2023-08-13
Il «marcio» spara: «Sinistra? Non è più punk»
Al centro, Johnny Rotten con i Sex Pistols. Nel riquadro il cantante oggi. (Getty Images)
Johnny Rotten, ex frontman dei Sex Pistols, demolisce i progressisti contemporanei: «Si occupano solo di politiche simboliche, aiutano i neri perché è trendy». L’immigrazione «non può essere fuori controllo. Ma se la pensi diversamente, diventi un razzista».La sinistra non è più punk. Sempreché lo sia mai stata per davvero. A certificarlo è nientemeno che John Lydon. Conosciuto anche con il nome d’arte Johnny Rotten, Lydon è stato per anni la voce e il frontman dei Sex Pistols, la band più iconica del punk rock. Che, negli anni Settanta e nei decenni successivi, non è stato solo un genere musicale, ma anche e soprattutto una vera sottocultura. Secondo un luogo comune molto diffuso, il punk sarebbe uno stile di vita tipicamente di sinistra. Ma le cose, appunto, sono molto più complicate. D’altronde, com’è possibile definire punk rock qualcosa come il politicamente corretto, i buoni sentimenti da beghine o quella «cultura del piagnisteo» che permea l’intera ideologia woke? Esatto, non è possibile. E questo lo sa benissimo anche John Lydon.Intervistato l’altro ieri dalla Welt, l’ex cantante dei Sex Pistols ha letteralmente demolito la sinistra contemporanea, sparando ad alzo zero contro tutti i dogmi del globalismo, il nuovo culto secolare e decadente che ha fatto legioni di proseliti tra i suoi ex compagni di viaggio. In un dialogo al fulmicotone con il quotidiano tedesco, infatti, il carismatico ed eccentrico artista britannico si è lamentato del fatto che «il mondo si è spostato sin troppo a sinistra». Una sinistra che, ha aggiunto, negli anni si è completamente trasformata, cambiando pelle come un serpente. Ormai, ha fatto notare Lydon, i progressisti woke si occupano solo della «politica simbolica», ossia di battaglie che non hanno nulla a che fare con le strutture socioeconomiche delle nostre comunità: «I neri vengono invitati solo perché sono neri e perché fa trendy», è l’esempio citato dall’ex cantante dei Sex Pistols. Che poi deplora il modo in cui la sinistra ha abbracciato l’immigrazione di massa e senza confini, insultando come «razzista» chiunque sostenga la necessità di regolare i flussi migratori. Peggio ancora: con un’ipocrisia senza pari, insorge Lydon, le élite progressiste spediscono i richiedenti asilo nei quartieri popolari, portando in quelle aree urbane già degradate «ancora più criminalità e disoccupazione».Ecco, l’ex voce dei Sex Pistols non ci sta a questo giochetto: «Non appena si va contro a tutto questo, si viene subito bollati come razzisti». Eppure, rimarca con forza, «io non sono affatto un razzista e non lo sarò mai», anche in virtù delle sue origini proletarie: la politica, puntualizza, «sta distruggendo i valori della classe lavoratrice». Che, secondo il cantante britannico, sono valori che «si basano sull’empatia, l’amore e il rispetto, su un codice che prevede che non si ruba a nessuno e che, in caso di bisogno, ci si debba aiutare reciprocamente». E la sinistra di oggi, dimentica delle sue radici culturali e sociali, «sta sacrificando questi valori sull’altare di un elitismo modaiolo». Non si sarebbe potuto dir meglio.Il discorso, tuttavia, per Lydon è molto più ampio. La maggioranza delle persone, a suo dire, segue questa nuova politica «come fosse una religione», lasciandosi dettare una lunga serie di regole. «Quando il numero di questi individui avrà raggiunto la massa critica, allora sarà la fine del mondo». Per l’ex cantante dei Sex Pistols, infatti, moltissime persone si sarebbero fatte mettere sotto «una tutela collettiva»: sono «come pecore che trotterellano in un grande gregge». Insomma, è una crisi di civiltà quella di cui ci parla Lydon: una crisi che viene acuita dall’ideologia woke e dai tanti feticci della postmodernità. Di fronte al supremo culto del globalismo, sostiene l’artista britannico, anche i seguaci delle religioni tradizionali diventano atei devoti, come «quelle persone che si definiscono cristiane o musulmane, ma che non hanno mai letto la Bibbia o il Corano».Tra i tanti bersagli dei suoi strali, Lydon non si fa mancare neanche una stoccata al nuovo re d’Inghilterra, Carlo III. Il sovrano, specifica il cantante, «non è certo la persona più assennata del pianeta» e, pertanto, tenta «con disperazione di accattivarsi le simpatie dell’universo woke. Io temo che farà parecchio casino non appena si immischierà nelle faccende di politica internazionale».Insomma, dopo la recente polemica suscitata dal cantante country Jason Aldean, accusato di aver scritto una sorta di inno della destra trumpiana, che promuove violenza e razzismo, adesso anche John Lydon sembra essersi iscritto alla lista dei «cattivi». D’altra parte, malgrado le sue origini popolari e sinistrorse, l’ex frontman dei Sex Pistols ha spesso sostenuto posizioni piuttosto scomode. Nel 2017, ad esempio, ammise di aver cambiato idea sulla Brexit: «Beh, la classe lavoratrice si è espressa e io sono uno di loro e, pertanto, sto con loro». Di qui derivano i suoi apprezzamenti per Nigel Farage, da lui definito un politico «fantastico». Ma anche nel 2020, in occasione delle elezioni presidenziali americane che avevano visto una vera mobilitazione di massa delle truppe liberal, Lydon diede scandalo dicendo che, fosse stato statunitense, avrebbe votato per Donald Trump. Senza contare che, già nel 2018, era stato fotografato mentre indossava una maglietta con la scritta «Make America great again». Cioè il più celebre degli slogan trumpiani.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.