2020-07-23
Io l’ho servita e sento che a Piacenza l’Arma l’hanno tradita anche i vertici
Gli arresti dei carabinieri accusati di estorsione, torture e spaccio disonorano l'istituzione. Le mele marce esistono, però la catena di comando ha il dovere di rimuoverle prima. Altrimenti i danni sono enormi.Vent'anni fa vestivo la divisa dell'Arma. Dal 2002 sono in congedo e faccio il giornalista. Scusate se uso la prima persona, non lo faccio mai scrivendo un articolo. Ma quest'episodio è così personale che non saprei fare altrimenti. Da sottotenente fui trasferito da Moncalieri alla provincia di Caltanissetta. Una mattina entrando nel centro di Riesi, feci fermare l'auto per far attraversare la strada a due signore anziane. Dagli abiti, si capiva fossero vedove. Invece di ringraziare, camminando davanti all'auto, ci guardarono negli occhi, fecero il segno della croce e circumnavigarono la vecchia Alfa tagliando poi in una strada laterale. Mi spiegarono dopo che il gesto si poteva tradurre come «dalla morte e dall'Arma Iddio ci liberi». Nel gesto però non c'era alcun disprezzo. Ma solo distanza dall'uniforme. Volontà di segnare l'appartenenza a un altro mondo. In quel momento capii che la mia divisa e gli alamari erano lo Stato. Che camminando per Gela o Riesi o Mazzarino, rappresentavo lo Stato. E per osmosi l'avrei dovuto esserne il significante pure in occasione delle giornate di riposo di cui potevo godere. O la sera andando fuori a bere una birra. È un assioma che spiega la protezione della Virgo Fidelis e la sacralità stessa dell'uniforme. È così e basta. Ieri, la stazione di Piacenza Levante è stata messa sotto sequestro dai pm, che hanno arrestato sei militari, ne hanno messi sotto vigilanza altri due e dato l'obbligo di dimora a un ufficiale. L'indagine è per truffa, spaccio di droga, estorsione e tortura. Oltre ai carabinieri sono state arrestate altre sette persone, tra cui una di origini magrebine. «In quella caserma non c'è stato quasi nulla di lecito», ha detto nel corso di una conferenza stampa il procuratore capo di Piacenza. «Solo un militare non appare, allo stato, coinvolto, mentre tutti gli altri sono stati colpiti da provvedimenti cautelari». Se le accuse terranno dopo il prosieguo delle indagini e il dibattimento, significa che la stazione dell'Arma è stata trasformata, durante il lockdown, nella base operativa di una gang. Gli indagati stessi dalle intercettazioni celebravano comportamenti alla Gomorra. In pratica, se così fosse, si sarebbero operati per diventare i ras dello spaccio in zona. Picchiando gli spacciatori che non volevano «collaborare» o consegnare loro la merce. Se non bastasse, in caserma sono state fatte orge. «Lo scenario rappresentato», spiega il gip, «è quello di un festino tenutosi addirittura all'interno dell'ufficio del comandante Marco Orlando, dove si era creato un tale scompiglio che le pratiche erano sparpagliate a terra». Il magistrato scrive che «non sono forse ravvisabili reati in simili condotte, ma dalla descrizione traspare ancora una volta il totale disprezzo per i valori della divisa indossata dagli indagati, metaforicamente gettata a terra e calpestata, come quella del loro comandante durante l'orgia».C'è poco da commentare. Fa male solo vedere le immagini della presunta cricca che mostra banconote tra le mani, come gli ultimi galoppini della camorra o quelli delle serie tv come Narcos. Il problema da affrontare è un altro. E riguarda la tutela dell'Istituzione. È vero, gli uomini sbagliano e commettono reati. Quindi, pure i carabinieri lo fanno. L'hanno sempre fatto, anzi. Ma la catena di comando, per quanto mi risulta, interveniva prima che scoppiasse il bubbone. E non intendo coprendo o insabbiando. Ma usando il bisturi come fanno i chirurghi che amputano la parte malata dell'organo per salvare il resto del corpo. La bravura del medico sta nell'intervenire prima che la metastasi si diffonda. Nel caso di Piacenza, la segnalazione alla magistratura è partita da altri colleghi. Ovvio che sia un bene. Ma ciò non significa che qualcosa non vada rimesso in ordine nella catena di comando dell'Arma. Quest'ultima merita che l'assioma per cui divisa è uguale a Stato valga per tutti gli italiani. Per lo scandalo della morte di Stefano Cucchi sono stati condannati due carabinieri a 12 anni. A Firenze altri due militari sono stati prima imputati e poi condannati con esiti separati a seguito dello stupro di due studentesse americane. Anche in questo caso i due carabinieri erano in servizio, usavano una vettura dell'Arma ed erano in divisa. Poco importa che siano stati immediatamente destituiti e poi licenziati. Il danno fatto all'istituzione è incommensurabile. Non doveva accadere. Sarebbero dovuti essere amputati prima dei fatti. In questo sta la differenza tra essere Stato e una semplice associazione di persone. Se viene meno il rispetto della divisa, l'Arma avrà difficoltà a puntellare il nostro Paese ed essere un riferimento degli italiani. Anche questo è un assioma. Deve essere così e basta. Forse qualcuno dovrebbe stringere tutti i bulloni, come prima o poi bisognerà fare i conti sulle simpatie politiche e la contiguità telefonica del precedente comandante generale con molti renziani. Il nome di Tullio Del Sette è finito nelle vicende del caso Consip. Non ci interessano qui i contenuti.Interessa che l'Arma sia sempre equidistante da qualunque partito o governo. Gli uomini possono avere simpatie, non le istituzioni altrimenti le si danneggia. E soprattutto i governi passano, l'Arma deve sempre restare al suo posto. Altrimenti dovremmo cambiare la marcia d'ordinanza. Si chiama «La fedelissima» non per altro. Per questo i cittadini hanno bisogno che ci sia qualcuno che pulisca prima che lo sporco si formi.