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2021-09-15
«Tutti zitti sugli infermieri vaccinati positivi»
Ansa
Le notizie girano in una chat di medici e infermieri a livello nazionale, con informazioni molto tecniche e specialistiche. Uno degli ultimi messaggi, scritto da un'infermiera dell'Asl Roma 2, denuncia il fatto che «all'ospedale Sant'Eugenio i miei colleghi vaccinati sono tutti positivi. Non abbiamo trovato un giornalista che scrivesse la verità». Eccoci qui, invece, a cercare di capire e spiegare. La stessa situazione romana è stata riscontrata a Trento, all'ospedale di Tione. In questo caso è una infermiera non vaccinata, a parlare a ruota libera ma, precisa, «ho figli, sono divorziata, sono in crisi se mi tolgono il lavoro, sono in attesa di sospensione, per favore non citate il mio nome».
Che accade? «Di Roma ho chiesto conferma sul gruppo. Una situazione del genere si è verificata il mese scorso nel mio ospedale quando ad agosto c'è stato un focolaio Covid dove sono stati contagiati quattro pazienti e sette operatori, tutti vaccinati». La situazione, quindi, nonostante i vaccini, resta preoccupante.
«Hanno dato la colpa a un paziente non vaccinato, arrivato da una pneumologia di un altro ospedale con tampone negativo e negativo anche il tampone d'ingresso così come i due successivi, fatti ogni quattro giorni. Si è positivizzato all'ottavo, decimo giorno nel nostro ospedale. Il contagio è arrivato ad altri tre pazienti, vaccinati anche loro. I miei colleghi, intanto, a casa con sintomi, non asintomatici come dicono, tosse, febbre come una vera influenza. E non è vero che in una settimana guariscono». In pratica, il vaccino non li ha preservati.
Il dubbio sorge spontaneo e immediatamente si pensa che ci si trovi di fronte a una no vax. «Assolutamente no. A maggio ho fatto il vaccino dell'antitetanica perché mi ero punta con una rosa, i miei bambini sono tutti vaccinati, hanno fatto perfino quello delle zecche che sono tre richiami».
Tutti gli altri vaccini sì, ma contraria a quello anticovid. «Non è il solito vaccino, questo. Pretendo che un vaccino mi tuteli dall'infezione. È un anno e mezzo che lavoro nel reparto Covid, mi sono messa la tuta a marzo dell'anno scorso responsabilmente perché il mio dovere era quello di stare vicina ai paziente lasciati soli e non si sapeva ancora nulla di questo virus. E con a casa un padre malato, pluripatologico, tre figli minori ai quali ero terrorizzata di portare la malattia».
Quindi una sensibilità e una dedizione al lavoro totali. «Non potevo fare altro, era giusto così. Bisogna stare molto attenti soprattutto con le persone più fragili. Per quanto riguarda i bambini, però, è una faccenda differente». Le reazioni dei medici? «Tranne qualche caso sporadico, non so se per paura o convenienza, nessuno si pone una domanda e un pensiero critico lo vedo in molto pochi. Con tanti si fa fatica a parlarne.»
In compenso, il virus attacca quasi indisturbato. «Sì, c'è un altro focolaio al Santa Chiara, l'ospedale maggiore di Trento ma non so dirle di più». Nel vostro ospedale in quanti non siete vaccinati? «Venti/venticinque su un centinaio. Tra quelli che hanno fatto il Covid la raccomandata con cui si invita a vaccinarsi entro l'anno non è ancora arrivata. Noi l'abbiamo già ricevuta».
Chi non si vaccina rischia il posto di lavoro. «Non so come si metteranno le cose. Nell'immediato c'è la sospensione. Noi siamo azienda sanitaria e quindi la legge ha previsto questo fino a dicembre. Spero non procedano con un licenziamento, non posso permettermelo, dovrei cedere. Alcuni l'hanno già fatto, hanno il mutuo da pagare». In tanti hanno abbassato la guardia.
«Lo vedo nell'utenza. Le mascherine non sono mai sistemate nel modo corretto. Li riprendo e mi rispondono “ma tanto sono vaccinato". Hanno creato questo effetto di falsa sicurezza specialmente tra gli anziani che quest'anno si sentono più rilassati, sbagliando».
Intanto, nella centrale operativa del 118 di Palermo «15 infermieri sono risultati positivi ai test Covid», spiega Gioacchino Zarbo referente per la Sicilia del Nursing Up, il sindacato degli infermieri, «e si vocifera che alcuni di loro abbiano contagiato anche i famigliari. Lo abbiamo saputo dai giornali, nessuno ci ha informati. Gli infermieri, nonostante abbiano eseguito da tempo la seconda dose, si contagiano». Le difficoltà diventano insormontabili senza quelle figure insostituibili degli infermieri.
«La situazione è sempre più grave e le aziende sanitarie stanno sempre più zitte», precisa Alfredo Iannaccone di Nursing Up, «quello che riusciamo a sapere ci arriva quasi per caso. A Palermo gli operatori sono vaccinati, significa che se vaccinati a febbraio, ora l'immunità non c'è più. La cosa grave, e che bisogna sottolineare, è che l'Aifa si è affrettata per l'ok per la terza dose ai soggetti fragili ottantenni però sugli infermieri e medici s'è data possibilista, dicendo “analizziamo caso per caso, se state poco bene, vediamo". Non funziona così».
«Difendo stupratori, ma no vax mai». Così gli avvocati uccidono il diritto
Federica Eminente è un'avvocatessa del foro di La Spezia. È di famiglia ebrea. Vent'anni fa il destino le giocò uno strano scherzo: il tribunale l'assegnò come difensore d'ufficio di un criminale nazista, Heinrich Sonntag, accusato con altri 9 gerarchi tedeschi dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema compiuto il 12 agosto 1944. Sonntag non trovava un legale che si sobbarcasse quel compito e per caso trovò lei. Uno dopo l'altro, i colleghi dell'avvocato Eminente individuati in precedenza avevano rifiutato di assumere l'incarico per tenersi la coscienza pulita. Lei no. Ma la sua coscienza restò immacolata. «Una scelta professionalmente banale», spiegò all'epoca, perché ogni imputato ha diritto a un avvocato difensore e il «popolo italiano» in nome del quale si celebrano i processi ha diritto a una giustizia giusta. Aveva le lacrime agli occhi l'avvocato Eminente quando, al termine dell'arringa, davanti ad alcuni superstiti e molti familiari delle vittime, chiese l'assoluzione per Sonntag per insufficienza di prove. La sua scelta fu giudicata «un atto di alto profilo civile e morale» da Moni Ovadia, attore e regista ebreo. Sonntag fu poi condannato all'ergastolo fino in Cassazione.
Anche le Ss hanno diritto a un legale, come li ebbero Goering, Ribbentrop e altri 20 criminali nazisti al processo di Norimberga. Ma oggi molti avvocati vorrebbero negare questo diritto ai no vax. È la nuova frontiera della demonizzazione verso i lavoratori che, nel loro diritto, si ribellano all'obbligo vaccinale e ricorrere contro le sospensioni dal lavoro inflitte loro. Si arrangino: è questo che pensa, per esempio, l'avvocato Stefano Giampietro, 52 anni, di Trento. Giampietro è un giuslavorista che in passato ha assistito molti lavoratori in cause che li contrapponevano ai loro capi e ha fama di uno che non molla. Ma il personale sanitario e gli insegnanti che rifiutano il siero come clienti non li vuole. «È una scelta di coscienza davanti alle numerosissime richieste giuntemi in questo senso», ha spiegato. «Dal mio punto di vista, il bene comune prevale sul bene singolo».
Giampietro elenca decine di sentenze di tribunali e Tar che hanno rigettato ricorsi contro l'obbligo vaccinale, compresa la Corte di giustizia europea e la Corte europea dei diritti dell'uomo. L'avvocato, insomma, si è trasformato in giudice. Una toga vale l'altra. Altro che separazione delle carriere: per lui non vale neppure la separazione delle professioni. Giampietro ha già sentenziato come andranno le cose. Il verdetto non va pronunciato da una corte ma dal suo studio legale. Per lui i fascicoli dei no vax e dei no green pass sono spazzatura che non merita il suo tempo prezioso: «Faccio l'avvocato da vent'anni, cause perse non ne ho mai seguite e non intendo farlo ora», ha detto. Fosse dipeso da lui, il processo a Sonntag non si sarebbe potuto celebrare visto che l'imputato sarebbe rimasto privo di difesa. O comunque, poiché la sentenza di condanna era già scritta, sarebbe stato meglio dedicarsi a qualcosa di più profittevole.
L'avvocato trentino rivela che molti altri suoi colleghi optano per la stessa scelta «no no vax». Come Francesco Gatti, uno dei legali più in vista di Perugia, tra l'altro presidente del consiglio di amministrazione della Fondazione Post (Perugia officina per la scienza e la tecnologia). «Per la prima volta nella mia vita professionale», ha annunciato Gatti sul suo profilo Facebook, «non ho difeso una persona: un sanitario di un'azienda ospedaliera che non intende vaccinarsi». Un criminale con i fiocchi, un indifendibile. Eppure l'avvocato non si è mai tirato indietro: «Ho difeso criminali di ogni tipo», ammette. «Assassini, inquinatori, stupratori, stalker, politici corrotti e ho sempre tutelato tutti impegnandomi al massimo senza mai battere ciglio perché credo molto nel diritto di difesa. Ma questa volta quando mi è arrivata la mail proprio non ce l'ho fatta».
Quindi un no vax è peggio dei peggiori criminali e merita di marcire senza tutele davanti a un giudice. Questo è il ragionamento dell'avvocato Gatti: «Lo stupratore risponde della sua condotta nel suo “grande ma piccolo caso". Magari anche quello dell'inquinatore, per quanto spregevole, è un comportamento che ha un confine geografico e sociale. Il “no vax" invece risponde della sua condotta anche nella coscienza collettiva; agisce secondo un'idea sua, che io non condivido, ma ha un risvolto generale. Nella Costituzione c'è scritto che abbiamo il dovere di solidarietà. Lo dice la morale e lo dice la scienza».
Roberto Burioni, il virologo preferito da Fabio Fazio, su Facebook ha messo all'indice il post di un'avvocatessa che aveva annunciato di voler difendere «tutti i cittadini (inclusi medici e infermieri) che non si vorranno sottoporre alla terapia genetica sperimentale che viene “venduta" alla popolazione come un vaccino». «La libertà è un'altra cosa», ha sentenziato Burioni nel commento aizzando una serie di insulti contro gli avvocati colpevoli di fare il proprio mestiere, cioè rappresentare gli interessi di qualcuno. «Mi vergogno di appartenere alla categoria», scrive un'avvocatessa che segue Burioni. «Mi domando perché il consiglio dell'ordine non ha ancora provveduto alla radiazione», aggiunge un collega. «La facoltà di giurisprudenza è frequentata al 90% da gente che odia la matematica e le conseguenze mi sembrano evidenti», chiosa un'altra follower. E giù offese una dietro l'altra. Perché la legge non è più uguale per tutti.
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Un'operatrice di Trento conferma: «Ad agosto c'è stato un focolaio in cui sono stati contagiati 4 pazienti e 7 colleghi che avevano ricevuto il farmaco. E hanno anche avuto sintomi». Il sindacato Nursing Up rincara: «Le aziende sanitarie non lo comunicano».Sempre più legali fanno sapere di non voler assistere chi, a vario titolo, contesta le norme su inoculazioni e green pass. Viene così meno un principio di giustizia che ha permesso persino ai nazisti di essere tutelati.Lo speciale contiene due articoli.Le notizie girano in una chat di medici e infermieri a livello nazionale, con informazioni molto tecniche e specialistiche. Uno degli ultimi messaggi, scritto da un'infermiera dell'Asl Roma 2, denuncia il fatto che «all'ospedale Sant'Eugenio i miei colleghi vaccinati sono tutti positivi. Non abbiamo trovato un giornalista che scrivesse la verità». Eccoci qui, invece, a cercare di capire e spiegare. La stessa situazione romana è stata riscontrata a Trento, all'ospedale di Tione. In questo caso è una infermiera non vaccinata, a parlare a ruota libera ma, precisa, «ho figli, sono divorziata, sono in crisi se mi tolgono il lavoro, sono in attesa di sospensione, per favore non citate il mio nome». Che accade? «Di Roma ho chiesto conferma sul gruppo. Una situazione del genere si è verificata il mese scorso nel mio ospedale quando ad agosto c'è stato un focolaio Covid dove sono stati contagiati quattro pazienti e sette operatori, tutti vaccinati». La situazione, quindi, nonostante i vaccini, resta preoccupante. «Hanno dato la colpa a un paziente non vaccinato, arrivato da una pneumologia di un altro ospedale con tampone negativo e negativo anche il tampone d'ingresso così come i due successivi, fatti ogni quattro giorni. Si è positivizzato all'ottavo, decimo giorno nel nostro ospedale. Il contagio è arrivato ad altri tre pazienti, vaccinati anche loro. I miei colleghi, intanto, a casa con sintomi, non asintomatici come dicono, tosse, febbre come una vera influenza. E non è vero che in una settimana guariscono». In pratica, il vaccino non li ha preservati. Il dubbio sorge spontaneo e immediatamente si pensa che ci si trovi di fronte a una no vax. «Assolutamente no. A maggio ho fatto il vaccino dell'antitetanica perché mi ero punta con una rosa, i miei bambini sono tutti vaccinati, hanno fatto perfino quello delle zecche che sono tre richiami». Tutti gli altri vaccini sì, ma contraria a quello anticovid. «Non è il solito vaccino, questo. Pretendo che un vaccino mi tuteli dall'infezione. È un anno e mezzo che lavoro nel reparto Covid, mi sono messa la tuta a marzo dell'anno scorso responsabilmente perché il mio dovere era quello di stare vicina ai paziente lasciati soli e non si sapeva ancora nulla di questo virus. E con a casa un padre malato, pluripatologico, tre figli minori ai quali ero terrorizzata di portare la malattia». Quindi una sensibilità e una dedizione al lavoro totali. «Non potevo fare altro, era giusto così. Bisogna stare molto attenti soprattutto con le persone più fragili. Per quanto riguarda i bambini, però, è una faccenda differente». Le reazioni dei medici? «Tranne qualche caso sporadico, non so se per paura o convenienza, nessuno si pone una domanda e un pensiero critico lo vedo in molto pochi. Con tanti si fa fatica a parlarne.»In compenso, il virus attacca quasi indisturbato. «Sì, c'è un altro focolaio al Santa Chiara, l'ospedale maggiore di Trento ma non so dirle di più». Nel vostro ospedale in quanti non siete vaccinati? «Venti/venticinque su un centinaio. Tra quelli che hanno fatto il Covid la raccomandata con cui si invita a vaccinarsi entro l'anno non è ancora arrivata. Noi l'abbiamo già ricevuta». Chi non si vaccina rischia il posto di lavoro. «Non so come si metteranno le cose. Nell'immediato c'è la sospensione. Noi siamo azienda sanitaria e quindi la legge ha previsto questo fino a dicembre. Spero non procedano con un licenziamento, non posso permettermelo, dovrei cedere. Alcuni l'hanno già fatto, hanno il mutuo da pagare». In tanti hanno abbassato la guardia. «Lo vedo nell'utenza. Le mascherine non sono mai sistemate nel modo corretto. Li riprendo e mi rispondono “ma tanto sono vaccinato". Hanno creato questo effetto di falsa sicurezza specialmente tra gli anziani che quest'anno si sentono più rilassati, sbagliando». Intanto, nella centrale operativa del 118 di Palermo «15 infermieri sono risultati positivi ai test Covid», spiega Gioacchino Zarbo referente per la Sicilia del Nursing Up, il sindacato degli infermieri, «e si vocifera che alcuni di loro abbiano contagiato anche i famigliari. Lo abbiamo saputo dai giornali, nessuno ci ha informati. Gli infermieri, nonostante abbiano eseguito da tempo la seconda dose, si contagiano». Le difficoltà diventano insormontabili senza quelle figure insostituibili degli infermieri. «La situazione è sempre più grave e le aziende sanitarie stanno sempre più zitte», precisa Alfredo Iannaccone di Nursing Up, «quello che riusciamo a sapere ci arriva quasi per caso. A Palermo gli operatori sono vaccinati, significa che se vaccinati a febbraio, ora l'immunità non c'è più. La cosa grave, e che bisogna sottolineare, è che l'Aifa si è affrettata per l'ok per la terza dose ai soggetti fragili ottantenni però sugli infermieri e medici s'è data possibilista, dicendo “analizziamo caso per caso, se state poco bene, vediamo". Non funziona così».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/infermieri-vaccinati-positivi-2655026955.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="difendo-stupratori-ma-no-vax-mai-cosi-gli-avvocati-uccidono-il-diritto" data-post-id="2655026955" data-published-at="1631690824" data-use-pagination="False"> «Difendo stupratori, ma no vax mai». Così gli avvocati uccidono il diritto Federica Eminente è un'avvocatessa del foro di La Spezia. È di famiglia ebrea. Vent'anni fa il destino le giocò uno strano scherzo: il tribunale l'assegnò come difensore d'ufficio di un criminale nazista, Heinrich Sonntag, accusato con altri 9 gerarchi tedeschi dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema compiuto il 12 agosto 1944. Sonntag non trovava un legale che si sobbarcasse quel compito e per caso trovò lei. Uno dopo l'altro, i colleghi dell'avvocato Eminente individuati in precedenza avevano rifiutato di assumere l'incarico per tenersi la coscienza pulita. Lei no. Ma la sua coscienza restò immacolata. «Una scelta professionalmente banale», spiegò all'epoca, perché ogni imputato ha diritto a un avvocato difensore e il «popolo italiano» in nome del quale si celebrano i processi ha diritto a una giustizia giusta. Aveva le lacrime agli occhi l'avvocato Eminente quando, al termine dell'arringa, davanti ad alcuni superstiti e molti familiari delle vittime, chiese l'assoluzione per Sonntag per insufficienza di prove. La sua scelta fu giudicata «un atto di alto profilo civile e morale» da Moni Ovadia, attore e regista ebreo. Sonntag fu poi condannato all'ergastolo fino in Cassazione. Anche le Ss hanno diritto a un legale, come li ebbero Goering, Ribbentrop e altri 20 criminali nazisti al processo di Norimberga. Ma oggi molti avvocati vorrebbero negare questo diritto ai no vax. È la nuova frontiera della demonizzazione verso i lavoratori che, nel loro diritto, si ribellano all'obbligo vaccinale e ricorrere contro le sospensioni dal lavoro inflitte loro. Si arrangino: è questo che pensa, per esempio, l'avvocato Stefano Giampietro, 52 anni, di Trento. Giampietro è un giuslavorista che in passato ha assistito molti lavoratori in cause che li contrapponevano ai loro capi e ha fama di uno che non molla. Ma il personale sanitario e gli insegnanti che rifiutano il siero come clienti non li vuole. «È una scelta di coscienza davanti alle numerosissime richieste giuntemi in questo senso», ha spiegato. «Dal mio punto di vista, il bene comune prevale sul bene singolo». Giampietro elenca decine di sentenze di tribunali e Tar che hanno rigettato ricorsi contro l'obbligo vaccinale, compresa la Corte di giustizia europea e la Corte europea dei diritti dell'uomo. L'avvocato, insomma, si è trasformato in giudice. Una toga vale l'altra. Altro che separazione delle carriere: per lui non vale neppure la separazione delle professioni. Giampietro ha già sentenziato come andranno le cose. Il verdetto non va pronunciato da una corte ma dal suo studio legale. Per lui i fascicoli dei no vax e dei no green pass sono spazzatura che non merita il suo tempo prezioso: «Faccio l'avvocato da vent'anni, cause perse non ne ho mai seguite e non intendo farlo ora», ha detto. Fosse dipeso da lui, il processo a Sonntag non si sarebbe potuto celebrare visto che l'imputato sarebbe rimasto privo di difesa. O comunque, poiché la sentenza di condanna era già scritta, sarebbe stato meglio dedicarsi a qualcosa di più profittevole. L'avvocato trentino rivela che molti altri suoi colleghi optano per la stessa scelta «no no vax». Come Francesco Gatti, uno dei legali più in vista di Perugia, tra l'altro presidente del consiglio di amministrazione della Fondazione Post (Perugia officina per la scienza e la tecnologia). «Per la prima volta nella mia vita professionale», ha annunciato Gatti sul suo profilo Facebook, «non ho difeso una persona: un sanitario di un'azienda ospedaliera che non intende vaccinarsi». Un criminale con i fiocchi, un indifendibile. Eppure l'avvocato non si è mai tirato indietro: «Ho difeso criminali di ogni tipo», ammette. «Assassini, inquinatori, stupratori, stalker, politici corrotti e ho sempre tutelato tutti impegnandomi al massimo senza mai battere ciglio perché credo molto nel diritto di difesa. Ma questa volta quando mi è arrivata la mail proprio non ce l'ho fatta». Quindi un no vax è peggio dei peggiori criminali e merita di marcire senza tutele davanti a un giudice. Questo è il ragionamento dell'avvocato Gatti: «Lo stupratore risponde della sua condotta nel suo “grande ma piccolo caso". Magari anche quello dell'inquinatore, per quanto spregevole, è un comportamento che ha un confine geografico e sociale. Il “no vax" invece risponde della sua condotta anche nella coscienza collettiva; agisce secondo un'idea sua, che io non condivido, ma ha un risvolto generale. Nella Costituzione c'è scritto che abbiamo il dovere di solidarietà. Lo dice la morale e lo dice la scienza». Roberto Burioni, il virologo preferito da Fabio Fazio, su Facebook ha messo all'indice il post di un'avvocatessa che aveva annunciato di voler difendere «tutti i cittadini (inclusi medici e infermieri) che non si vorranno sottoporre alla terapia genetica sperimentale che viene “venduta" alla popolazione come un vaccino». «La libertà è un'altra cosa», ha sentenziato Burioni nel commento aizzando una serie di insulti contro gli avvocati colpevoli di fare il proprio mestiere, cioè rappresentare gli interessi di qualcuno. «Mi vergogno di appartenere alla categoria», scrive un'avvocatessa che segue Burioni. «Mi domando perché il consiglio dell'ordine non ha ancora provveduto alla radiazione», aggiunge un collega. «La facoltà di giurisprudenza è frequentata al 90% da gente che odia la matematica e le conseguenze mi sembrano evidenti», chiosa un'altra follower. E giù offese una dietro l'altra. Perché la legge non è più uguale per tutti.
i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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Getty Images
Nel 2025 la pirateria torna a imporsi come una minaccia fluida, che si adatta ad ogni situazione, capace di sfruttare ogni varco lasciato aperto nel fragile equilibrio della sicurezza marittima globale. Due aree, più di altre, raccontano questa nuova stagione di attacchi: il Golfo di Guinea e l’Oceano Indiano. Non si tratta più di fenomeni isolati come mostrano i report di Praesidium, società che si occupa di intelligence marittima, né di improvvise fiammate criminali. È un ecosistema in movimento, che segue logiche precise, approfitta delle lacune statali, cavalca il maltempo o il suo contrario, e ridisegna continuamente la mappa del rischio.
Nel Golfo di Guinea, l’andamento dell’anno ha mostrato un susseguirsi di incursioni che sembrano quasi seguire una traiettoria invisibile. All’inizio la pressione è stata particolarmente intensa nel settore orientale, tra Gabon, Guinea Equatoriale e São Tomé e Príncipe. L’attacco del 31 gennaio al peschereccio Amerger VII ha inaugurato la stagione. Tre membri dell’equipaggio sono finiti nelle mani dei pirati a poche miglia da Owendo, un episodio che ha posto subito il tema dell’audacia dei gruppi criminali e della loro capacità di muoversi vicino alle acque territoriali. Interessante notare che la stessa imbarcazione era già stata attaccata nella stessa area nel 2020.
Pochi giorni dopo, l’abbordaggio della Jsp Vento, nella Zona economica esclusiva (Zee) della Repubblica della Guinea Equatoriale, ha mostrato un altro tratto distintivo della pirateria del 2025: attacchi rapidi e condotti contro navi senza scorta, dove gli equipaggi sono spesso lasciati a loro stessi visti i lunghi tempi di reazione delle autorità locali. In questo caso i pirati hanno abbandonato la nave dopo essere stati avvistati dall’equipaggio. A marzo l’escalation si è fatta più chiara. L’incursione alla petroliera Bitu River, al largo di São Tomé, è durata ore e ha incluso la violazione della cittadella, con i pirati che sono riusciti a prendere in ostaggio diversi membri dell’equipaggio e a fuggire. Il trasferimento degli ostaggi in Nigeria e il loro rilascio settimane dopo suggeriscono canali consolidati, territori di appoggio e una filiera criminale ben riconoscibile.
La traiettoria della minaccia è poi scivolata verso ovest, raggiungendo il Ghana, dove a fine marzo il peschereccio Meng Xin 1 è stato assaltato e tre marittimi sono stati rapiti e trasportati nel Delta del Niger, cuore storico delle milizie locali. In quest’area, simili episodi ai danni di pescherecci sono stati in passato ricondotti a dispute locali o ad azioni di ritorsione. Tuttavia, il fatto che gli assalitori comunicassero in pidgin english nigeriano richiama il modus operandi tipico dei sequestri a scopo di riscatto riconducibili alla pirateria nigeriana, lasciando aperta l’ipotesi di un’evoluzione dell’evento in tale contesto.
Il vero punto di svolta è arrivato il 21 aprile, quando la Sea Panther è stata abbordata a oltre 130 miglia da Brass. L’episodio ha segnato il ritorno ufficiale della pirateria all’interno della Zee nigeriana, un territorio che non registrava attacchi confermati dal 2021. Per gli analisti si è trattato della prova definitiva che la pressione militare degli anni precedenti si è attenuata, lasciando di nuovo spazio a cellule in grado di spingersi in acque profonde. Poche settimane dopo, a fine maggio, l’assalto alla Orange Frost nella zona di sviluppo congiunto tra Nigeria e São Tomé ha completato il quadro, mostrando come i gruppi criminali siano capaci di colpire anche aree formalmente pattugliate da due Stati.
L’estate ha portato una calma apparente, dissoltasi con l’arrivo di nuovi episodi a partire da agosto, quando il tentativo di sequestro della Endo Ponente è stato sventato dalla pronta ritirata nella cittadella da parte dell’equipaggio, che è rimasto all’interno fino all’intervento delle forze navali avvenuto comunque ore dopo l’attacco. Un altro tentato attacco è stato registrato nella regione occidentale del Golfo in ottobre contro la Alfred Temile 10 al largo del Benin. A novembre la minaccia è tornata a concentrarsi a est, dove la Ual Africa è stata presa di mira al confine tra la Zee di São Tomé e Principe e quella della Guinea Equatoriale: l’equipaggio ha resistito chiudendosi in un’area blindata all’interno della nave - un locale protetto, sigillato e dotato di comunicazioni indipendenti - progettata per consentire all’equipaggio di mettersi al sicuro durante un attacco. Non riuscendo a fare breccia nelle difese, i pirati hanno devastato ponte e alloggi prima di ritirarsi.
Se il Golfo di Guinea racconta una pirateria che cambia posizione ma non perde incisività, l’Oceano Indiano nel 2025 ha dato vita a uno scenario ancora più inquietante. La regione somala è tornata teatro di sequestri e attacchi con una frequenza che ricorda i periodi più bui della pirateria del decennio precedente. La stagione è iniziata a febbraio con una serie di dirottamenti per mezzo di dhow yemeniti, piccole imbarcazioni utilizzate dai pirati come piattaforme mobili per proiettarsi molto a largo. Il sequestro dell’Al Najma N.481 ha rivelato un modus operandi ormai consueto: catturare un peschereccio, impossessarsi delle piccole imbarcazioni, rifornirsi a bordo e ripartire verso obiettivi più remunerativi. Anche gli altri casi registrati tra il 15 febbraio e il 16 marzo mostrano lo stesso schema, con dhow impiegati come basi avanzate e poi abbandonati dopo l’intervento delle forze navali internazionali o a seguito del pagamento di riscatti.
Il periodo dei monsoni, tra maggio e settembre, ha rallentato l’attività, ma non l’ha soppressa. Appena il mare è tornato praticabile, gli avvistamenti sospetti sono ripresi con un’intensità che ha sorpreso perfino le missioni navali. Tra ottobre e novembre si è assistito a un ritorno deciso dei gruppi somali in acque profonde, con tentativi di abbordaggio a centinaia di miglia dalla costa, un dettaglio che ricorda i livelli operativi raggiunti nel 2011-2012. Il primo attacco avvenuto nel 2025 contro una nave commerciale è stato registrato il 3 novembre alla petroliera Stolt Sagaland, a oltre 332 miglia nautiche da Mogadiscio: quattro uomini armati hanno aperto il fuoco prima di ritirarsi, segno di una rinnovata audacia. Pochi giorni dopo, la Hellas Aphrodite è stata addirittura abbordata a più di 700 miglia nautiche dalla Somalia, un dato che conferma l’utilizzo di «navi madre» capaci di sostenere missioni lunghe e complesse. Proprio in questo contesto si inserisce il misterioso dhow iraniano Issamamohamadi, sequestrato a fine ottobre e ritrovato abbandonato l’11 novembre: secondo gli investigatori è molto probabile che sia stato utilizzato come base per gli attacchi alla Stolt Sagaland e alla Hellas Aphrodite.
Il mese di novembre ha proposto un crescendo di avvicinamenti sospetti, scafi non identificati che si accostano a mercantili per poi allontanarsi all’improvviso, petroliere che segnalano la presenza di droni in aree dove solo pochi anni fa sarebbe stato impensabile. Le due regioni – Golfo di Guinea e Oceano Indiano – raccontano, seppure con dinamiche diverse, una stessa verità: la pirateria non è affatto un fenomeno residuale. È una minaccia che continua a mutare, sfrutta gli spazi lasciati liberi dalla sicurezza internazionale e approfitta delle fragilità degli Stati costieri. Nel 2025, il mare torna a parlare il linguaggio inquieto delle rotte clandestine, dei sequestri silenziosi e dei gruppi armati che conoscono perfettamente le pieghe della geografia nautica e delle debolezze politiche di intere regioni. Una minaccia che non chiede di essere osservata: semplicemente, ritorna.
«La lotta agli Huthi ha sottratto risorse. Contro i sequestri i mezzi sono limitati»
Stefano Ràkos, è manager del dipartimento di intelligence e responsabile del progetto M.a.r.e. di Praesidium.
In che modo la pirateria nel Golfo di Guinea nel 2025 dimostra una crescente capacità organizzativa rispetto agli anni precedenti?
«La crescente capacità organizzativa emerge soprattutto dall’elevata adattabilità dei pirati al contesto di sicurezza. I gruppi dimostrano di monitorare costantemente l’evoluzione delle misure di protezione, inclusa l’estensione progressiva delle aree coperte da scorte armate o navi militari, e di raccogliere informazioni attraverso canali aperti e circuiti informali. Le aree di attacco vengono quindi selezionate in modo sempre più mirato, privilegiando i settori dove le scorte armate non sono consentite per motivi legali o di scarsa presenza di asset militari. Gli assalti risultano basati su informazioni preventive sui movimenti delle navi e non più su opportunità casuali, indicando un livello di pianificazione e coordinamento superiore rispetto al passato».
Quali fattori hanno consentito ai gruppi criminali dell’Oceano Indiano di tornare a operare a distanze così elevate dalla costa somala, arrivando a colpire navi a oltre 700 miglia?
«A partire dalla fine del 2023, il ritorno delle attività pirata a distanze superiori alle 700 miglia dalla costa somala è stato favorito dallo spostamento dell’attenzione navale internazionale verso il Mar Rosso e il Golfo di Aden a seguito della crisi legata agli Huthi, con una conseguente riduzione della pressione di controllo nell’Oceano Indiano. La fine del monsone ha ripristinato condizioni meteomarine favorevoli alle operazioni offshore. Sul piano operativo, si è registrata una persistente limitata capacità di interdizione effettiva da parte degli assetti navali internazionali. Nel caso del dirottamento della Ruen nel dicembre 2023, così come in un più recente episodio con dinamiche analoghe, le forze presenti si sono limitate ad attività di monitoraggio a distanza, senza procedere a un’azione diretta di interruzione prima del rientro delle unità verso le coste somale. Questo approccio ha di fatto confermato ai gruppi criminali l’esistenza di ampi margini di manovra operativa, rafforzando la percezione di un basso livello di rischio nelle fasi successive al sequestro».
Che ruolo ha giocato la cooperazione regionale degli Stati dell’Africa occidentale nella gestione dei sequestri e nella risposta agli attacchi, e quali limiti emergono da questi interventi?
«Nella pratica, la cooperazione regionale tra gli Stati dell’Africa occidentale ha inciso in modo molto limitato sulla gestione dei sequestri e sulla risposta agli attacchi. I principali quadri di riferimento, tra cui Ecowas e l’Architettura di Yaoundé con i relativi centri di coordinamento regionali, hanno prodotto soprattutto meccanismi formali di cooperazione e scambio informativo. Tuttavia, tali strutture non si sono tradotte in una capacità operativa realmente integrata. Le risposte restano nazionali, frammentate e spesso tardive, con forti disomogeneità tra le marine locali».
In che misura l’utilizzo di dhow come «navi madre» rappresenta un salto qualitativo nelle operazioni dei pirati somali, e quali rischi introduce per le rotte commerciali globali?
«L’impiego dei dhow come navi madre non rappresenta una tattica nuova, ma una strategia già utilizzata dai pirati somali in passato e oggi tornata pienamente operativa. Questo schema consente di superare i limiti degli skiff, che per autonomia di carburante e condizioni del mare non possono spingersi troppo lontano dalla costa. L’uso di un’imbarcazione più grande permette invece di operare a grande distanza, trasportando uomini, carburante e mezzi d’assalto in aree di mare molto più estese. Una volta avvicinato il bersaglio, vengono poi impiegati gli skiff, più rapidi e adatti alla fase di abbordaggio. Ne deriva un ampliamento diretto dell’area di rischio e una maggiore esposizione delle rotte commerciali globali, anche in settori che in passato erano considerati marginali rispetto alla minaccia pirata. Negli anni d’oro della pirateria somala il loro raggio operativo raggiungeva addirittura le Maldive».
Quali segnali osservabili indicano che nel 2025 la pirateria non è un fenomeno residuale ma un ecosistema in evoluzione che sfrutta lacune statali e vuoti di sicurezza internazionale?
«Nel contesto dell’Oceano Indiano, l’assenza di un controllo statale effettivo su ampie porzioni del territorio somalo continua a costituire un fattore strutturale di instabilità, che facilita la riorganizzazione delle reti criminali. Le missioni navali internazionali, tra cui le componenti europee e le task force multinazionali, non esercitano più il livello di deterrenza raggiunto negli anni precedenti. La Marina indiana mantiene una presenza attiva nella regione, ma gli interventi risultano spesso legati alla presenza di cittadini indiani a bordo delle unità coinvolte. Nel Golfo di Guinea, il quadro appare ancora più critico. I gruppi criminali nigeriani operano con crescente frequenza al di fuori della zona economica esclusiva della Nigeria, spesso in aree dove l’impiego di scorte armate non è consentito. I tempi di risposta delle marine locali risultano generalmente elevati e frammentati, in assenza di un dispositivo internazionale strutturato analogo a quello attivo in Oceano Indiano».
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(Ansa/Arma dei Carabinieri)
Si tratta in particolare di truffatori che ricorrevano al trucco del «finto carabiniere» per sottrarre denaro soprattutto a persone anziane. Tra gli indagati, uno era già detenuto per altra causa; sei sono stati portati in carcere, nove agli arresti domiciliari e cinque sottoposti all’obbligo di dimora.
Il provvedimento nasce da un’indagine convenzionalmente denominata «Altro Mondo», condotta dal Nucleo investigativo di Milano e avviata a partire dal 2023, come risposta alla recrudescenza di furti, rapine e truffe commessi prevalentemente in danno di soggetti vulnerabili, mediante la tecnica del «finto carabiniere».
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