2020-01-28
«Io sono cattolico». Quei tour in Italia di Bryant nelle chiese della sua infanzia
Quando tornava nel nostro Paese, la star della pallacanestro andava a visitare le parrocchie dove aveva ricevuti i sacramenti.Venti stagioni in Nba, 5 volte campione, oltre 33.000 punti segnati con i mitici Los Angeles Lakers. Kobe Bryant, 41 anni, è morto insieme alla figlia Gianna, 13 anni, e altre sette persone che erano con loro, schiantandosi con il suo elicottero domenica 26 gennaio sulla collina di Calabasas, contea di Los Angeles, California. L'incidente sarebbe stato causato dalla pessima visibilità che ha portato il pilota a alzare la quota dell'elicottero e poi a schiantarsi contro una collina. I nove passeggeri, tra cui appunto la stella del basket mondiale, stavano dirigendosi alla Mamba Sports Academy di Thousand Oaks per una partita. Bryant era il basket. Come lui solo alcuni altri grandissimi, Magic Johnson o Michael Jordan per fare due nomi, fenomeni che a guardarli giocare ti sembrava che la legge di gravità potesse essere vinta e che la potenza, la tecnica e la fantasia si fossero incarnate una volta per sempre.Kobe ha avuto un passato italiano, trascorso negli anni decisivi per la formazione. Dai 6 ai 13 anni, Bryant ha vissuto a seguito del padre che ha giocato a Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia. Siamo sul finire degli anni Ottanta e il giovane Kobe impara i fondamentali del basket nel Belpaese e frequenta le nostre scuole; quando abitava a Ceriglio, nell'Italia profonda e autentica della provincia di Pistoia, ha respirato il sapore dei bar italiani di periferia, quelli che stanno al centro di un paese in tutti i sensi. Nel 2013, ha raccontato Il Tirreno, Kobe è tornato proprio a Ceriglio e ha incontrato lo storico titolare del My bar facendogli una sorpresa e poi, con alcuni amici di allora, ha fatto un tour dei ricordi, toccando anche, oltre la sua vecchia casa, la chiesa dove ha ricevuto i sacramenti.Perché Kobe era cattolico, cresciuto in una famiglia cattolica, sposato con Vanessa nel 2001 in una parrocchia del sud della California. Non una fede banale, a quanto pare. Nel 2003 una brutta storia: Bryant viene arrestato con l'accusa di aver violentato una donna in una stanza d'albergo del Colorado. Il campione sostiene che quell'incontro sia stato consensuale, ma la vittima afferma il contrario e Bryant deve affrontare il processo rischiando la galera. «L'unica cosa che mi ha davvero aiutato durante quel processo - sono cattolico, sono cresciuto cattolico, i miei figli sono cattolici - era parlare con un prete». Così ha dichiarato a GQ nel 2015, ricordando quella brutta vicenda che dopo il ritiro delle accuse penali venne poi risolta in sede civile.Quel sacerdote, ricordava Bryant, «mi guarda e dice: “L'hai fatto?". E io dico: “Certo che no". Poi chiede: “Hai un buon avvocato?". E io: “Sì, fenomenale". Quindi disse solo: “Lascialo andare. Vai avanti. Dio non ti darà nulla che tu non possa gestire, ed è nelle Sue mani adesso. Questo è qualcosa che non puoi controllare. Quindi lascialo andare". E questo è stato il punto di svolta», ha dichiarato Bryant a GQ.Kobe si è affidato. Ma le difficoltà, come sa ogni buon cattolico che si incammina sulla strada del Maestro, non finiscono e la vita resta sempre una partita da giocare fino in fondo. Nel 2011 un'altra prova: il suo matrimonio con Vanessa entra in crisi e la moglie chiede il divorzio, ma lui non si arrende e dopo due anni viene ritirata la richiesta di separazione e i due ripartono insieme alle figlie (ne nasceranno altre due dopo la crisi, in tutto quattro). «Non ho intenzione di dire che il nostro matrimonio è perfetto», ha detto Bryant a GQ nel 2015. «Combattiamo ancora, proprio come ogni coppia di sposi. Ma sai, la mia reputazione di atleta è che sono estremamente determinato e che lavorerò duro. Come potrei farlo nella mia vita professionale se non fosse così nella mia vita personale, quando ciò colpisce le mie figlie? Non avrebbe alcun senso». Come in campo, così nella vita Kobe Bryant dimostra, da vero fuoriclasse, che non si deve mollare mai e anche quando si cade bisogna imparare a rialzarsi. Lo si fa guardando in Alto, più in alto del canestro, dove c'è un Salvatore pronto a tenderti la mano. L'unico compito lasciato a noi è quello di affidarsi davvero, senza trucchi o scorciatoie.Lo ha imparato dalla sua famiglia Kobe e forse, chissà, lo avrà vissuto personalmente proprio a Ceriglio dove ha ricevuto i sacramenti. Proprio in quella provincia italiana di cui a volte ci vergogniamo perché ritenuta fuori moda, perché non offre stimoli, perché vorremmo andare in America, ma che in realtà nasconde la storia e il tesoro di una cultura che ha forgiato una civiltà e molti uomini valorosi.La famiglia di Kobe Bryant frequentava regolarmente una parrocchia della Contea di Orange, in California, e dopo la sua morte, alcuni sui social media hanno affermato di averlo visto a Messa prima del giro in elicottero che ha concluso la sua vita. Anche il presidente dei vescovi degli Stati Uniti, l'arcivescovo di Los Angeles, José Gomez, lo ha salutato con un tweet: «Sono molto triste per la notizia della tragica morte di Kobe Bryant... Prego per lui e per la sua famiglia. Possa riposare in pace e possa la Madonna portare conforto ai suoi cari». È morto un campione: alle tante parole noi, dall'Italia, aggiungiamo semplicemente una prece.