Lorenzo di Muro: «L’India di Modi non rinuncerà al petrolio e alle armi russe»

Dallo scorso febbraio, quando Narendra Modi in visita alla Casa Bianca fu definito da Donald Trump «un grande amico», le relazioni tra Nuova Delhi e Washington si sono deteriorate. A pesare, soprattutto, i dazi imposti dal presidente statunitense, i rapporti dell’India con la Russia e la crisi con il Pakistan dello scorso maggio. Ne abbiamo discusso con Lorenzo Di Muro, analista geopolitico e consigliere redazionale di Limes.
Trump ha raddoppiato i dazi alle importazioni dall’India portandoli al 50% a causa delle sue importazioni di petrolio russo. Nuova Delhi aveva dichiarato di non avere intenzione di ridurle. C’è il concreto rischio di un’escalation nei rapporti tra Usa e India?
«L’India è spiazzata e inviperita. Non intende piegarsi ai diktat di Trump né rompere con l’America. Per questo sta mandando messaggi contrastanti. Da un lato, finora il governo Modi ha evitato di reciprocare le misure introdotte da Trump nella speranza di un nuovo round negoziale prima che i dazi aggiuntivi americani del 25% entrino in vigore. Dall’altro, ha fatto trapelare alla stampa (ancora senza conferme né smentite ufficiali) che Modi presenzierà al prossimo vertice Sco a Tianjin, sarebbe la prima volta in Cina dal 2018. Mentre Modi ha comunicato che Putin si recherà in India entro fine anno, per la prima volta dal 2021. Senza dubbio le mosse di Trump sono un boccone molto difficile da mandare giù per gli indiani, che dopo secoli di dominazione straniera sono estremamente gelosi della propria autonomia e sovranità nazionale e tendono a reagire malissimo a qualsiasi ingerenza o pressione esterna. Ma dubito che l’India intenda rinunciare al rapporto con gli Stati Uniti, il suo principale partner commerciale (e il suo primo mercato di esportazione) nonché principale fonte di investimenti esteri. L’America serve agli indiani come fonte di tecnologia e capitali e come deterrente anti cinese, tutti fattori imprescindibili per sviluppare il Paese e permetterne l’ascesa a grande potenza, o come dicono gli indiani “guru del mondo”. Alienarsi gli Usa non è dunque nei piani di Delhi, che però non cederà alle minacce di Trump. Anche perché sa che mantenere la cooperazione bilaterale è pure nell’interesse di Washington. Quanto sta succedendo, in ogni caso, alimenta la tradizionale diffidenza indiana verso l’America».
In questo contesto di ostilità, come prevede potrebbe collocarsi la politica estera indiana tra Usa, Cina e Russia?
«La politica estera indiana continuerà a essere autocentrata e iperpragmatica, con l’interesse nazionale come unica stella polare, o per metterla con il ministro degli Esteri Jaishankar “saranno gli specifici dossier a definire i partner”, e non viceversa. Una politica estera all’insegna del cosiddetto “multi allineamento”, volta a preservare il più ampio margine di manovra possibile, specie nell’attuale contesto strategico caratterizzato da una forte volatilità, acuita dalla presidenza Trump. L’India vuole costruire un ordine internazionale multipolare. Per questo, nonostante l’avvicinamento all’Occidente a guida americana nell’ultimo ventennio, continua a coltivare i rapporti con la Russia, che dalla guerra in Ucraina in poi ha dovuto vendere petrolio a prezzi vantaggiosi (petrolio di cui l’India sta facendo incetta, visto che ne è il terzo consumatore al mondo) e che serve a Delhi come contrappeso alla Cina, oltre a essere un partner molto importante nel campo delle forniture militari e non solo. E per la stessa ragione Delhi sta cercando di normalizzare i rapporti con la Cina, da cui l’economia indiana dipende e che però rappresenta una minaccia strategica, vista la sua assertività ai confini e nei mari. Infatti i tentativi di distensione con Pechino, che dalla prospettiva indiana non possono apparire come una resa - specie dopo i sanguinosi scontri al confine del 2020 - precedono il ritorno di Trump alla Casa Bianca. Il fatto è che gli indiani vorrebbero un rapporto paritario coi cinesi, che invece guardano gli indiani dall’alto in basso. Il differenziale in termini economici e militari tra i due giganti asiatici oggi pende nettamente a favore di Pechino, anche per questo Delhi ha intensificato la cooperazione con gli Usa e i Paesi dell’Indo-Pacifico minacciati dall’espansione cinese come Giappone e Filippine. In ogni caso, la rivalità India-Cina non verrà meno, né quella tra Usa e Cina, sono dinamiche strutturali».
Dopo il cessate il fuoco di maggio, a che punto sono le relazioni tra India e Pakistan?
«Non si sono registrati passi avanti, anzi proprio il cessate il fuoco ha accelerato il revival delle relazioni tra Pakistan e Usa. Il che ovviamente non fa gioco all’India, per usare un eufemismo. Non soltanto perché Trump ha affermato più volte di essere stato decisivo per raggiungere la tregua, cosa che le autorità di Delhi hanno smentito, posto che per l’India da sempre i rapporti con Islamabad devono restare una questione bilaterale. Ma anche perché il rafforzamento dei rapporti con Washington dà nuova linfa geopolitica al Pakistan dopo anni di crisi. Con l’Operazione Sindoor e gli scontri che ne sono seguiti, l’India ha chiamato il bluff nucleare pakistano confermando che d’ora in avanti qualsiasi attacco terroristico per mano di gruppi operativi in Pakistan o direttamente appoggiati dalle autorità pakistane - così sostengono gli indiani - troverà una risposta basata sulla forza. Insomma, dopo anni di approcci diplomatici, l’India ha perso la pazienza col vicino e ha cercato di indurlo a più miti consigli con le cattive. Ma il sostegno militare della Cina, anche durante il conflitto, ha messo in chiaro che per quanto il paragone con l’India sia impietoso, il Pakistan continuerà a essere un coltello piantato nel suo fianco. E non solo occidentale ma potenzialmente pure orientale, considerato il nuovo governo filo-islamista in Bangladesh insediato dai militari. Anche sul piano non strettamente militare, Delhi ha sospeso il trattato sulle acque dell’Indo minacciando di assetare il Pakistan, ma la Cina ha minacciato di fare altrettanto con l’India tramite il Brahmaputra, dove sta costruendo la più grande diga al mondo».
Mentre Nuova Delhi si allontana da Washington, ad avvicinarsi a Trump è proprio il Pakistan. Il presidente americano ha infatti siglato un’intesa economica con Islamabad che prevede lo sviluppo congiunto delle risorse petrolifere pachistane, e che svolge un ruolo chiave nella sua strategia Usa di contenimento di Cina e Iran. L’avvicinamento tra Pakistan e Usa può influire sulle relazioni Usa-India?
«Il Pakistan è stato abile a capire la mentalità e il modus operandi dell’amministrazione Trump e ad agire di conseguenza, sfruttando le contingenze a proprio vantaggio e a danno dell’India. Anche grazie all’esperienza dell’Ucraina. L’intesa sul petrolio pakistano va collocata in questo quadro, segnato da un capovolgimento della postura americana sul Pakistan rispetto al primo mandato Trump e agli anni di Biden. Inoltre, Islamabad continua ad avere rapporti molto stretti con la Cina, in campo militare ed economico. Quindi, dall’ottica di Delhi, si dovrà fare i conti con un vicino che foraggia il terrorismo anti indiano e che gode dei favori sia della prima potenza al mondo, gli Stati Uniti, sia del Paese che più di ogni altro sfida il primato americano e che rappresenta la principale minaccia all’ascesa dell’India, cioè la Cina. Il rafforzamento dei rapporti tra Washington e Islamabad, per giunta dopo gli attentati di fine aprile nel Kashmir, è uno smacco per gli indiani».
Il premier Modi e Giorgia Meloni hanno ottime relazioni. Che cosa può ottenere l’Italia da buoni rapporti con l’India?
«Anzitutto una via preferenziale d’accesso all’economia indiana, che ha il più alto tasso di crescita tra quelle più grandi del mondo. Stando al Fondo monetario internazionale, l’India supererà quest’anno il Giappone come quarta economia al mondo ed entro il 2030 la Germania come terza. Dopo la chiusura della controversia sui Marò che aveva congelato i rapporti bilaterali, dal 2017 a oggi infatti l’interscambio è raddoppiato e l’India è il nostro secondo più grande partner commerciale in Asia. Il potenziale è ancora in gran parte da sfruttare, ma la strada intrapresa è quella giusta. Agli indiani fa gola il nostro know-how, in particolare nei settori industriali, in quelli ad alto valore aggiunto e ad alto contenuto tecnologico. Per noi invece, che siamo un’economia di esportazione, avere rapporti prioritari con un mercato destinato a svilupparsi sempre di più come quello indiano è a dir poco proficuo e infatti la presenza imprenditoriale italiana nel subcontinente è in continua espansione. Passando invece al piano strategico, l’intesa con Delhi contribuisce alla stabilizzazione dell’Indo-Mediterraneo. Un’area vitale per gli interessi di entrambi i Paesi, da un paio di anni scossa dagli incidenti nel Mar Rosso: mentre l’Italia sta facendo la sua parte per garantire la libertà di navigazione contro gli attacchi degli huthi, gli indiani stanno dando un grande contributo nella lotta alla pirateria all’imbocco orientale di questa strettoia marittima nevralgica per i commerci globali. Esempio paradigmatico della convergenza tra Roma e Delhi sono il partenariato strategico siglato nel 2023 e il progetto Imec di cui il nostro Paese è firmatario insieme all’India, Usa e altri, che punta a creare un corridoio di connettività multi-modale tra le coste occidentali indiane e il Mediterraneo passando per la penisola arabica e Israele, con possibile punto di approdo europeo a Trieste. Se questo progetto vedesse davvero la luce, si tradurrebbe in un successo geopolitico per l’Italia».





