
Oggi la replica dell'Ue alla lettera di Giovanni Tria su deficit e debito. Rischiamo la procedura d'infrazione e una multa miliardaria senza precedenti. Per evitare il pugno duro bisogna sperare nella lotta intestina per le poltrone della prossima Commissione.Dopo otto lunghi mesi di attesa dovrebbe andare in scena oggi il tanto atteso redde rationem tra l'Italia e la Commissione europea. È infatti previsto in giornata il verdetto da parte di Bruxelles in merito ai chiarimenti sull'aumento del disavanzo e del debito inviati venerdì dal Mef. E per l'Italia potrebbero essere dolori, con la richiesta di avvio di una procedura di infrazione che potrebbe condurre, per la prima volta nella storia dell'Unione europea, alla condanna al pagamento di una multa che va dallo 0,2% allo 0,5% del Pil (cioè dai 3,4 agli 8,5 miliardi di euro). La lettera firmata dal ministro Giovani Tria ha rappresentato dunque l'ultimo passaggio dell'interminabile carteggio tra Roma e la Commissione, partito lo scorso ottobre e terminato il 29 maggio con l'ultimatum di 48 ore concesse, a mo' di testa di cavallo nel letto, per fornire le delucidazioni sull'andamento dei conti pubblici.La corrispondenza degli ultimi mesi si è svolta sin da subito nel segno della tensione. Già il 5 ottobre scorso, ben dieci giorni prima del termine fissato per la presentazione della bozza programmatica di bilancio, il vicepresidente Valdis Dombrovskis e il commissario per gli Affari economici e monetari Pierre Moscovici avevano intimato al governo italiano di rimanere all'interno dei binari previsti dalle regole fiscali. Dopo un fitto scambio, nonostante l'invio di una nuova bozza, il 21 novembre 2018 la Commissione dava un primo parere favorevole all'avvio di una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese. Prima di Natale l'armistizio preceduto da un'estenuante trattativa nella quale è stato ridimensionato l'obiettivo di deficit (dal 2,4% al 2,04%), e il conseguente rinvio del giudizio finale alla settimana immediatamente successiva alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo.Cosa può succedere adesso? Le opzioni sul tavolo, a questo punto, sono solamente due. La prima, e anche più probabile, è la conferma da parte della Commissione del giudizio negativo emesso a novembre. Ma è bene precisare che non esiste alcun automatismo tra l'avvio della procedura d'infrazione e la partenza delle sanzioni. La strada che potrebbe portare a un eventuale condanna dell'Italia è anzi potenzialmente molto lunga e irta di paletti politici. Non a caso, la norma che regola la procedura di infrazione (l'articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) subordina la conclusione del processo sanzionatorio a un certo numero di step. Una volta formulato, il parere della Commissione dovrà essere comunicato sia allo Stato membro (cioè l'Italia) che all'Ecofin (la formazione del Consiglio dell'Unione europea che riunisce i ministri dell'Economia). Quest'organo, a sua volta, si dovrà riunire per stabilire se il disavanzo segnalato da Bruxelles sussista o meno. La prima data utile in agenda in tal senso è il 14 giugno, anche se l'ordine del giorno è già stato fissato. Pur ipotizzando un'improvvisa e difficilmente giustificabile accelerazione, il Consiglio a questo punto dovrebbe adottare «le raccomandazioni allo Stato membro in questione al fine di far cessare tale situazione entro un determinato periodo». Giorni, mesi, anni: nessuno può stabilire in anticipo quale sia questo termine, anche perché il campo è quello delle decisioni politiche. Qualora lo Stato membro dovesse persistere nel rifiuto di applicare le indicazioni fornite, il Consiglio «può decidere di intimare allo Stato membro di prendere, entro un termine stabilito, le misure volte alla riduzione del disavanzo che il Consiglio ritiene necessarie per correggere la situazione». Solo a questo punto subentrerebbe la possibilità di infliggere le sanzioni. Non deve stupire, dunque, se questa eventualità non è mai occorsa, così come il fatto che in tutti i precedenti l'iter è durato anche molti anni (la procedura per l'Italia si è chiusa dopo quattro anni nel 2013, mentre quella che riguarda la Spagna è aperta dal 2009).Chi può avere interesse a spingere sull'acceleratore? La Commissione è ormai in articulo mortis (il mandato scade dopo l'estate) e, almeno sulla carta, i vertici politici dovrebbero essere impegnati a gestire le importanti scadenze in agenda (presidenza della Bce e budget Ue in primis). Ma la questione, come tradiscono i toni sempre molto nervosi della trattativa, è molto più politica che tecnica. La fazione dei falchi, spiegava Ivo Caizzi sul Corriere della Seradi ieri, è capeggiata da Jean-Claude Juncker e Valdis Dombrovskis ed è convinta che soprassedere sulla procedura di infrazione equivalga a darla vinta a Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Contrario allo scontro chi è alla disperata ricerca di un incarico nella futura Commissione. È questo il caso di Frans Timmermans e di Margrethe Vestager, mentre Pierre Moscovici anche se fuori dai giochi, non infierisce più di tanto, forse nel timore che in futuro lo stesso trattamento tocchi alla Francia. Una partita ancora aperta dal cui risultato dipende una fetta del futuro prossimo dell'Europa.
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