
Il ministro grillino della Difesa ha sempre bazzicato le stellette. È ufficiale della riserva e ha soggiornato in Iraq, Libano, Libia. Ma per i generali è un nessuno spuntato dal nulla che obbedisce al consorte, anche lui ministeriale, e all'uomo imposto da Rocco Casalino.«È arrivata la rifondarola», nel senso di donna sinistrorsa e pasticciona, come sottintende la desinenza «rola», riduttiva e liquidatoria. Così, hanno accolto la grillina Elisabetta Trenta le alte sfere della Difesa. Ormai, guida il dicastero da 3 mesi e il pregiudizio sembra confermato. Non c'è feeling tra il neoministro e i capintesta. Il primo a stroncarla, neanche insediata, è stato Marco Bartolini. È un generale pieno di mostrine, oggi nella riserva, che presiede l'associazione paracadutisti. Già scottato dall'affronto alle stellette rappresentato dalla piddina, Roberta Pinotti, quando ha appreso che un'altra gonnella avrebbe retto il ministero è sbottato: «Queste incompetenti allo sbaraglio completeranno la distruzione delle forze armate». La povera Trenta, in realtà, ha sempre bazzicato il mondo militare. È capitano della riserva e ha soggiornato in luoghi caldi: Iraq, Libano, Libia. Ha una sola colpa vera: essere un nessuno spuntato dal nulla. Un modesto ufficiale di bassa forza che ora impera su tutti. Colpa imperdonabile negli ambienti chiusi. Inoltre ha un principe consorte, Claudio Passarelli, capitano pure lui, sospettato di intortare la moglie a suo pro e favorire cordate amiche. Primo a seminare zizzania fu il piddino Michele Anzaldi. Un deputato che parla spesso a sproposito ma talvolta azzecca. Ha accusato Trenta di conflitto di interessi per due questioni. Secondo Le Point, settimanale francese, il neoministro presiede una società, SudgestAid, che fornisce mercenari in teatri di guerra. Al che, Anzaldi ha tuonato: «Com'è possibile nominare ministro una che assolda soldati privati? Che garanzia abbiamo che tuteli gli interessi dei nostri soldati e non invece quelli dei suoi mercenari?». Poi, sull'abbrivio: «A maggior ragione dal momento che il marito si occupa al ministero di appalti degli armamenti». Ossia, questa Trenta ha le mani troppo in pasta. Da un lato, ha un esercito suo che potrebbe favorire a danno del nostro. Dall'altro, un marito che può indurla a favorire commesse di armamenti a scapito di altre. Le bordate di Anzaldi, notorio polveronista, sono capziose ma hanno comunque messo Trenta in cattiva luce. Tanto più che le stanze che al ministero contano, e che avevano imbeccato il deputato, erano già prevenute. Il ministro si è affannato a smentire. Sui mercenari ha negato, spiegando che SudgestAid è una Onlus di aiuti umanitari. In ogni caso, l'ha abbandonata da tempo. Quanto al marito, mai si è occupato di armamenti. Appena insediata, lo ha però spostato di settore. Passarelli era capo segreteria del generale Carlo Magrassi, segretario generale della Difesa, competente per gli armamenti. La moglie lo ha ficcato all'Ufficio Affari generali. «Diretto da un dirigente civile. Questo taglia la testa al toro», ha sibilato Trenta piccata, sperando che la cosa finisse lì. Non è così. Voci di corridoio dicono che il consorte è stato spostato di stanza ma resta nei paraggi e agli ordini di Magrassi. Questo generale, che appartiene all'Aereonautica, sarebbe inoltre il burattinaio della ministra. Già fiduciario di Matteo Renzi, suo consigliere a Palazzo Chigi, legato a Luca Lotti, Magrassi, pilota collaudatore, è l'uomo che ha scelto l'Airbus saudita dell'ex premier. Ha messo alle costole di Trenta un suo sottoposto, il colonnello Pasquale Izzo, amico pure lui di Lotti. Izzo occupa l'ufficio che fu del factotum di Pinotti e gestisce il gabinetto della ministra. Grata per le premure che le ammannisce, Trenta vorrebbe adesso monumentare Magrassi. Lo desidera capo di stato maggiore della Difesa. L'attuale numero uno delle forze armate, Claudio Graziano, concluderà il mandato in novembre. Destinato a succedergli, era Enzo Vecciarelli. Ma la cotta magrassiana della ministra sconvolge ogni piano. A costo anche di forzare la legge, poiché il pilota di fiducia di Renzi ha superato l'età. Si vocifera che un decretino di qualche riga sia già allo studio per favorire il colpetto di mano. Se Magrassi la copre sul versante militare, dal lato politico la ministra è presidiata dal portavoce, Augusto Rubei. È uno spigliato giornalista di 33 anni, consulente dei grillini alla Camera. Già collaboratore di Repubblica, l'Espresso, Micromega, si presenta scanzonato nel curriculum: «Scrivo di Islam, così non mi becco una querela per qualsiasi str…zata». A tallonare la Trenta lo ha spedito Rocco Casalino, plenipotenziario 5 stelle per i rapporti istituzionali. Rubei la guarda a vista. Un giorno, mentre la ministra parlava con un alto papavero dell'industria armigera, l'ha rimbeccata: «Questo non lo puoi dire. Non è nel contratto di governo». Usciamo dagli spifferi del ministero per tornare all'aria aperta. Elisabetta è di 51 anni, senza figli. Nata a Velletri, sui Colli albani, ha frequentato il liceo classico e si è laureata in scienze politiche alla Sapienza. Il papà era all'Enel, la mamma è insegnante elementare, ha un fratello e una sorella. Di fatto, non ha mai smesso gli studi. Presa la laurea, intraprendendo la carriera di soccorritrice umanitaria, ha collezionato furiosamente master e crediti culturali da fare sbiancare il premier Giuseppe Conte. Un profluvio di cose che per me sono arabo: intelligence, analisi, strategia, security, tecniche audiovisive, cooperazione internazionale. La si direbbe una replicante di Laura Boldrini.Il grosso dei titoli, li ha acquisiti nelle aule della Link Campus, l'università dell'ex ministro dc, Enzo Scotti. Ateneo modesto ma di grande ascendente sui grillini. Vanta stage nella Cri, al Centro studi della difesa, ecc. Perfino alcuni seminari sui Diritti dei popoli alla fondazione Lelio Basso, tempio del terzomondismo. Di qui, la fama di sinistra. La capitana è in realtà politicamente saltabeccante. A metà del decennio scorso, con il Cav in auge, si aggirò pure dalle parti del centrodestra in questua di incarichi. Al grillismo è stata convertita da Paolo, il fratello, antico militante e candidato lo scorso giugno a sindaco velletrano. Nulla da fare: è giunto in coda a Pd, Fdi e Fi, nonostante la parentela. La ministra non ha infatti presa popolare, confermando di essere un quidam calato dall'alto. Ha però temperamento musicale. Suona la chitarra e l'organo. Va matta per la danza. È provetta nel tango argentino e della salsa, in tutte le salse: cubana, colombiana, venezuelana, perfino New York style. Nei primi due mesi al governo, è stata il contraltare del ministero dell'Interno, Matteo Salvini. Alla proposta del leghista di ripristinare la leva ha obiettato: «Idea romantica. Meglio l'esercito professionale». Sulla politica di freno all'immigrazione, ha ricamato: «La parola accoglienza è bella, la parola respingimenti è brutta». Sul caso della nave Diciotti a Catania, ha taciuto di fronte allo zelo soccorrevole dei comandanti della guardia costiera (suoi sottoposti per la carriera). È parsa, insomma, assai boldriniana. Le è bastato però andare una settimana fa al summit Ue a Vienna, sulla suddivisione degli immigrati, per affondare le mani disperata nei suoi capelli alla maschietta. «L'Europa non c'è», ha scandito, «vuole arrivare a Marte, si ferma a Catania. Faremo le nostre considerazioni». Che stia mutando la pelle rifondarola nella scorza dura del militare?
Franco Zanellato
Lo stilista Franco Zanellato: «Il futuro? Evolvere senza snaturarsi e non inseguire il rumore, ma puntare su qualità e coerenza. Nel 2024 abbiamo rinnovato il marchio partendo dal Dna. Il digitale non è più soltanto un canale di vendita».
C’è un’eleganza silenziosa nel successo di Zanellato. In un panorama della moda che cambia rapidamente, tra nuove sensibilità e mercati in evoluzione, il brand fondato da Franco Zanellato continua a crescere con coerenza e autenticità, restando fedele ai valori del Made in Italy e a un’idea di lusso discreto e consapevole. Partito da Vicenza, ha saputo trasformare l’azienda di guanti di famiglia, in un luxury brand conosciuto in tutto il mondo. L’iconica Postina, simbolo di una femminilità raffinata e senza tempo, oggi dialoga con tre nuove borse che ampliano l’universo creativo della maison, interpretando con linguaggio contemporaneo il concetto di «Arte e mestieri» che da sempre ne definisce l’identità. Una visione che piace e convince. A trainare questa crescita, il mercato italiano e la piattaforma e-commerce, ma soprattutto una strategia che mette al centro la ricerca, l’equilibrio tra tradizione e innovazione, e un dialogo sempre più diretto con le donne che scelgono Zanellato per ciò che rappresenta: autenticità, bellezza, rispetto dei tempi e dei gesti, una filosofia che unisce artigianalità e design contemporaneo sempre vincente. Ne abbiamo parlato con Franco Zanellato per capire come si spiega questo successo e quale direzione prenderà l’azienda nei prossimi anni.
iStock
Proviene dal «maiale degli alberi»: dalle foglie alla corteccia, non si butta niente. E i suoi frutti finiscono nelle opere d’arte.
Due sabati fa abbiamo lasciato la castagna in bocca a Plinio il Vecchio e al fior fiore dell’intellighenzia latina, Catone, Varrone, Virgilio, Ovidio, Apicio, Marziale, i quali hanno lodato e cantato il «pane dei poveri», titolo ampiamente meritato dal frutto che nel corso dei secoli ha sfamato intere popolazioni di contadini e montanari.
Albert Bourla (Ansa)
Il colosso guidato da Bourla vende una quota della sua partecipazione nella casa tedesca. Un’operazione da 508 milioni di dollari che mette la parola fine sull’alleanza che ha dettato legge sui vaccini anti Covid.
Pfizer Inc vende una quota della sua partecipazione nella casa farmaceutica tedesca Biontech Se. Il colosso statunitense offre circa 4,55 milioni di American depositary receipts (Adr) tramite un collocamento accelerato, con un prezzo compreso tra 108 e 111,70 dollari per azione. L’operazione porterebbe a Pfizer circa 508 milioni di dollari, segnala la piattaforma di dati finanziari MarketScreener.
Da sinistra, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli e Maurizio Landini (Ansa)
Secondo uno studio, solo nel 2024 hanno assicurato all’erario ben 51,2 miliardi di euro.
A sinistra c’è gente come Maurizio Landini, Elly Schlein o l’immancabile duo Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni che si sgola per denunciare il presunto squilibrio della pressione fiscale che grava sui cittadini e chiede a gran voce che i ricchi paghino di più, perché hanno più soldi. In parole povere: vogliono la patrimoniale. E sono tornati a chiederla a gran voce, negli ultimi giorni, come se fosse l’estrema ancora di salvataggio per il Paese.






