2019-10-22
«Via il bonus verde? Posti di lavoro a rischio»
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Nel testo della quinta bozza del decreto fiscale non c'è traccia di quel bonus verde introdotto lo scorso anno dai gialloblù e più volte reclamizzato dal Conte bis. In un periodo storico in cui il tema del green è al centro di tutto, si è scelto di dare precedenza al cemento favorendo il bonus facciata con incentivi per ristrutturare gli immobili. Aldo Alberto, presidente di Florovivaisti italiani, lancia l'allarme: «Dovremo ridurre la produzione e quindi fare a meno di dipendenti».Il settore del florovivaismo italiano vale 2,5 miliardi di euro, rappresenta il 5% della produzione agricola totale e interessa una superficie di quasi 30.000 ettari. Tradotto in altri numeri significa 21.000 aziende che danno lavoro a oltre 100.000 addetti. Alcuni di questi posti di lavoro saranno seriamente messi a rischio dalla nuova legge di bilancio. A lanciare l'allarme è Aldo Alberto, presidente di Florovivaisti italiani, l'associazione nata lo scorso febbraio da un'iniziativa di Cia-Agricoltori italiani con l'obiettivo di riunire i produttori di fiori e piante in vaso, i vivaisti, gli organizzatori della filiera e tutto il mondo della ricerca.Presidente, il bonus verde è spartito dal decreto. Com'è ha accolto questa notizia?«Se venisse confermata questa notizia sarebbe una cosa senza senso, perché credo che il verde all'interno delle città, piccole o grandi che siano, rappresenti un elemento fondamentale per la qualità della vita, sia da un punto di vista della sanità pubblica ma anche della bellezza e dal punto di vista psicologico. Perché avere attorno piante e fiori è diverso dall'avere solo cemento».Come mai questo cambiamento in così poco tempo?«Sinceramente non me lo spiego. Probabilmente il governo ha delle difficoltà a mettere insieme i soldi. Sono partiti dicendo che volevano essere il governo del verde, però trovo il comportamento alquanto contraddittorio. Noi possiamo considerare il tipo di investimenti fatti in questa direzione come un aumento di buona volontà, però indubbiamente non sono quelli che servono effettivamente se si vuole cambiare la situazione rispetto all'utilizzo del verde. Per ogni situazione ci vuole un progetto che vada oltre le solite dichiarazioni. La cosa che mi fa specie è che questa intuizione avuta dal governo precedente venga smontata da quello attuale. Se si vuole andare davvero verso una filosofia green bisognerebbe avere un ragionamento più organico, una progettualità su come si possono migliorare le città agevolando da una parte il privato e dall'altra il pubblico. Negli anni successivi alla crisi e con il conseguente patto di stabilità, la prima cosa su cui i comuni hanno smesso di investire è stato proprio il verde e si vede. È una situazione che adesso va recuperata».In che modo?«Ci vorrebbero interventi organici ragionati e progetti di medio respiro che diano una soluzione a questa situazione perché così non può andare bene».Togliendo i fondi ai privati per darli agli enti locali non aumenta il rischio che poi questi non avranno i soldi per fare la manutenzione adeguata?«La logica direbbe che nel momento in cui si mettono dei soldi per fare una cosa si devono mettere altri soldi per garantire che questa cosa abbia un seguito, sennò non ha senso, diventa solo uno spot».Pensa che togliendo il bonus verde si possa favorire in qualche modo il mercato nero?«Non saprei, indubbiamente se tutto passa attraverso determinati progetti voluti dal governo è ovvio che va tutto all'interno dei canali ufficiali e quindi genera un fatturato regolare, su questo non c'è dubbio. In altre situazioni, invece, si possono aprire degli spazi per il nero. Io temo di più, però, la contrazione dei consumi».Ovvero?«Noi riusciamo a mantenere in piedi l'azienda con il grande lavoro che facciamo all'estero, però il mercato italiano è quello che ci può dare una continuità e quindi una stabilità di lavoro. È indubbio che se continua questa situazione sul mercato di casa nostra il rischio è quello di trovarci di fronte a una situazione dove dobbiamo ragionare sulla riduzione della produzione per risparmiare sui costi e quindi questo porta automaticamente a dover fare a meno di qualche dipendente. È fortemente probabile che ci sia una flessione sull'occupazione in questo settore con la situazione attuale».Come sta il settore oggi?«Il nostro settore in questo momento non sta benissimo perché abbiamo un sacco di problemi, uno dei quali non viene mai citato abbastanza ed è la questione Xylella. Per com'è stata malamente lasciata andare in Puglia negli ultimi anni ci sta creando delle ripercussioni sui mercati europei».Quali?«Dal 14 dicembre andremo ad affrontare un regolamento europeo, il 2031, sulla tracciabilità. E questo ci creerà dei problemi burocratici non indifferenti con un aumento dei costi non indifferente. Però è giusto così perché siamo in torto in quanto quella questione doveva essere gestita diversamente fin dall'inizio. Ormai noi esportiamo la maggioranza dei prodotti all'estero perché se fosse solo per quel che si consuma in Italia avremmo già chiuso. Per fortuna c'è tutto il Nord Europa dove a cominciare dai cittadini passando per gli enti pubblici hanno una filosofia green consolidata. Vogliono del verde e lo vogliono italiano per fortuna. Questo ci mantiene in vita, però sarebbe opportuno che ci fosse un altro livello di considerazione di questo settore anche da parte dei nostri governi. Occupiamo almeno 100.000 persone, abbiamo delle aziende che non prendono dei contributi Pac (Politica agricola comune) perché siamo sul mercato e basta, quindi se produciamo bene vendiamo e teniamo in piedi l'azienda, se produciamo male invece chiudiamo. Dovremmo essere un vanto per il Paese e invece ci sentiamo ignorati».Avete parlato con il Ministero?«Abbiamo chiesto un incontro al ministro Teresa Bellanova per sottoporre le problematiche ma non solo, perché credo che non bisogna solo lamentarsi di un problema, ma mettere giù anche delle proposte affinché questo si possa risolvere. Il nostro è un settore poco considerato complessivamente e non solo da questo governo. Per esempio perché non viene considerato all'interno del made in Italy come il parmigiano o i vini?»Cosa proporrete?«Per avere la considerazione che meritiamo chiederemo di avere un tavolo all'interno del Mipaas in maniera da avere una funzionalità nostra e poter contare. Il prossimo 28 febbraio abbiamo organizzato un'iniziativa al Myplant&Garden di Milano su quella che è l'organizzazione del verde inteso a livello ampio all'interno delle grandi città».