2023-03-16
Iniziano con la festa per arrivare a poter sopprimere la figura del papà
La preside di un asilo di Viareggio ha abolito la tradizione: «Discrimina chi non ce l’ha, la famiglia modello non c’è più».Il bacio di Biancaneve è sessista, Peter Pan è razzista (chiama pellerossa gli indiani), gli Aristogatti «veicolano stereotipi dannosi». E la Festa del papà non esiste. Essere bambini negli anni della cancel culture è una fatica, per reggere senza diventare psicopatici da grandi servirebbe un «bonus psicologo» generalizzato. Ma anche così la deriva non è scongiurata perché c’è sempre un insegnante radical, un intellettuale organico, un sottopancia del Pd in agguato dietro l’angolo.La preside della scuola d’infanzia Florinda di Viareggio ha deciso che mettere a tema la figura paterna «è discriminatorio nei confronti di chi non ha un papà», quindi niente disegni, niente palloncini, niente che ricordi il genitore. Eliminare, azzerare, rimuovere sembra essere il curioso obiettivo della società dell’inclusione. Qui servono quintali di resilienza, signora mia.Non basta cancellare dalla foto quel signore che un po’ ci somiglia per annullarlo. Nell’operazione riusciva stupendamente Stalin quando faceva togliere dai dagherrotipi i membri del soviet caduti in disgrazia, ma nessuno (tranne forse i giornalisti de L’Unità) si è mai sognato di definire il dittatore georgiano un educatore stile Montessori. La dirigente scolastica Barbara Caterini la pensa diversamente; a lei basta una gomma usata, un control-alt-canc per far evaporare una figura millenaria, da San Giuseppe a Edipo, in nome della «non discriminazione». Ha annullato la festa prevista a scuola il 19 marzo perché «non tutti i bambini hanno un padre» e l’ha sostituita con la sfilata dei parenti «dove i piccoli potranno essere accompagnati dalla mamma, dai nonni, dagli zii».La decisione del party «papà free» è stata presa dopo le proteste di alcune mamme che sono andare a lamentarsi da lei perché non trovavano giusto che i figli senza padre si sentissero esclusi. «Ho trovato le loro lamentele condivisibili» ha spiegato la preside, «perché un laboratorio organizzato in questo modo è discriminatorio nei confronti di chi non ha un papà». E ha aggiunto, avvertendo bussare alla coscienza responsabilità sociologiche: «Dobbiamo renderci conto che viviamo in una società diversa da quella di 50 anni fa. Non esiste più una famiglia modello. Oggi ci sono situazioni aperte e particolari che devono essere rispettate e tutelate. Soprattutto da una scuola».La conseguenza è disarmante. Per non urtare alcuna suscettibilità si preferisce adottare la strategia dello struzzo: testa nella sabbia. Un tempo, in questi casi e in queste lande ideologiche, partiva il «dibbbattito», ora si preferisce svicolare, parlare d’altro, convocare un cugino. Meglio evitare grane o un corsivo politicamente correttissimo su La Repubblica contro la molto presunta discriminazione. Con il risultato di appiattire le differenze, anestetizzare i sentimenti, sterilizzare la società.È l’obiettivo della sociopatia da campus californiano, è un malinteso senso di rispetto che colonizza la vecchia Europa e arriva, con l’effetto di una nevicata, a uniformare, banalizzare il mondo. Niente presepe in aula perché i musulmani non si riconoscono, niente carne in mensa perché i vegani si scandalizzano, niente Fedor Dostoevskij all’università perché i russi sono tutti cattivi.L’elefante nella stanza resta il papà, la sua eternità, la sua figura che nessuno ha ancora abolito per decreto nonostante i tentativi burocratici da genitore 1 e 2. Persiste il desiderio di ricordarlo se non c’è più, di maledirlo o perdonarlo se ci ha abbandonato. E la necessità di spiegarne l’assenza se non c’è mai stato. Si può fuggire da una festa cambiandone i connotati, non dalla realtà.«La società non è più quella di 50 anni fa», conclude l’insegnante con una semplificazione da collettivo studentesco. Ma non è neppure quella fluida che lei immagina, e che teorizza l’omogenitorialità come evoluzione naturale. Chi è convinto che due mamme possano sostituire la figura paterna ha il dovere di spiegarlo ai figli, di assumersi la responsabilità della scelta e dell’assenza. Chiedere di abolire la Festa del papà perché rovina la narrazione è un’infantile scorciatoia.La decisione della scuola viareggina ha suscitato polemiche nella maggioranza dei genitori. «Veniamo da tre anni di Covid in cui non era possibile fare nulla», hanno protestato. «Ci sono bambini che sono all’ultimo anno e che aspettavano questo giorno per condividere del tempo con il proprio papà. Adesso non sarà facile spiegare loro che la festa non ci sarà o sarà diversa». A doversi arrendere saranno loro, i loro figli, le loro aspettative.A guardarlo in controluce, il potere docile delle minoranze chiassose è micidiale. Sigmund Freud teorizzava che «non c’è un bisogno dell’infanzia così forte come il bisogno della protezione di un padre». Ma non essendo una preside, certamente si sbagliava. Imbrattarne qualche ritratto con vernice fluo sarebbe il minimo.