2022-10-21
L’«oracolo» Amara finisce all’angolo e per 15 volte si rifiuta di rispondere
Piero Amara (Imagoeconomica)
Perugia, il faccendiere sfugge alle domande dei difensori di Luca Palamara e Stefano Fava (la toga che voleva arrestarlo). Dopo quattro anni a spasso per le Procure d’Italia, il superteste ha deciso di tacere su massoneria e Csm.C’è chi cerca, anche in questi giorni, di restituire credibilità alle testimonianze del faccendiere Piero Amara, attendibilità minata da numerose presunte calunnie e dai fantascientifici racconti sulla cosiddetta loggia Ungheria, la cui esistenza la Procura di Perugia, dopo lunghe indagini, ha escluso. Ma se c’è chi prova a resuscitare l’Amara teste, in vista di alcuni importanti procedimenti, come quello contro l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, alla prova dei fatti l’avvocato siciliano continua a mostrarsi tutt’altro che affidabile. Il 7 ottobre era l’occasione per dimostrare a tutti i suoi detrattori una certa coerenza. E invece il professionista di Siracusa, nel processo perugino a carico di Palamara e dell’ex pm della Procura di Roma Stefano Fava (che, per le menzogne con cui infarciva i suoi verbali e perché continuava a delinquere, voleva arrestarlo), ha scelto di rispondere solo alle domande dei pm Gemma Miliani e Mario Formisano. A quelle, evidentemente poco gradite dei difensori degli imputati, per ben 15 volte si è avvalso della facoltà di non rispondere, sottraendosi al controesame delle difese. E tutto ciò dopo oltre quattro anni di presunta collaborazione con la giustizia, cominciata nell’aprile del 2018, due mesi dopo che le Procure di Messina e di Roma lo avevano arrestato per numerosi reati, tutti prontamente patteggiati.Così Amara si è rifugiato nel «non rispondo» quando gli è stato chiesto dal difensore di Fava, l’avvocato Luigi Castaldi, di spiegare per quale motivo il 12 luglio 2019, in una memoria inviata alla Procura di Milano, avesse scritto che Palamara non aveva commesso alcun reato e che lui si era sempre rifiutato di accusarlo, per poi cambiare idea a Perugia due anni dopo. «Leggendo sembrerebbe che qualcuno le abbia proprio proposto di formulare accuse ingiuste [...]», ha provato a contestare Castaldi. E Amara ha subito capito che il controesame poteva mettersi male, ha iniziato a sparacchiare la palla in tribuna: «Siccome non riguarda soggetti né romani, né di questo procedimento, ma la querelle che io ho con un ex magistrato della Procura di Milano, su questo punto mi devo avvalere della facoltà di non rispondere». La toga lombarda è rimasta senza nome, ma la finalità della domanda probabilmente era un’altra: valutare l’attendibilità del testimone.Che poco dopo ci è ricascato, rifiutandosi di indicare l’identità di chi lo avesse invitato a fare dichiarazioni contro Palamara, ma anche sul cosiddetto «patto della Rinascente». Una ricostruzione, quest’ultima, con cui ha provato a incastrare i vertici dell’Eni e che gli è valsa un’imputazione per calunnia a Milano. Poi è stato decisamente vago di fronte alla domanda su chi gli avesse presentato le fonti che gli avevano procurato informative investigative ancora non depositate: «Guardi, diverse fonti, una interna su cui mi avvalgo della facoltà di non rispondere e un’altra invece attraverso il sistema di sicurezza di Bigotti (il riferimento è all’imprenditore torinese Enzo Bigotti, ndr)».E ha glissato ancora, quando gli è stato chiesto della calunnia costruita (come sostengono i pm di Milano) ai danni dell’ex consigliere del Csm Marco Mancinetti.Ha mantenuto la stessa linea quando gli è stato chiesto di riferire da chi avrebbe avuto, nel marzo 2019, la richiesta cautelare che Fava aveva preparato nei suoi confronti per la vicenda Napag (una delle società considerate a lui riconducibili). Amara ha confermato di averla letta, «perché era stata depositata in qualche fascicolo». Ma si tratta di un’affermazione senza riscontri. Ma il nostro offre subito anche un’altra versione: «L’ho anche saputo anche dai giornali[...] avevo notizia che Fava volesse colpirmi». Ma subito dopo ha usato la solita formula: «Su questo mi devo avvalere della facoltà di non rispondere perché è collegato alla vicenda milanese». Le altre inchieste che lo coinvolgono, insomma, sono state usate come uno scudo da Amara. L’avvocato Castaldi, però, ci ha riprovato: «Quando ha saputo che il dottor Giuseppe Pignatone (all’epoca capo della Procura di Roma, ndr) non aveva inoltrato al gip la richiesta cautelare fatta da Fava nei suoi confronti?». E si è sentito rispondere per l’ennesima volta: «Su questo mi avvalgo della facoltà di non rispondere».Formula usata anche per le domande sulla loggia Ungheria, su cui in passato era stato molto più ciarliero.E anche sul «collegamento» tra la vicenda Ungheria e l’ex presidente del Consiglio di Stato, ora giudice costituzionale Filippo Patroni Griffi, il catenaccio di Amara è stato netto. Stessa chiusura sui rapporti con alcuni vecchi collaboratori dell’ufficio legale dell’Eni, la compagnia per la quale aveva fatto da consulente. Pur ammettendo di aver fatto conferire incarichi da parte dell’azienda del Cane a sei zampe a molti legali suoi amici, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Stessa solfa sui rapporti di tipo lavorativo tra l’Eni e l’avvocato Domenico Ielo (fratello del procuratore aggiunto di Roma Paolo). In realtà, in questo caso, Amara ha cominciato a rispondere alla domanda del difensore di Palamara, l’avvocato Roberto Rampioni, e a raccontare di aver provato a sbirciare le fatture del professionista: «Si accedette al cassetto fiscale anche dell’avvocato Ielo... attraverso persone insomma […] per verificare anche rapporti con una società francese [...] perché l’obiettivo era colpire il dottor Ielo». Ha spiegato anche che contro l’aggiunto era stata «predisposta una denuncia». Una notizia succulenta che, però, Amara, anche in questo caso ha lasciato sospesa: «Avrebbe dovuto essere depositata a Perugia, però su questo punto mi devo... sul prosieguo e sul perché ritenevamo che potessimo avere delle buone chance purtroppo mi devo avvalere della facoltà di non rispondere perché è collegata a una terza persona, magistrato». Rampioni lo incalza: «Alla figura del procuratore capo?». Risposta secca: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere».E, a seguito di una domanda dell’altro difensore di Palamara, l’avvocato Benedetto Marzocchi Buratti, non ha voluto chiarire neppure gli (da lui) asseriti rapporti con un altro aggiunto di Roma Antonello Racanelli (che lo ha denunciato per calunnia).E, così, l’oracolo che è riuscito a portare per mano più di una toga per le Procure di mezza Italia, alla prova dei processi si rivela soltanto un testimone reticente che sceglie quando e chi accusare.