. Da una parte, infatti, troviamo Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto schierati al fianco del generale Khalifa Haftar, l'uomo forte della Cirenaica che il 4 aprile scorso ha lanciato la sua offensiva sulla capitale Tripoli; dall'altra, Turchia e Qatar, principali sostenitori di Fayez Al Serraj, il premier del Governo di accordo nazionale che a Tripoli ha la sua sede.Il sunnismo è la corrente maggioritaria dell'islam: comprende, secondo le stime, tra l'85 e il 90 per cento dell'intero mondo islamico tra Nord Africa e Medio Oriente. L'altra corrente è quella sciita, diffusa soprattutto in Iran, Iraq, Azerbaigian e Bahrein.Quando Haftar ha lanciato la sua offensiva su Tripoli l'ha fatto annunciando un'operazione contro il terrorismo infiltrato nel governo della capitale e del Paese. Tradotto: un'operazione contro le milizie islamiste che combattono al fianco di Serraj e la Fratellanza musulmana. Quest'ultima è l'organizzazione islamista nata al Cairo negli anni Venti dello scorso secolo che ha nel Partito libertà e giustizia il suo braccio politico. Di questa formazione faceva parte l'ex presidente egiziano Mohamed Morsi, rovesciato nel 2013 da Abdel Fattah Al Sisi, che oggi rappresenta per Haftar il tramite con Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. E cosa accomuna l'Egitto di Al Sisi e quei due Paesi del Golfo? L'opposizione alla Fratellanza musulmana e ai suoi sostenitori. Cioè Turchia e Qatar, principali sponsor, il primo militare e il secondo economico, del governo di Serraj.La decisione degli Stati Uniti di riavvicinare Haftar non deve quindi stupire. Non soltanto perché l'uomo forte della Cirenaica, ex generale sotto Muhammar Gheddafi, ha vissuto per una ventina di anni in esilio in Virginia ed è stato collaboratore della Cia. Ma anche perché i suoi sforzi «antiterrorismo» sono in linea con le politiche del presidente Usa Donald Trump.La Casa Bianca ha riferito soltanto venerdì scorso di una telefonata tra Trump e Haftar avvenuta il lunedì precedente (poche ore dopo la conversazione tra il presidente Usa e il premier italiano Giuseppe Conte). Secondo una nota ufficiale della Casa Bianca, Trump ha riconosciuto gli sforzi di Haftar «per combattere il terrorismo e mettere in sicurezza le risorse petrolifere del Paese». I due hanno inoltre «condiviso la visione per una transizione della Libia verso un sistema politico stabile e democratico», continua la nota. Intanto, il numero degli sfollati dall'inizio degli scontri armati a Tripoli ha superato quota 32.000. I morti sono almeno 254 e i feriti 1.128.La mossa Usa non soltanto ha spiazzato il Regno Unito, schierato al fianco di Tripoli perché legato a Misurata, e l'Italia, che sostiene Serraj visti anche i suoi rapporti con il Qatar ma che continua a sperare nell'intervento di Washington per riportare la pace in Libia e evitare nuove crisi di migranti. Ha anche cambiato le carte in tavola. Sono, infatti, diversi gli analisti che ora vedono come realistica la possibilità di intervento al fianco di Haftar da parte di Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita.L'intervento degli Stati Uniti, che giovedì scorso non hanno sostenuto con la Russia (anch'essa nemica della Fratellanza musulmana) la risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu elaborata dal Regno Unito per un cessate il fuoco immediato, ha tagliato fuori anche la Francia di Emmanuel Macron. Washington vuole evitare un ritorno dei suoi «boots on the ground» e sta cercando per vie diplomatiche di escludere un nuovo caos nell'area che ne richiederebbe l'intervento. Ecco perché Trump ha fatto pressione su Macron affinché la Francia ridimensioni le sue mire sulla Libia: Washington vuole evitare nuove frizioni tra Roma, in asse con Doha, e Parigi, che puntava a diventare il principale interlocutore europeo del Cairo.Così facendo gli Usa di Trump hanno anche dichiarato il loro appoggio a una delle due fazioni in guerra per la supremazia del mondo islamico sunnita, quella guidata dall'Arabia Saudita. A danno della corrente che fa capo al Qatar, il Paese che donò un milione di dollari alla Clinton Foundation quando Hillary Clinton, la sfidante democratica di Trump nel 2016, era segretario di Stato americano.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco