2021-06-10
Intanto Huawei flirta con gli Emirati
(Budrul Chukrut/SOPA Images/LightRocket via Getty Images)
Il colosso, che si aspettava un clima diverso a Washington dopo Donald Trump, abbassa i toni: «Collaboriamo». Però punta a piantare la bandierina del 5G ad Abu Dhabi.«Collaborazione» è stata la parola d'ordine della conferenza con cui Huawei, il colosso cinese delle telecomunicazioni, ha inaugurato il suo settimo, il più grande, Cyber security and Privacy protection transparency center a Dongguan, in Cina. La società ha contestualmente annunciato, per la prima volta, la pubblicazione delle proprie linee guida per la sicurezza.La parola collaborazione è stata pronunciata dalla maggior parte dei manager intervenuti. Anche da Ken Hu, vicepresidente di Huawei: «La cibersicurezza è una sfida in evoluzione che richiede collaborazione: ci manca ancora una piattaforma condivisa», ha spiegato. Poi ha fotografato l'urgenza della sfida con i numeri: «Nel 2021 i danni da attacchi cibernetici hanno raggiunto la cifra record di sei triliardi di dollari». Infine, un commento sulle tensioni geopolitiche tra Stati Uniti e Dragone in cui l'azienda è stata presa di mezzo, accusata di spionaggio per conto del governo di Pechino dall'intelligence di Washington: «Alcuni pensano che la provenienza di certi prodotti ne comprometta la sicurezza: non è così», ha detto. Quasi ad accusare di sinofobia gli Stati Uniti e i loro alleati. Tuttavia, l'esclusione di Huawei dalla rete 5G americana è stata decisa dall'amministrazione Trump brandendo non il timore di un'offensiva commerciale del «made in China», bensì due leggi del governo cinese (la National security law e la Cyber security law) che permetterebbero agli organi dello Stato e alle strutture di intelligence di «fare pieno affidamento sulla collaborazione di cittadini e imprese». Il virgolettato è trattato dalla relazione di fine 2019 con cui il Copasir, sulla scia della decisione statunitense, aveva suggerito al governo di escludere le aziende cinesi - Huawei e Zte - dalla rete 5G italiana.Oltre a quello legato allo spionaggio, c'è un altro timore. Che il governo cinese possa ordinare a Huawei o a Zte «di spegnere tutto, e questo bloccherebbe il Paese», come ha raccontato un funzionario dell'intelligence dell'Australia (Paese dei Five Eyes che ha per primo vietato il 5G cinese) a Peter Hartcher, giornalista del Sydney Morning Herald, nel libro da poco pubblicato Red Zone.Tutti questi sospetti sono stati sempre respinti duramente dalle aziende interessate. Ma neppure il cambio alla Casa Bianca, con l'ingresso di Joe Biden al posto di Donald Trump, ha fatto sì che gli Stati Uniti e i loro alleati fossero disposti a scendere a compromessi.Il cambio dell'amministrazione, con l'arrivo di una più improntata al multilateralismo e alla cooperazione, sembra però aver suggerito a Huawei di ammorbidire i toni rilanciando l'urgenza di lavorare tutti assieme. L'appello di ieri è arrivato nelle stesse ore in cui il presidente Biden chiudeva le valigie per il suo primo viaggio all'estero: prima tappa a Londra per il G7, poi Bruxelles per il summit Nato e il vertice con in leader europei, infine Mosca per il faccia a faccia con l'omologo russo Vladimir Putin. E nonostante i sette centri di trasparenza aperti nel mondo pensati per rendere i propri sistemi visibili e verificabili agli addetti al settore (uno anche a Roma), la charme offensive di Huawei non sembra dare i suoi sfrutti.Potrebbe farlo, invece, negli Emirati Arabi Uniti. Infatti, alla conferenza di ieri era presente anche Mohamed Hamad Al Kuwaiti, capo della sicurezza cibernetica emiratina. Presenza importante, se si pensa che Huawei è in corsa per la realizzazione dell'infrastruttura 5G del Paese nel Golfo. Se la Cina riuscisse a piantare lì la bandiera, sarebbe per Biden uno smacco e un problema, visti gli Accordi di Abramo firmati dal precedessore Trump in cui il ruolo degli Emirati Arabi Uniti, con luce verde dall'Arabia Saudita, è stato fondamentale.
(Ansa)
Il ministro Guido Crosetto in occasione dell'82°anniversario della difesa di Roma: «A me interessa che gli aiuti a Gaza possano arrivare, le medicine possano arrivare, la vita normale possa riprendere». Nonostante tutto, Crosetto ha ben chiaro come le due guerre più grandi - quella Ucraina e quella a Gaza - possano cessare rapidamente. «Io penso che la decisione di terminare i due conflitti sia nelle mani di due uomini: Putin e Netanyahu».