2019-08-19
Tonino Lamborghini: «Io credo in Salvini: nessuna retromarcia e al voto subito»
L'imprenditore: «Quindici anni fa dovevo candidarmi con il Cav, ora confido nella Lega. Giusto staccare la spina al governo. Un Conte bis? Per carità, lui è un uomo di paglia».«Io andrei a votare anche domani mattina». Ha le idee chiare, Tonino Lamborghini. Uno dei più decisi, nel battaglione dei capitani d'industria schierati per le elezioni senza se e senza ma. Figlio di Ferruccio, fondatore della celebre casata di auto da sogno, l'imprenditore emiliano è il patron di un impero di meraviglie del lusso: occhiali, orologi, caffè, palazzi, hotel a cinque stelle in tutto il mondo, all'ombra del marchio di famiglia. Cosa prova leggendo i giornali di questi giorni? «Le confesso che faccio una gran fatica. Questi politici cambiano idea ogni cinque minuti. Un giorno litigano, il giorno dopo si mettono d'accordo, poi litigano di nuovo. Non se ne può più».Se le dico «governo tecnico»? «Solo la parola mi fa venire in mente Mario Monti, un personaggio che ha combinato disastri che neanche la seconda guerra mondiale. Per carità: i professori è bene che continuino a fare i professori». E i politici?«Mi perdoni se a 72 anni faccio ragionamenti d'altri tempi: ma ho nostalgia delle scuole di politica, quelle d'una volta».Perché?«Perché la politica non si improvvisa. Dalla preparazione deriva la credibilità, e la credibilità è tutto. Altrimenti perché dovrei votarti? Perché sei bello, sbarbato e ti esprimi bene?». E Matteo Salvini?«A Salvini voglio credere. È una vita che fa il militante. Penso abbia fatto bene a staccare la spina. Sì, meglio votare il prima possibile». In realtà la spina potrebbe riattaccarla. Magari per un rimpasto di governo. Ma ormai ogni giorno fa storia a sé. «Gli do un consiglio: continui per la sua strada. Se Salvini fa retromarcia, rischia di deludere il suo elettorato». Ogni tanto spuntano segnali di apertura…«Ma cosa vuoi aprire, cosa vuoi aprire… Ricomincerebbero a litigare un attimo dopo».L'ipotesi che si possa formare una maggioranza alternativa, tra 5 stelle e Partito democratico, condiziona le scelte di queste ore. «Va bene, se Luigi Di Maio si mettesse d'accordo con il Pd, capisco che gli scenari cambierebbero. Ma Salvini deve avere il coraggio di rischiare, e insistere per le elezioni. Se avesse l'audacia di correre da solo, in ogni caso, farebbe comunque un figurone agli occhi di tutti». E un governo Conte Bis? Il premier potrebbe smarcarsi. «Ma per l'amor del cielo. Non vorrei sembrare scortese, e lo dico con tutto il rispetto per la persona, ma politicamente Giuseppe Conte è un uomo di paglia. Nel senso che fa quello che gli dicono gli altri. E questo all'estero lo sanno benissimo. Capisco che si sia affezionato al posticino, ma non ha mai manifestato un'idea sua. Se fonda un partito, voglio vedere chi lo vota». Prima della Lega, a chi ha affidato le sue speranze?«Quindici anni fa avrei dovuto candidarmi con Silvio Berlusconi al Parlamento europeo. Ero pronto a scendere in campo nel Nord Est. Avevo la certezza di poter dare una mano sui temi dell'impresa. Poi, dopo l'offerta iniziale, non mi hanno più fatto sapere nulla. È saltato tutto». Tutto sommato, meglio così?«Meglio così. Peccato però, anche perché su quel progetto spesi un sacco di soldi». Dopo Berlusconi, è arrivato Matteo Renzi.«Renzi all'inizio mi piacque. Decisi persino di votare per le primarie. Può immaginare le facce della gente di Casalecchio, quando hanno visto tutta la famiglia Lamborghini lasciare l'obolo di 2 euro per scegliere il segretario del Pd…».L'infatuazione è durata poco?«È finita male. Renzi ha deluso il Paese. In seguito anche le vicende giudiziarie del padre hanno contribuito a farmi cambiare idea». Il Pd adesso è a un passo dalla scissione. E non è la prima volta. «Mi sembra un partito in condizioni disperate. Non hanno più l'identità di un tempo. Adesso, con questo segretario, non vedo carisma, né nuove proposte». I 5 stelle reggeranno il colpo? «Inizialmente non mi dispiacevano. Mi sembrava che il giovanotto se la cavasse bene». Il giovanotto presumo sia Luigi Di Maio. «Poi però ha iniziato a rompere le scatole, a mettere i bastoni tra le ruote. Io non sono uomo di politica, non ne capisco molto i meccanismi, ma ancora adesso mi chiedo come si possa dire no alla Tav. Ci sono miliardi in ballo, commesse prenotate, aziende che salterebbero in aria. E quelle migliaia di lavoratori che fine faranno: mettiamo tutti in cassa integrazione?».Niente panico: c'è sempre il reddito di cittadinanza. Forse. «Comunque il conto lo paga il Paese. Se proprio devi spendere soldi, tanto vale metterli nelle infrastrutture, no?».Cosa occorre alle imprese oggi?«Abbassare le tasse. Lo so benissimo che è una banalità: ma se ne se sentono tante, me ne lasci dire una anche a me». Ci sarebbe il problema del deficit…«Sì, ma se abbassiamo le tasse, aumentano i consumi, e dunque anche il gettito. Questo piccolo particolare non lo abbiamo ancora compreso bene. Se tagliamo l'Iva di un paio di punti lo Stato non perderebbe un euro». Il fatto è che si rischia di ritoccarla verso l'alto, l'Iva. Per non parlare dei mercati che potrebbero tornare a punirci. «A mali estremi, estremi rimedi. E comunque, per come la vedo io, i mercati si adeguano in fretta alle buone scelte politiche. Ripeto, occorre coraggio, anche sui tavoli europei». Suo padre Ferruccio ne aveva, di coraggio, per costruire una realtà come la Lamborghini. «Mi ha insegnato a essere tenace, ma anche ironico. A prendermi sul serio, ma sempre sorridendo». L'avventura iniziò dai veicoli agricoli, giusto? «Mio padre costruiva trattori. Ne produceva 52 ogni giorno, 1.000 dipendenti. Noi avevamo la casa dentro la fabbrica, che da bambino era il mio parco giochi. Gli amici d'infanzia erano i lavoratori. Non dico di aver imparato a fare l'operaio, ma quasi». Gli affari funzionavano bene?«Eravamo tra le poche famiglie negli anni Sessanta ad avere due Ferrari in garage. Un giorno una delle due non partiva più: mio padre pensò di montargli sopra una frizione delle sue». Cioè, installò sulla Ferrari la frizione di un trattore?«E ci stava benissimo. In più era una soluzione più economica rispetto ai pezzi originali. Per questo mio padre chiese udienza a Enzo Ferrari: solo per dargli qualche consiglio». E come andò a finire?«Malissimo. Dopo due ore di anticamera, a Lamborghini fumavano le orecchie. Si sentì dire da Ferrari questa frase: “Torna a guidare i tuoi trattori"».Un affronto. L'inizio della competizione tra il cavallino rampante e il toro che carica. «Ricordo che la quella sera, a tavola, mio padre si alzò e disse alla famiglia: “Da oggi facciamo anche le automobili"». E voi?«Mia madre preoccupatissima. Era lei a gestire la borsa dell'azienda. “Sei matto", diceva, “per fare concorrenza alla Ferrari servono un sacco di soldi"». Ci voleva un'idea.«In quegli anni spendevamo moltissimo per la cartellonistica pubblicitaria: “Comprate trattori Lamborghini". Facemmo un ragionamento: tagliamo la pubblicità e facciamo le automobili. Se piacciono, saranno quelle la nostra migliore réclame». E funzionò.«In dieci giorni, i migliori tecnici della Ferrari erano passati a lavorare con noi». Una grande avventura.«Quando vendemmo il ramo auto, c'era tanta amarezza: come quando vedi una figlia perfetta lasciare la casa dei genitori. Ma del resto era finito un mondo. Vendettero tutti: Ferrari alla Fiat, Maserati alla Citroen, Jaguar alla Ford». Finché nel 1981 non le venne l'idea di sfruttare lo stemma di famiglia.«Volevo mettere in piedi qualcosa che fosse solo mio. Orologi, occhiali, abiti, pasta, profumi di alta qualità. Oggi a Dubai stiamo costruendo 10.000 appartamenti, praticamente una città grande come Ferrara, tutta marchiata Lamborghini. Non le dico le cattiverie degli addetti ai lavori. All'inizio mi dicevano: “Cosa ne sai di design, tu che arrivi a bordo di un trattore"».Ancora la storia del trattore? Allora è un vizio. «In verità i clienti apprezzano che ci sia una persona - il sottoscritto - che si è messa in gioco. Esistono marchi molto più famosi, ma non sai bene chi c'è dietro».Diciamo che lei vende italianità all'estero?«Non vorrei vantarmi troppo, ma la so vendere bene. Quarant'anni fa sono stato il primo a sbarcare in Cina. Comunismo allo stato puro, all'epoca. Ricordo un'attesa di otto ore alla frontiera, con il mitra puntato». E cosa ci faceva in Cina?«Attenzione: non sono andato a sfruttare la manodopera a basso costo per importare, come avrebbero fatto gli italiani qualche tempo dopo. Vendevo il mio prodotto d'abbigliamento, di gusto italiano, ma destinato al mercato cinese». Insomma, ha addirittura insegnato il business a Pechino: come vendere ghiaccio agli eschimesi.«Con i cinesi mi intendo bene. Molto di più rispetto agli americani, che, metaforicamente parlando, restano sempre dei cowboys con la rivoltella sotto il tavolo». Se è un ambasciatore dell'italianità, perché non vende i suoi prodotti in Italia?«Posso rispondere con il sorriso? Perché sono più furbo: vado dove è più facile. Non mi azzardo certo a vendere gli spaghetti agli italiani». Quando andrà in pensione?«Ora sono a Cortina, ma sto già valutando di rientrare a Bologna, perché mi annoio. No, in pensione davvero non mi ci vedo».
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