2025-02-14
L'Islam vota in Germania. Col sangue
Alice Weidel e Friedrich Merz
Imbarazzo del governo: Olaf Scholz alza la voce ma il ministro degli Esteri parifica di fatto pericolo islamista a Afd. Il partito della Weidel: «È l’ora di un cambiamento».Mancano meno di dieci giorni al voto che rinnoverà il Bundestag, e difficilmente in Germania si ricorderà una campagna elettorale imbrattata da una tale scia di sangue. Dopo gli attacchi al coltello di Solingen, la strage al mercatino di Natale a Magdeburgo e l’eccidio di Aschaffenburg, ieri è stato il turno di Monaco. Nel capoluogo della Baviera, un afgano di 24 anni, di nome Farhad N. (come riferisce lo Spiegel), si è lanciato con la sua auto contro la folla che avevo preso parte a una manifestazione del sindacato Verdi. L’attentatore, anche stavolta, è un immigrato con precedenti penali a cui era stato negato il diritto d’asilo (la sua espulsione era stata sospesa) e che ha pubblicato sui social post islamisti. La notazione potrà suonare macabra, ma rimane un fatto che i vertici di Verdi figurano tra i sindacalisti che più si sono spesi per l’accoglienza indiscriminata dei profughi (o presunti tali) e per le martellanti campagne mediatiche contro l’Afd e l’«estremismo di destra». Insomma, quasi tutti hanno ormai chiaro che la politica delle porte aperte - voluta e imposta nel 2015 da Angela Merkel - ha miseramente fallito. Ed è quindi probabile che questo ennesimo fatto di sangue avrà notevoli ricadute sulla campagna elettorale. Chi dovrebbe approfittare maggiormente di questa vicenda sono la Cdu e, soprattutto, l’Afd. Anche perché, presso l’opinione pubblica, i cristiano-democratici scontano ancora le decisioni prese dalla loro ex leader, e cioè proprio la Merkel. Non è un caso che i sondaggi riflettano piuttosto fedelmente questa tendenza: appena l’immigrazione illegale è diventata il tema dominante del dibattito politico, i partiti «gemelli» dell’Unione (Cdu e Csu) hanno patito una leggera ma evidente flessione, che li ha portati da oltre il 30% delle preferenze all’attuale 29%. I sovranisti dell’Afd, al contrario, con la loro linea dura sui respingimenti sono schizzati al 22% dei consensi, consolidandosi come seconda forza del Paese. E non è escluso, appunto, che l’attentato di Monaco possa dar loro un’ulteriore spinta. Di fronte all’accaduto, le reazioni della politica tedesca sono state prevedibili nella solidarietà alle vittime e nella ferma condanna dell’autore del misfatto. Quello che però colpisce è che, oramai, il tema dell’immigrazione irregolare non può più essere negato o eluso. Lo stesso Olaf Scholz, per esempio, ha chiesto con fermezza che il sospettato venga senz’altro condannato e poi espulso: «Non deve esserci alcuna clemenza, deve essere punito e lasciare il Paese», ha dichiarato il cancelliere a margine di un incontro a Fürth. «Un atto come quello di Monaco non può essere né tollerato né accettato. La magistratura dovrà adottare misure severe contro questo attentatore, utilizzando tutti i mezzi a sua disposizione», ha proseguito Scholz. Che poi ha aggiunto: «Chiunque commetta reati in Germania non solo verrà severamente punito e mandato in prigione, ma dovrà anche aspettarsi di non poter più soggiornare in Germania». E ciò, ha specificato il leader della Spd, «vale anche per i Paesi in cui il rimpatrio è più complicato». Il ministro dell’Interno, la socialdemocratica Nancy Faeser, ha usato toni altrettanto duri: «Ancora una volta», ha affermato, «il presunto colpevole è un giovane afgano. La risposta non può che essere questa: lo Stato di diritto deve essere il più severo possibile. Abbiamo già inasprito notevolmente le leggi che prevedono l’espulsione dei criminali violenti e un aumento del numero dei rimpatri. Sono leggi che ora vanno applicate con il massimo rigore. Siamo l’unico Paese in Europa che espelle persone in Afghanistan nonostante il regime dei talebani, e continueremo a farlo».Più sfumata la posizione dei Verdi, che da sempre sono sostenitori accaniti dell’immigrazione. Il candidato alla cancelleria, Robert Habeck, non ha speso una parola sulle conseguenze della politica delle porte aperte, ma si è limitato ad augurarsi che le indagini facciano presto chiarezza sui dettagli della vicenda. Dal canto suo, mentre era in visita a Parigi, Annalena Baerbock ha fatto persino peggio, non trovando di meglio da dire che una «divisione nella società democratica» deve essere evitata a ogni costo: «Di fronte alle sfide sia esterne che interne», ha dichiarato il ministro degli Esteri, «è ancora più importante che nel nostro Paese rimaniamo uniti come democratici. Non ci lasceremo dividere né dagli estremisti di destra né dagli islamisti che mettono in discussione il nostro Stato di diritto». Se dalle forze di governo ci spostiamo a quelle di opposizione, i toni si fanno ovviamente più netti. «La sicurezza dei cittadini tedeschi sarà la nostra priorità, faremo rispettare la legge in maniera rigorosa», ha scritto su X il leader della Cdu, Friedrich Merz. Che poi ha aggiunto: «Tutti nel nostro Paese devono tornare a sentirsi sicuri. La Germania ha bisogno di un cambiamento». Un cambiamento che è stato chiesto a gran voce anche da Alice Weidel: «Ancora una volta numerosi feriti gravi, ancora una volta donne e bambini tra le vittime. Si può continuare così? Ci occorre una svolta nella politica migratoria adesso!», ha tuonato la copresidente dell’Afd. Parole altrettanto dure sono state pronunciate pure da Christian Lindner, il leader della Fdp che ha portato alla caduta della coalizione semaforo: «Questo attentato», ha detto, «è avvenuto secondo modalità già note. Quello che bisogna fare è ovvio ed è stato già discusso molte volte. Dobbiamo agire. E chi non è pronto a farlo», ha concluso, «non può assumersi la responsabilità di governare il nostro Paese».
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
Francesca Albanese (Ansa)