2023-08-31
Ipotesi dismissioni ma manca il piano
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Per reperire risorse si pensa di privatizzare quote delle partecipate. Giorgia Meloni blinda i porti, Mps è nelle sabbie mobili. Il governo deve decidere cosa mettere sul mercato.«Certamente ci sono delle situazioni che potrebbero originare una riallocazione delle partecipazioni dello Stato». Erano state queste le parole del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, nella conferenza stampa tenuta al termine del cdm di lunedì a proposito della possibilità di percorrere la strada della privatizzazione per reperire risorse per la manovra. Strada suggerita dal vicepremier, Antonio Tajani, che aveva soprattutto tirato in ballo i porti ricevendo subito la bocciatura dall’altro vicepremier, Matteo Salvini. L’orientamento sarebbe vendere quote di minoranza ma con tutte le precauzioni necessarie, soprattutto per le società considerate strategiche. Il vero problema è che c’è ancora grande confusione su cosa mettere sul mercato. Tra le società quotate viene evocata Mps, di cui ancora lo Stato detiene il 64,2%. Ma nel caso della banca senese la privatizzazione è una non notizia nel senso che la discesa del Tesoro dal Monte è stata concordata da tempo con l’Europa, anzi è pure slittata a fine 2024 perché non c’è la fila di cavalieri bianchi all’orizzonte. Su Enel (23,5%), Eni (4,34%, più il 25,76% attraverso Cdp) o Leonardo (30,2%) l’interesse strategico appare preminente e, di conseguenza, i margini per ricavare denari appaiono stretti. Poi ci sono Poste italiane (29,26% più il 35% attraverso Cdp): la privatizzazione è iniziata a fine 2015 e il Tesoro ha ceduto al mercato il 34,7% del capitale, incassando più di 3 miliardi. In passato si è ipotizzata anche una seconda tranche di Poste, mai realizzata. Nel campo delle ipotesi, poi, ci sono le Ferrovie. L’idea di mettere sul mercato il 405 del gruppo (esclusa l’infrastruttura) risale al 2015 ma non se n’è fatto nulla. Quanto a Ita, l’ex Alitalia, il Tesoro sta già vendendo il 41% a Lufthansa ma manca ancora il via libera definitivo dell’Antitrust Ue. Infine, sui porti: ieri in un’intervista a Giorgia Meloni pubblicata dal Sole 24 Ore si è letto che il presidente del Consiglio è stato chiaro: la privatizzazione dei porti voluta da Tajani «non è all’ordine del giorno e non credo sia un tema da campagna elettorale». Ma il problema non è solo cosa privatizzare, ma anche come. Soprattutto se ad aprire le porte del capitale sono aziende in settori strategici. Vanno infatti evitati errori come quello commesso su Cdp reti, la holding cui fanno capo quote strategiche in Snam, Terna e Italgas. Insomma, gas ed elettricità. Nel 2014 State grid corporation of China ha acquisito per circa 2 miliardi il 35% di Cdp reti dal braccio finanziario del Tesoro. A quei tempi il premier era Matteo Renzi - che aveva deciso di disfarsi di un asset strategico nell’ansia di portare a caso un congruo pacchetto di privatizzazioni, come promesso a Bruxelles - e al vertice di Cassa depositi e prestiti c’erano Giovanni Gorno Tempini come ad e Franco Bassanini come presidente. Il patto parasociale tra i cinesi e Cdp, che scade a novembre, va verso il rinnovo automatico per altri tre anni. A meno di interventi del governo che, va ricordato, a giugno ha però imposto alcune prescrizioni per limitare l’influenza del gruppo cinese Sinochem su Pirelli. Le privatizzazioni servono al governo per far cassa ma non per sistemare l’operazione tra il Mef e Kkr sulla rete di Tim che non impatta sulla spesa corrente e sul deficit. Lunedì in cdm è stato approvato anche un decreto legge che dà copertura al dpcm fino a un importo massimo di 2,2 miliardi. Per finanziare l’operazione, il Tesoro non userà i soldi della tassazione sugli extraprofitti delle banche ma stanzierà dei fondi che verranno poi spalmati nel corso delle prossime manovre.
Beatrice Venezi (Imagoeconomica)