
Il gruppo Idra di Brescia collabora con la Tesla di Elon Musk
In uno dei video su YouTube di Tesla, un drone vola dentro allo stabilimento futuristico di Berlino e mostra i pezzi delle auto in fase di stampa. Eccolo, al minuto uno, il tricolore del gruppo Idra, in bella vista su questi giganti macchinari. Le chiamano “Giga Press”, appunto, e quelli del settore pronunciano “ghiga”. Questa è una storia di gente visionaria, che ha sempre fatto cose tanto nuove che c’era chi li scherniva. “Presse grandi come una casa non le vuole nessuno”, ridevano i concorrenti, che non li hanno imitati e così hanno regalato a questa azienda di Travagliato, nel bresciano, un vantaggio competitivo enorme. Il gruppo Idra produce presse per applicazioni di lega leggera tanto elaborate da richiedere quasi un anno per essere costruite, ed è capitanata da Riccardo Ferrario. Che a Verità&Affari non conferma né smentisce il suo rapporto d’affari con Elon Musk. Si limita ad un semplice «no comment», ma entusiasta racconta una storia italiana di successo.
Narra come da un Paese di 13mila anime si può esportare in tutto il mondo e diventare un marchio “sinonimo di presse di robustezza e innovazione”. In principio è la famiglia Pasotti a fondarla, ben 82 anni fa. I primi a fare le presse a olio quando erano ad acqua, i primi a farle semiautomatiche, o da 4mila tonnellate. Crollano le Torri Gemelle e l’azienda da famigliare è quotata in Borsa passa per il delisting e la ristrutturazione, fino al 2008. Arriva poi la Lk Technology di Hong Kong, e se la acquisisce tutta, ma mette soldi esclusivamente nell’innovazione del prodotto, tanto che da allora non preleva neanche un dividendo. i numeri del bilancio.
Crescono i numeri, il bilancio si porta in attivo dal 2010, come spiega Ferrario. Il fatturato passa dai 20 milioni di euro del 2010 ai 100 del 2017, «cinque volte tanto», e anche per quest’anno si prevede si aggiri intorno a quella cifra. Il costo di materie prime ed energia preoccupano, ma vicino a Brescia «giochiamo al Lego, e disegniamo i mattoncini», racconta l’amministratore delegato e direttore generale, per spiegarci come le attività siano state terziarizzate sul territorio - «che è un po’ come la Disney del settore, ha tutte le competenze utili per i nostri prodotti» - così da rendere snella e flessibile la produzione. Consociate in Cina, Usa, Germania e Messico fanno inoltre attività di sviluppo tecnico-commerciale e soprattutto assistenza post vendita. «Esportiamo circa il 90% del fatturato, per il 75% nel settore automotive», prosegue il numero uno del gruppo. Le auto, appunto. La rivoluzione delle presse giganti, delle Giga Press, arriva con un percorso iniziato nel 2015, quando sulle quattro ruote si inizia a montare sempre più alluminio, lega leggera per la scocca, così da ridurre le emissioni.
Alla Idra anticipano il mercato parecchie volte, finché riescono a inventarsi delle presse che stampano ad esempio il pianale di un’auto elettrica in soli tre pezzi, quando prima se ne saldavano 160. «I vantaggi sono enormi: una nostra Giga Press consente di non utilizzare 400 robot di elettrosaldatura, con risparmi anche sulla logistica e quindi sul controllo qualità. Il tempo? Due terzi delle linee tradizionali». «Abbiamo calcolato un risparmio investimento per il cliente del 40%, del 30% del costo di produzione. Inoltre si riducono notevolmente gli spazi, e si risparmia il 45% sull’energia», precisa. «Quando abbiamo presentato il progetto in Germania ci hanno guardato come fossimo pazzi, ma siamo semplicemente poco presuntuosi, umili, sempre in contatto con gli esperti del settore», dice Ferrario che ha un passato anche in Fiat. Nel 2019 il primo ordine, oggi sono diventati ventidue, spalmati su tre clienti e in tre continenti . «Sei producono getti in lega leggera già in casa dei nostri clienti, altrettante in fase di montaggio, ed entro fine anno ne consegneremo otto», conclude. Una macchina in continuo sviluppo ed evoluzione al passo con i tempi.
Dimenticata la «sensibilità istituzionale» che mise al riparo l’Expo dalle inchieste: ora non c’è Renzi ma Meloni e il gip vuole mettere sotto accusa Milano-Cortina. Mentre i colleghi danno l’assalto finale al progetto Albania.
Non siamo più nel 2015, quando Matteo Renzi poteva ringraziare la Procura di Milano per «aver gestito la vicenda dell’Expo con sensibilità istituzionale», ovvero per aver evitato che le indagini sull’esposizione lombarda creassero problemi o ritardi alla manifestazione. All’epoca, con una mossa a sorpresa dall’effetto immediato, in Procura fu creata l’Area omogenea Expo 2015, un’avocazione che tagliò fuori tutti i pm, riservando al titolare dell’ufficio ogni decisione in materia.
Una decisione contestata da Alfredo Robledo, titolare di una delle inchieste, ma la sua denuncia portò solo al trasferimento a Torino dello stesso Robledo. L’allora titolare della Procura, Edmondo Bruti Liberati, ancora oggi rivendica la decisione e spiega che senza quell’impostazione Expo avrebbe rischiato l’insuccesso. «Se si vuole chiamare questa sensibilità istituzionale», dice ora, «io sono d’accordo». Del resto, per salvare Expo si mosse pure Giorgio Napolitano, il quale per giustificare l’operazione di salvataggio della manifestazione spiegò che l’autonomia e l’indipendenza della magistratura non sono patrimonio del singolo magistrato, ma dell’ufficio nel suo complesso. Dunque, Robledo aveva poco di cui lamentarsi, perché l’autonomia e l’indipendenza erano garantite dal suo capo, in quanto titolare della Procura.
Ricordo l’episodio a distanza di dieci anni, non soltanto perché con la riforma della giustizia oggi è tornata di moda la questione dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, ma per rappresentare che, quando ci sono state di mezzo manifestazioni o opere pubbliche di interesse nazionale, è prevalsa quella che Bruti Liberati chiama sensibilità istituzionale. L’ex procuratore capo ovviamente non la spiegherebbe mai così, ma diciamo che su Expo pm e giudici si mossero con i guanti bianchi, forti probabilmente anche della lettera con cui il capo dello Stato, ossia il presidente del Consiglio superiore della magistratura, avallò l’operato della Procura. Al contrario, a causa del clima reso incandescente da una riforma osteggiata dall’Anm, oggi anche opere pubbliche e manifestazioni di rilievo internazionale ne fanno le spese. Al Quirinale non c’è più Napolitano e al suo posto da dieci anni si è insediato Sergio Mattarella. E a Palazzo Chigi non c’è Renzi ma Giorgia Meloni. Dunque, la sensibilità istituzionale le toghe la sentono meno. O forse non la sentono affatto. Risultato, dopo la sentenza della Corte dei Conti che rischia di minare alla base il progetto del Ponte sullo stretto, ecco arrivare un ricorso del gip di Milano contro la fondazione Milano-Cortina. Il decreto del governo, che l’ha istituita in vista delle Olimpiadi invernali, la considera un ente di diritto privato, forse per metterla al riparo da eventuali indagini per turbativa d’asta (reato che riguarda la pubblica amministrazione e per consumare il quale può bastare una decisione che punti a sveltire l’iter di un appalto o di un contratto). Ma per il giudice per le indagini preliminari, aver stabilito che le attività della fondazione sono regolate da norme di diritto privato, consentendo dunque all’ente di operare sul mercato in condizioni di concorrenza e con criteri imprenditoriali, sarebbe incostituzionale. Di qui la decisione di sottoporre il quesito sulla legittimità del decreto direttamente alla Consulta. In pratica, la magistratura (la richiesta del gip è stata sollecitata dai pm), messa da parte la sensibilità istituzionale, vorrebbe ottenere il semaforo verde per continuare a indagare e fors’anche processare i vertici della fondazione. Che, come Expo, anche Milano-Cortina sia un evento di portata internazionale poco importa. E che uno stop a un’opera d’interesse pubblico possa diventare un problema d’immagine, per i giudici non sembra d’impedimento, così come in passato non lo furono le inchieste su Tap e Mose pure se conclusesi con un nulla di fatto. Per altro adesso ci sono i centri in Albania. Non contenti di aver svuotato o quasi le strutture per migranti costruite sulla sponda opposta dell’Adriatico, ora i giudici puntano a far dichiarare illegittimo, dalla Corte di giustizia europea, qualsiasi trasferimento all’estero di extracomunitari in attesa di espulsione, mettendo così la parola fine al progetto e all’investimento a Tirana.
In pratica, la guerra tra governo e magistrati prosegue ogni giorno senza esclusione di colpi e da qui al referendum probabilmente ne vedremo delle belle. Così, mentre vi preparate al peggio, segnalo l’ennesima sentenza che lascia (semi) libero un migrante. Per di più sospettato di terrorismo.
Man mano che si chiariscono i dettagli della legge di bilancio, emerge che i provvedimenti vanno in direzione di una maggiore attenzione al ceto medio. Ma è una impostazione che si spiega guardandola in prospettiva, in quanto viene dopo due manovre che si erano concentrate sui percettori di redditi più bassi e, quindi, più sfavoriti. Anche le analisi di istituti autorevoli come la Banca d’Italia e l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) tengono conto dei provvedimenti varati negli anni passati.
Sembra che al governo avessero aperto una sorta di riffa. Scavallato novembre, alcuni esponenti dell’esecutivo hanno messo in fila tutti i venerdì dell’ultimo mese dell’anno e aperto le scommesse: quando cadrà il «telefonatissimo» sciopero generale di Landini contro la manovra? Cinque, dodici e diciannove di dicembre le date segnate con un circoletto rosso. C’è chi aveva puntato sul primo fine settimana disponibile mettendo in conto che il segretario questa volta volesse fare le cose in grande: un super-ponte attaccato all’Immacolata. Pochi invece avevano messo le loro fiches sul 19, troppo vicino al Natale e all’approvazione della legge di Bilancio. La maggioranza dei partecipanti alla serratissima competizione si diceva sicura: vedrete che si organizzerà sul 12, gli manca pure la fantasia per sparigliare. Tant’è che all’annuncio di ieri, in molti anche nella maggioranza hanno stappato: evviva.










