2020-03-10
«In un negozio scrigno faccio sposare cibo, abiti e design»
Chichi Meroni, stilista e proprietaria de L'Arabesque, indirizzo di culto a Milano: «Ripropongo i miei modelli iconici con un tocco di Giappone».«Chi risuscirà a superare questo momento se lo ricorderà per tutta la vita», dice Chichi Meroni, musa creatrice de L'Arabesque, spazio milanese dove sono racchiuse tutte le sue passioni: il design, la moda, i libri, i profumi e anche il cibo. Una grande scatola dei tesori che, a sua volta, ne contiene tante altre, ognuna piena di oggetti meravigliosi. Un luogo unico creato da una persona speciale. Che, dato il momento che stiamo tutti vivendo, non tralascia di parlare dell'attualità. «La crisi economica del 2008 è stata pesante ma quello che accade ora è molto più grave perché c'è anche la paura fisica. Avrà un riflesso su tutto e si percepisce nell'immediato. Anche volendo sdrammatizzare è tutto molto difficile, il lavoro non funziona, vuoti i locali, i negozi, la gente non esce per strada. Ma dobbiamo avere la forza di andare avanti anche per le persone che lavorano con noi, i nostri dipendenti. Noi dobbiamo cercare di salvaguardare i posti di lavoro. Abbiamo persone che lavorano con noi da anni alle quali siamo molto affezionati, sono parte della famiglia, ci preoccupiamo per i loro bambini. Tanti collaborano con noi da quando c'era mio padre». L'Arabesque, oltre a essere un marchio, è anche un raffinato negozio di culto. Quando è iniziata la storia?«Ho imparato molto da mio padre, era costruttore e industriale con una grande passione per l'architettura, ho amato questo mondo fin da quando ero piccola. Sapevo che questo mi sarebbe stato accanto tutta la vita. Parliamo di architettura e design. Mio padre se ne occupava negli anni Cinquanta e Sessanta, momenti straordinari, un'epoca che ha dato molto da questo punto di vista. Di una certa parte ne ho fatto tesoro. Questo mi ha consentito di seguire un periodo specifico. E lo porto avanti nel mio lavoro. Tanto che nel nostro spazio vendiamo modernariato».Dove trova i suoi oggetti?«Mi sento più una cacciatrice che una ricercatrice. Vado a caccia e a ogni angolo si possono trovare delle cose. In qualsiasi posto e città ci si può imbattere in grandi sorprese. Non c'è un luogo specifico. Vado a vedere molte mostre dalle quali attingo tantissimo sia come idee, sia come scoperte, sia come materiale da mettere nel mio cuore e nella mia memoria. Non si finisce mai di imparare».Quando entra nel suo panorama di interessi anche la moda?«Nel 2000 ho aperto un atelier su misura. Poi nel 2007 è stata la volta del primo negozio in Brera, La Reverie, e nel 2010 L'Arabesque dove convivono più cose dal cibo a libri, design, moda. Ho inserito quello che pensavo potesse essere interessante: libri fonte straordinaria per la mente, i profumi, i gioielli vintage, le collezioni da donna, i capi da uomo, il design, la mia prima passione, e ho tentato di mettere tutto insieme. Per ultimo ho inserito il ristorante, nel 2015, e con quello avevo pensato a un luogo dove trovare un mondo a parte, un momento di calma».I capi sono da veri intenditori, i libri di ricerca, gli oggetti da collezione e così via. Da dove viene l'ispirazione?«Credo siano impulsi, momenti miei particolari. Non seguo determinati canoni, faccio cose che mi piacciono. Per i profumi cerco di fare esperimenti sensoriali nei quali una persona ha voglia di immergesi per trovare il suo, quello che ha voglia di sentire sulla pelle. Così come per i libri, cerco argomenti nei quali si ha voglia di immergersi, e per i gioielli con storie molto differenti. Si deve avere voglia di conoscere per approfondire. Il mio negozi è un contenitore di racconti. Noi siamo pronti a spiegare a chi ha voglia di ascoltare». La collezione di moda?«Solo capi disegnati da me per la donna. C'è la sartoria che prepara sia la produzione per il nostro spazio sia i capi che le signore vogliono su misura. L'Arabesque ha compiuto dieci anni e ho pensato di guardare indietro e ai capi iconici che sono stati fatti 20 anni fa, alle prime collezioni, agli abiti che hanno segnato il tempo per forme e dettagli. Ho voluto rivedere completamente quelli particolari e con un significato, riprendendoli in mano e ricostruendoli con volumi e cuciture diversi, con tessuti simili o addirittura con gli stessi con i quali erano stati confezionati all'origine. L'idea era rifare capi nostri che hanno segnato un periodo. Festeggiamo il compleanno anche con la collezione che in parte si rifà ai principi dell'estetica giapponese in chiave contemporanea: l'asimmetria, le scomposizioni e le sovrapposizioni, il naturalismo con i grandi fiori a contrasto applicati sulla gonna di velluto, un omaggio ai fiori giganti dell'artista Yayoi Kusama». Decide lei anche la parte della ristorazione?«Condividiamo con lo chef il menu e il programma. Seguiamo le stagioni. Anche quello è giusto che abbia un senso in base a tutto il resto».Qual è la sua cliente tipo? «Entrano persone di tutti i tipi, dalla ragazzina di 18 anni per comprasi le scarpe Porselli alla signora che vuole l'abito per la prima della Scala, o chi cerca abiti tagliati alla perfezione. La mia è una cliente che non ama la femminilità esibita, una donna sicura di sé stessa, che non ha bisogno di esibire parti del corpo per farsi notare. È piuttosto coperta. Arrivano diversi stranieri, molti americani, tanti giapponesi».Progetti futuri? Nuove aperture?«Dobbiamo riparlare per forza di quello che sta accadendo. Il futuro sarà ancora più complicato dal punto di vista economico perché la crisi rimbalzerà sulle nostre spalle in modo pesantissimo. Bisogna fermarsi per riflettere sui valori e ogni passo che si pensa di fare deve essere valutato solennemente. Non è il momento dei progetti e se ce ne fossero stati li avremmo bloccati. Se penso che il Salone del mobile, che è una fiera importantissima, una risorsa straordinaria per Milano, è stato spostato per la prima volta, che si parla della possibilità che saltino le Olimpiadi, come si fa a parlare del domani? Non possiamo parlare di niente anche mettendoci le migliori intenzioni».