2021-01-07
I misteri dell’inchiesta su Zingaretti
Il segretario dem temeva che il pm Paolo Ielo si fosse «fissato» col suo braccio destro. Lo strano incontro al Csm nel corso delle indagini sul Cup della Regione Lazio.Dalle carte polverose del processo Mafia Capitale, che è tornato in aula un mese fa, emerge come l'inchiesta sulla turbativa d'asta per l'appalto del Cup, il Centro unico di prenotazione della Regione Lazio (un affare che oscillava tra i 60 e i 90 milioni di euro), abbia avuto una gestione politica oltre che giudiziaria.Nei giorni scorsi abbiamo svelato le motivazioni con cui il governatore del Lazio Nicola Zingaretti sia stato prosciolto il 6 febbraio 2017 ovvero per lo scarso rilievo dato, almeno in questo caso, alle dichiarazioni di Salvatore Buzzi, l'ex presidente della cooperativa 29 giugno, il quale per tale gara si era autoaccusato. Adesso la vicenda dell'appalto è tornata in Tribunale dopo l'assoluzione definitiva in Cassazione per l'ex capo di gabinetto di Zingaretti, Maurizio Venafro, il quale è ancora sotto processo per due nomine fatte all'Arpa, agenzia per l'ambiente della Regione, e per false fatturazioni insieme con l'imprenditore Fabrizio Centofanti. La presunte irregolarità nell'aggiudicazione del Cup restano un mistero gaudioso: se il governatore, il suo braccio destro e due dei tre commissari (Elisabetta Longo e Rita Caputo) della gara non c'entrano niente, come fanno ad avere turbato l'asta un solo commissario (di minoranza), Angelo Scorzafava, e un esponente dell'opposizione consiliare, l'ex capogruppo di Forza Italia Luca Gramazio, coadiuvato da un amico? I formidabili turbatori l'avrebbero fatta sotto il naso ai padroni del vapore favorendo alcuni imprenditori, di cui due rei confessi (uno di questi è Buzzi che, però, ha chiamato in causa anche la sinistra). Il segretario del Pd e la Longo sono stati indagati e archiviati quattro anni fa dal gip Flavia Costantini. È andata meno bene a Venafro, il quale nel marzo 2015 è stato costretto alle dimissioni ed è rimasto sotto processo sino al settembre scorso, quando è arrivata la sospirata assoluzione definitiva. C'è però chi sta ancora peggio, ossia i vecchi coindagati di Zingaretti, Venafro e Longo. Sono ancora tutti e sette alla sbarra, dopo che la Procura ha chiesto l'arresto il 18 marzo 2015, ottenendo le misure cautelari il 4 giugno successivo. La sentenza dell'appello bis è attesa per l'11 gennaio.In tutta l'indagine il governatore non è mai stato intercettato, ma il suo vice sì e, sei anni dopo, quei brogliacci consentono di ricostruire i concitati giorni in cui l'inchiesta sembrava poter travolgere Zingaretti e i suoi. Partiamo. Il pomeriggio del 21 febbraio 2015 la Longo riceve la visita dei carabinieri del Ros. La donna riferisce a Venafro: «Mauri' stavo dormendo, m'hanno svegliato i Ros… un risveglio dolcissimo». Poi spiega di aver pensato che fossero lì per i suoi figli e invece le hanno portato un invito a comparire davanti al pm Paolo Ielo come testimone: «Sono anche contenta perché è un'opportunità di collaborare e di spiegare quello che stiamo facendo… però insomma te lo volevo dire adesso perché insomma mi pare opportuno». Venafro dice che informerà Zingaretti, come in effetti fa. Il capo di gabinetto gli dice che la convocazione della Longo «è un'occasione per ricostruire bene alcuni passaggi» e il governatore «domanda se sia l'esito della lettera che aveva scritto». Venafro conferma. Letteralmente Zingaretti dice: «Può essere l'esito di quella roba? Della lettera che lei aveva chiesto?». Il 24 febbraio la Longo subisce un interrogatorio piuttosto ruvido da parte dell'allora pm Paolo Ielo.Il «procuratore»Alle 8 e 30 del giorno successivo Venafro informa la moglie Tiziana che alle 17 vedrà a piazza Mazzini «un procuratore». Chi sia questo magistrato resta un mistero. Anche se qualche sospetto lo abbiamo. Purtroppo Venafro al telefono non parla dell'inchiesta, anche se a farlo al suo posto ci pensa la consorte, la quale, il 27 febbraio, intercettata, racconta a una collega giornalista i retroscena dell'indagine anticipata da alcuni giornali. Infatti due giorni prima il sindaco di Roma Ignazio Marino aveva dichiarato di aver saputo che erano in arrivo altri 120 avvisi di garanzia per Mafia Capitale. La signora Venafro per affrontare l'argomento usa il telefono della figlia, senza evitare, però, di essere registrata. «Tiziana dice che secondo lei gli avvisi di garanzia sono veri» si legge nel brogliaccio. La donna dice all'amica «che Zingaretti ha chiamato d'urgenza Maurizio dicendo che Ielo (pm di Roma, ndr) si è “fissato" con lui. Riferisce che Maurizio era appena tornato a casa, ma che è dovuto andare via d'urgenza su richiesta appunto di Zingaretti». Manca ancora un mese all'avviso di garanzia e alle dimissioni, ma ai protagonisti sembra già tutto chiaro. Il riassunto prosegue: «Tiziana continua dicendo che ha parlato con la mamma di Rocco la quale l'ha avvisata che nel mese di marzo ci saranno attività legate a Mafia capitale e che “sarà un'ecatombe"». La mamma di Rocco potrebbe essere Marta Bonafoni, giornalista e consigliera regionale nella lista Zingaretti. Continuiamo la lettura del brogliaccio: secondo Tiziana, per la vicenda che stava per travolgere il marito, Zingaretti avrebbe rimandato la settimana bianca. Poi la donna riferisce la notizia forse più ghiotta: «Aggiunge di aver saputo che Zingaretti si è recato “al Csm a parlare perché Ielo è proprio impazzito… capito?... mi pare che sta oltre». La donna ribadisce che «lui (Zingaretti, ndr) gli ha detto (Ielo, ndr) si è fissato con il marito e gli ha fatto proprio il suo nome». Perché Zingaretti è corso al Csm? Non lo sappiamo, ma può essere utile sapere che all'epoca erano consiglieri del Csm due amici di Zingaretti, l'ex stratega delle nomine Luca Palamara (oggi radiato dalla magistratura) e l'avvocato Paola Balducci, entrata nel parlamentino dei giudici in quota Sinistra ecologia e libertà. La donna, grande organizzatrice di cene, avrebbe messo allo stesso tavolo (ci risulta più volte) l'ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e Zingaretti. Avrebbe provato a invitarli insieme anche nel febbraio del 2016 quando l'uno indagava sull'altro, ma in quel caso Palamara sconsigliò la collega, come si evince da alcuni sms del 9 febbraio 2016 depositati presso la Procura di Perugia. Balducci: «Dirlo a Zingaretti e/o Pignatone?». Palamara: «E/o non si può penso. O l'uno o l'altro che dici?». Balducci: «Dobbiamo decidere». Torniamo ai brogliacci di Venafro. La moglie, il 4 marzo, fa intendere all'amico Fabrizio, che vive a Milano, di sapere di più del dovuto e che non può parlare liberamente al telefono: «Dai troverò una maniera per dirtelo e detto questo potresti avere anche un gradissimo intuito e tacere e pensare e troverò una maniera per dirtelo». Per chi non avesse capito, qualche giorno dopo la donna esclamerà: «Il mio telefono è sotto controllo. E non era difficile…».l'imprenditoreSempre il 4 marzo Venafro spiega a Zingaretti: «Ti voglio di' 'na cosa […] ho incontrato una persona del tutto casualmente, capito?». Il governatore risponde: «Va bene». Lo stesso giorno Tiziana, sempre utilizzando l'utenza della figlia, racconta alla solita collega quale sia stato, presumibilmente, l'incontro casuale: «Maurizio (da, ndr) ieri è fuori di testa, mi dice delle cose. Mo' è andato a fa' una riunione. Mi fa: “Oggi mi è successa una cosa terribile […] quello delle cliniche mi ha detto… ma tu lo sai che a Roma finisce che ti arrestano?"». L'intercettata identifica «quello delle cliniche» nell'imprenditore Giampaolo Angelucci. Il 10 marzo, «Nicola, chiede conferma a Maurizio (se, ndr) oggi era venuto qualcuno della Procura poiché interessato ai computer». Maurizio «gli dice che stanno parlando con Simona (la segretaria, ndr) poiché sono interessati al sito della Regione, riferendo altresì che di questo si sta interessando».Successivamente il governatore dà un appuntamento volante a Venafro in piazza del Parlamento. In quei minuti la segretaria scrive al capo di gabinetto: «Ricordati che non sei e non sarai ma solo». Che cosa stava accadendo? Qual era il problema per cui Venafro aveva bisogno di sostegno? È possibile che l'ex dirigente regionale avesse ricevuto l'avviso di garanzia. E insieme con lui anche la Longo, che il 24 febbraio era stata sentita come semplice testimone da Ielo, andando un po' in confusione. La notizia dell'informazione di garanzia gira pure tra i giornalisti, come risulta dalle intercettazioni, e il 18 marzo il capo di gabinetto riceve un messaggio dall'avvocato Maurizio Frasacco: «Ho concordato con il pm Cascini (Giuseppe, ndr) interrogatori per domani: ore 18 Longo, ore 19 tu […]. Ricordati che devi trovare un altro avvocato per la donna». Altrimenti ci sarebbe incompatibilità. La scelta cadrà su Anna D'Alessandro. Eppure la difesa, in quel momento, come appurano in diretta gli investigatori, sembra coordinata da Frasacco, il quale dopo pochi minuti manda un altro sms: «Ho ricevuto ora telefonata dal pm Cascini. Orari di domani posticipati». Il legale, sia detto incidentalmente, è compagno del giudice Pina Guglielmi, storica esponente di Magistratura democratica (la sorella Mariarosaria è segretaria di Md) ed è anche difensore di Centofanti (coimputato di Venafro e Palamara). gli arrestiIl 18 marzo Cascini, altra toga progressista, mentre concorda gli interrogatori per il capo di gabinetto e la Longo, firma la richiesta di arresto per gli altri indagati per il Cup. Nell'istanza non c'è, però, la firma di Ielo. C'è stato una divergenza di vedute tra i due? Non ci è dato sapere.Il 19 marzo, circa tre ore prima degli interrogatori, la Longo chiede a Venafro «dove siano» e lui «afferma d'essere sopra». Alle 20 e 37, subito dopo essere stato ascoltato in Procura, l'uomo comunica alla moglie che farà tardi perché deve andare in Regione da Zingaretti. Il 20 marzo il governatore invia un messaggio criptico: «Finito ora. Ho esposto mio punto di vista. Ma era chiaro anche per loro». Risposta: «Bene… rimaniamo in attesa».Il 24 Venafro annuncia le proprie dimissioni «unilaterali e irrevocabili». Nella lettera di congedo ringrazia i magistrati, davanti a cui è «comparso spontaneamente», per «la discrezione mantenuta» sulla sua iscrizione nel registro degli indagati. Un caso più unico che raro.