2023-08-22
Piazzali strapieni di auto abbandonate. In Cina scoppia la bolla dell’elettrico
Non bastano più sussidi e cessioni di comodo alle società di car sharing. Previsioni fosche arrivano pure dall’America.Cimiteri di auto elettriche in almeno una mezza dozzina di città cinesi. Avvolti da arbusti e piante di ogni tipo. La natura, appena può, si riprende i suoi spazi. È la sintesi di un’inchiesta condotta da Bloomberg e pubblicata alcuni giorni fa. Le foto a corredo sono inquietanti. Sia chiaro: la Cina oggi ha altro cui pensare. Il crac del colosso immobiliare Evergrande lascerà morti e feriti sul campo. Gli effetti sui mercati finanziari occidentali sono ancora tutti da valutare. Ovviamente Pechino interverrà nel processo di ristrutturazione. Ma nessuno si aspetti un salvataggio per gli investitori internazionali. Il governo salverà i cinesi che hanno già acquistato la loro abitazione su progetto e le immense filiere produttive locali, che non possono permettersi di non riscuotere le fatture. E dopo una bolla che è già scoppiata, come quella immobiliare, altre, forse un po’ più piccole ma altrettanto rumorose, potrebbero rompersi a breve. L’industria dell’auto elettrica sta attraversando un doloroso processo di consolidamento. Oggi ci sono circa 100 produttori; erano circa 500 nel 2019. Nella città di Hangzhou si contano centinaia e centinaia di auto a batteria dismesse, molte con le targhe blu che dopo il 2017 sono diventate verdi. Scene di degrado che ricordano un crac recente: quello dell’industria delle biciclette elettriche. Queste ultime finite dentro i fiumi, nei fossati e ammassate nei parcheggi. Immagine plastica della caduta di colossi come Ofo e Mobike. L’industria dell’auto elettrica in Cina, sia chiaro, non ha chiuso i battenti. Sforna ogni anno sei milioni di autovetture completamente elettriche o ibride. Circa il 60% della produzione mondiale. Ma è un boom drogato da incentivi pubblici. Un settore le cui aziende hanno prodotto più per incassare sussidi che non fatturare ai privati. Le auto diesel e benzina continuano a essere preferite dai clienti in carne e ossa. E dentro quei cimiteri documentati da Bloomberg ci stanno delle vere e proprie Trabant elettriche del XXII secolo. Ricorderete tutti le auto prodotte nella vecchia Dde: poche, brutte, inquinanti e che un tedesco doveva attendere anni e anni prima di possedere dal momento del primo acconto. Con queste auto elettriche non è poi così diverso. Spesso sono brutte che si fa fatica a guardarle. Cento chilometri di autonomia. Ovviamente zero comfort o quasi. E rifilate a società di car sharing, magari messe su dagli stessi produttori, pur di rifilarle a qualcuno. Auto poi noleggiate ai tassisti. Inspiegabilmente, di cinesi che abbiano acquistato questi obbrobri non ce ne sono molti. È la fiera del dirigismo sovietico in economia. «Alta intensità di emissioni di anidride carbonica per la loro produzione […], le auto elettriche generano un risparmio nelle emissioni di CO2 dopo qualche anno». È costretta a scriverlo pure la correttissima Bloomberg. «Forse», aggiungiamo noi. Il governo ha sovvenzionato questa industria con ogni tipo di diavoleria. Agli inizi degli anni Duemila fino a 60.000 yuan per autovettura: 8.400 dollari mal contati. Dopo il 2010, la campagna di incentivi si è intensificata con un sistema di crediti di imposta che premiava la produzione di veicoli elettrici e penalizzava le auto a carburante. Un rapporto Fitch ha alluso alla possibilità che alcune aziende abbiano addirittura imbrogliato, producendo carcasse vuote senza batteria o comunque tali da non soddisfare i requisiti minimo di funzionalità. Il People’s Daily ha parlato di truffe per incassare 9,3 miliardi di yuan (1,3 miliardi di dollari) in sussidi. Il tutto dentro una Cina che ufficiosamente, attraverso Xi Jinping, ha fatto sapere che l’accordo di Parigi sul clima lo rispetterà ma molto a modo suo. E comunque fino a quando le rinnovabili non rappresenteranno un’alternativa credibile alle fonti fossili quali petrolio, gas e addirittura il carbone. Duro colpo per la fiducia di chi crede, come l’economista Leonardo Becchetti, che Pechino stia facendo sul serio. Intanto fuori dalla Cina il grande entusiasmo verso le auto elettriche si sta - neanche troppo gradualmente - sgonfiando. Sì, è vero, come riporta la Cnn, che gli americani, nel secondo trimestre del 2023, hanno acquistato più auto elettriche che in tutto il 2019: quasi 300.000 unità. Pure qui, però, una corsa agli acquisti drogata dal cosiddetto Inflation reduction act. Un mostruoso programma di spesa pubblica pari a circa 370 miliardi di dollari e finalizzato a ridurre l’inflazione. Cosa di per sé tragicomica. Un po’ come dire, un programma di dimagrimento personalizzato a base di spaghetti alla carbonara, mortadella e barolo. Ma le stime sulla crescita delle quote di mercato delle auto elettriche prodotte dall’Us energy administration sono tutt’altro che incoraggianti. Nel 2050 le proiezioni non supereranno il 30% sul totlae. E questo in uno scenario «ottimistico» per i produttori di auto elettriche di alto. Vale a dire, un prezzo del petrolio di 190 dollari a barile. Quota che scenderebbe addirittura al 20% qualora si arrivasse mediamente intorno a 100 dollari. Si arriverebbe addirittura al 10% se il prezzo del petrolio si attestasse stabilmente sui 50 dollari. Il tutto per auto tutt’altro che a buon mercato: il prezzo medio di un’auto elettrica supera di gran lunga 53.000 dollari, contro una media complessiva di 48.000 per tutte le altre.
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