2020-07-02
La Bce scommette sulle maxi fusioni e spinge a nozze sia Intesa che Mps
Francoforte annuncia che i requisiti patrimoniali degli istituti non ostacoleranno le integrazioni. Più che a Ubi, il messaggio pare diretto al Mef, che lavora per uscire da Siena e trovare un partner. Banco-Bpm?La Bce fa da sensale alle nozze tra banche per incoraggiare un’ondata di fusioni in Europa. O comunque non si metterà di traverso davanti all’altare. Come? In una guida pubblicata ieri e aperta alla consultazione, Francoforte ha promesso, in primis, che i requisiti patrimoniali non ostacoleranno i piani di integrazione. Verrà inoltre concesso l’uso dei propri modelli contabili così come degli avviamenti negativi (badwill). Con matrimoni e acquisizioni il sistema si rafforza, raggiungendo le economie di scala necessarie per affrontare le sfide post Covid-19. La Bce ha, quindi, invitato le parti coinvolte a rispondere alla consultazione entro il primo ottobre. «È importante che la guida definitiva risulti il prodotto di una riflessione congiunta», ha spiegato, «su come fare progressi e promuovere un settore bancario europeo più resiliente», ha detto Edouard Fernandez-Bollo, componente del Consiglio di Vigilanza della Bce. In sostanza, la Vigilanza non penalizzerà i progetti di aggregazione «con la richiesta di più alti requisiti di capitale e di guidance», ha aggiunto Fernandez-Bollo che insiste sull’importanza di fornire ai supervisori di Francoforte un’ampia informativa preventiva da parte dei promessi sposi, in particolare sulla sostenibilità del modello di business. Non si tratta di dettagli o di sfumature. Perché l’assist della Bce alla vigilia di due partite cruciali per il riassetto del sistema bancario italiano. La prima, è l’Ops lanciata da Intesa Sanpaolo su Ubi (già «benedetta» dalla Bce) che vede già da mesi agitarsi i tifosi sugli spalti con tanto di fumogeni legali sparati dalla curva bresciano-bergamasca. Il secondo match, quello sul futuro del Mps, è invece ancora da organizzare ma qualcosa si muove già a bordo campo con il Mef pronto a cercare un nuovo socio di maggioranza cui cedere il testimone sul Monte. L’offerta di Intesa prenderà il via lunedì 6 luglio per chiudersi il 28 dello stesso mese. Quattro giorni prima, il 24 luglio, si terrà al Tribunale civile di Milano la prima udienza del procedimento avviato da Ubi Banca per accertare che gli effetti della comunicazione dello scorso 17 febbraio con cui il gruppo guidato da Carlo Messina annunciava e avviava formalmente il procedimento d’offerta fossero cessati per effetto dell’avveramento della clausola di «Material adverse change» (Mac), con tutte le relative conseguenze, incluso il venir meno della cosiddetta passivity rule (la regola che impone al cda di astenersi da manovre di contrasto come aumenti di capitale, fusioni o trasformazioni societarie tese a ostacolare l’esito dell’Ops). Dall’altra parte, resta però da chiarire il ruolo di Parvus asset management che detiene una quota di Ubi: sui titolari ultimi del pacchetto dell’8% in gestione al fondo londinese di Edoardo Mercadante hanno infatti acceso un faro sia la Consob sia la Procura della Repubblica di Milano. L’operazione Intesa-Ubi ormai ai blocchi di partenza ha comunque accelerato il consolidamento bancario ormai da tempo invocato dalla Bce. Lasciando ipotizzare la nascita di un terzo polo del credito, da aggiungere ai due grandi pianeti Intesa e Unicredit, che potrebbe unire una parte di quel mondo Popolare ancora rimasto in piedi magari annettendo qualche altro satellite se non si farà avanti un buon samaritano straniero. Non a caso i riflettori del mercato si sono riaccesi improvvisamente martedì scorso per le voci rilanciate dall’agenzia Reuters su una possibile integrazione tra il Monte dei Paschi e il BancoBpm. Ieri i rumors, già smentiti dai vertici dell’istituto di piazza Meda, non hanno però scaldato i due titoli in Borsa. Anzi. Mps ha chiuso la seduta lasciando sul terreno il 2,6% e mentre le azioni della banca milanese hanno ceduto il 2,2 per cento. Di certo, lo Stato si è impegnato con l’Europa a uscire dal capitale entro il 2021 e sarebbe già allo studio un decreto ad hoc per autorizzare il Tesoro (al 63% del Monte dopo lo spin off dei crediti deteriorati a Amco, controllata dallo stesso ministero) a dismettere la quota. Si vedrà come e in quanti step. Un partner va trovato e senza l’oscura dote dei crediti deteriorati il Monte ora diventa più appetibile. Il sorvegliato speciale resta la Bpm presieduta da Massimo Tononi (ex presidente del Monte) in ottimi rapporti con il direttore generale del Mef, Alessandro Rivera. Il problema è che le nozze comporterebbero costosi oneri di ristrutturazione, oltre alla necessità di un aumento di capitale, senza dimenticare il fardello delle numerose cause legali in capo a Mps, il cui petitum ammonta a 4,8 miliardi. Ma la strada verso le fusioni è ormai segnata e l’assist di ieri della Bce la rende meno ripida.