2025-01-08
Le interviste-«conversioni» dei cantanti vip
Sul «Corriere» una serie di colloqui formato extralarge ai pezzi grossi della musica nostrana. In primis Jovanotti, cui hanno risposto in sequenza Guccini e Vecchioni. Tutto molto noioso, se non fosse per quella porta aperta al sacro da insospettabili maestrini rossi.Uffa, ancora i cantautori. È stata questa la mia reazione alla doppietta di interviste del Corriere della Sera a Francesco Guccini e Roberto Vecchioni. Un mese e mezzo prima c’era stata quella, un po’ diversa, a Jovanotti, da cui tutto è partito. Megainterviste, doppie pagine dense e ricchissime. Al netto del fatto che a un giornale come il nostro mai la concederebbero - non si sa se per snobismo o per pregiudizio ideologico - tuttavia continuo a chiedermi perché nella terza decade del Terzo millennio continuiamo a regalar loro cattedre magistrali. I cantautori storici, come Guccini e Vecchioni, hanno conquistato il successo in una stagione precisa, un decennio disgraziato di violenza e terrorismo, eppure pontificano tuttora su canzoni di mezzo secolo fa da pulpiti argentati: programmi tv, case editrici, testate giornalistiche, tutto molto chic.Perdonerete la digressione: musicalmente, non sono mai stati la mia preferenza. In casa, con un fratello e una sorella maggiori, si ascoltavano di più Mina, Lucio (Mogol) Battisti e «i complessi». Poi, grazie a un amico, mi avvicinai al rock progressivo dei Jethro Tull e della Premiata Forneria Marconi da Impressioni di settembre in poi e, da lì, alla fusion e al jazz, sempre per il primato della musica sulle parole cariche di implicazioni ideologiche. E se qualcuno dei cantautori mi emozionò, fu il Lucio Dalla visionario ed esistenziale di L’ultima luna, Caro amico ti scrivo, Anna e Marco, prima della scoperta dell’intelligenza anarchica e abrasiva di Giorgio Gaber, tuttora attualissimo. In ogni caso, erano ascolti che non avevano nulla di assoluto. Perché buona parte di quel decennio lo trascorsi impegnato in altre faccende - frequentando da fuori sede e privo di attrezzature musicali dignitose, la facoltà di Scienze politiche di Padova, egemonizzata da Toni Negri - essendomi imbattuto, senza meriti, in una storia che aveva riferimenti ben diversi dai cantautori. Non essendolo stati allora, meno ancora li venero maestri oggi. Anche quando, nelle serate tra amici, qualcuno ci invita a riflettere su una frase di un loro brano con l’enfasi degna di una lirica lepoardiana, ne riconosco la qualità, ma senza riuscire a sperticarmi. Così come mi è accaduto leggendo le interviste di cui sopra.Devo dire che Jovanotti non parlava da un po’, causa il grave incidente di cui è rimasto vittima. E chissà, forse per la travagliatissima esperienza, me l’ha fatto trovare diverso da come lo ricordavo. Meno allineato al mainstream. Più coraggioso su temi come fede e ragione: credere «è una scelta, ed è anche un lavoro, dettato dal destino. Sono un illuminista riluttante… Ho una formazione razionale. Ma lascio la porta aperta al mistero, anzi spalancata. E ci passa una corrente travolgente. Una volta Saviano mi invitò in una sua trasmissione a cantare Imagine. Dissi di no… Non voglio cantare un mondo in cui non esista la religione. Un mondo senza religioni sarebbe peggiore, perché la fede è la cosa più umana di te». Su papa Francesco: «Umanamente, Francesco mi piace, mi diverte, mi emoziona. Gli si vuole bene. Ma l’idea che la Chiesa si debba trasformare in una onlus non mi pare del tutto condivisibile». Su Donald Trump e la sinistra: «Trump è un fenomeno del nostro tempo, e come tutti i fenomeni, anche i più inquietanti, è un’occasione per distinguere cosa Trump non è, e farla fiorire. Ha vinto nettamente, e gli elettori meritano rispetto. Dall’altra parte gli altri non sono riusciti a darsi una leadership forte, che si occupasse dei temi che davvero interessano… Gli eccessi della cultura woke sono controproducenti». Jovanotti con quell’intervista è stato la molla delle successive perché ha avuto l’azzardo di dire che non lo convince «la distinzione tra cultura alta e cultura bassa. Gloria di Umberto Tozzi non ha nulla da invidiare alla Locomotiva di Guccini». Proprio questo non si perdona a Lorenzo Cherubini: la pari dignità alla cultura bassa rispetto a quella alta. Così le interviste successive sono nate per rimarcare la differenza di lignaggio. «Al Corriere stavamo pensando a una serie di interviste ai grandi artisti italiani, per farci raccontare la “loro” canzone. Inevitabile a questo punto cominciare da lei e dalla Locomotiva. Quali libri ci sono dietro?», ha stuzzicato Guccini, Aldo Cazzullo. Adombrato, il «maestrone» di Pavana, che pure iniziò come cantante e chitarrista di orchestrine da balera, ha evidenziato tutta la filigrana del suo inno all’anarchia. Ora non vi tedierò con un’altra raffica di citazioni gucciniane salvo quella in cui si stupisce che il cardinal Matteo Zuppi, presidente della Cei, sia «un amico, per quanto mi sembra impossibile avere un amico cardinale», con cui va persino in pellegrinaggio in Vaticano (ma questo al Corriere non l’ha detto). «Pensi se un giorno fossi amico di un Papa… Ma forse sarebbe troppo grossa», ha messo le mani avanti.Vecchioni, invece, arrivato a stretto giro, ha condito con citazioni di Orazio Luci a San Siro e di Somerset Maugham e del Talmud babilonese Samarcanda. Ma la sua intervista è densa di rivelazioni dolorose, il suo alcolismo e il suicidio del figlio, affetto da sindrome bipolare, e bisogna inchinarsi davanti alla generosità di Vecchioni, forse in parte debitrice alla moda dell’oversharing, l’eccesso di condivisione, di cui sono fatte queste confessioni (lo dico da parte in causa, dedicandomi al genere) contenenti traumi ed esperienze drammatiche che non sempre si sa dove sfocino. Nel caso di Vecchioni, sembra in modo più esplicito e consapevole rispetto a Guccini, a uno sguardo di fede, che ha ben «tre motivi», e che l’ha portato qualche mese fa a tenere un concerto in piazza San Pietro, alla presenza di papa Francesco.Ecco, curiosamente si finisce sempre lì. Tuttavia, la mia irritazione di partenza, lungi dallo sparire perché non amo la facile distribuzione di patenti magistrali della società dello spettacolo, è solo compensata da quello che sembra l’arrivo degli esponenti della «cultura alta» allo stesso approdo del più popolare e umile Enzo Jannacci. Il cantore dei perdenti e dei disperati che diceva che «abbiamo tutti bisogno della carezza del Nazareno» (la prima volta quando si parlava di Eluana Englaro).Dunque, cari cantautori, benvenuti tra noi.Post scriptum Se vi capita di andare su Spotify, provate ad ascoltare i podcast ricavati per Chora Media dalle lezioni di don Luigi Giussani…
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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