La crisi della globalizzazione ha zavorrato le performance dei Paesi emergenti e il crollo immobiliare del Dragone spinge l’oro al posto delle azioni. L’America del Sud, però, continua a crescere.
La crisi della globalizzazione ha zavorrato le performance dei Paesi emergenti e il crollo immobiliare del Dragone spinge l’oro al posto delle azioni. L’America del Sud, però, continua a crescere.A inizio anno, la Cina e tutti i Paesi emergenti venivano presentati come i luoghi migliori dove investire, grazie anche alle favorevoli previsioni di crescita fornite dal Fondo monetario internazionale. «Se si osservava anche la performance relativa dell’Msci emerging markets rispetto all’indice allargato sull’azionario mondiale (Msci world), sembrava evidente il grado di ritardo dei mercati emergenti», spiega Salvatore Gaziano, direttore investimenti di Soldiexpert scf. Del resto, «da oltre un decennio le valutazioni sui fondamentali delle azioni dei Paesi emergenti appaiono nettamente più basse di quelle dei Paesi sviluppati e con uno sconto crescente. Per questo molti esperti si attendevano un forte recupero».A essere complici di queste previsioni ci sono anche alcuni megatrend che sembrano sostenere questi Paesi come l’urbanizzazione crescente, la curva demografica migliore rispetto a quella dei Paesi occidentali e la spinta verso un consumismo e un benessere sempre più diffuso. Le cose non sono andate, però, in questo modo nonostante all’inizio del 2023 ancora molti analisti scommettessero sul ritorno della Cina fra i maggiori locomotori degli indici azionari mondiali. Va ricordato che le azioni cinesi avevano fatto meglio dei mercati globali all’inizio della pandemia e avevano messo a segno un brillante rialzo all’inizio di quest’anno, nella speranza di una forte ripresa dopo l’allentamento delle dure misure Covid. Considerato poi il peso dominante dell’Asia nell’indice Msci emerging markets (circa il 33%), questo era quello che le previsioni degli esperti davano come scenario più probabile. La situazione, però, non è andata come previsto ed è stata proprio soprattutto Pechino (con l’indice azionario cinese in discesa del 15% da inizio anno) a mettere il piombo agli indici dei mercati sia azionari sia obbligazionari emergenti. Da inizio 2023, gli indici dei Paesi emergenti sia azionari sia obbligazionari sono quindi in parità o negativi, condizionati soprattutto dall’effetto cinese. Inoltre, il crollo del settore immobiliare sta continuando a smorzare la fiducia degli investitori che preferiscono acquistare lingotti d’oro, piuttosto che azioni o obbligazioni. Certo, non tutti i mercati emergenti vanno così male e l’India come l’America Latina (soprattutto Brasile e Messico) hanno mostrato un andamento differente (circa il +7% da inizio 2023). «Come consulenti finanziari indipendenti in questi anni abbiamo consigliato di ridurre sempre più fortemente il peso degli emergenti e soprattutto della Cina, poiché l’andamento dei prezzi delle azioni mostravano segnali crescenti di criticità. Lo scoppio della guerra in Ucraina poi (dopo quello che era già successo con il Covid) ha prodotto una vera e propria faglia sul processo di globalizzazione con sempre più Paesi e aziende che hanno deciso di riportare più vicino o in Paesi meno autocratici le catene produttive», conclude Gaziano.
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Antonio Tajani e Maurizio Lupi (Ansa)
Lite tra vicepremier e leader di Noi moderati per le nuove tasse su banche e assicurazioni. Confindustria: «Rivedere tre punti».






