
Il film di Todd Philips con Joaquin Phoenix ha incassato, solo nel nostro Paese, oltre 6 milioni di euro ed è un enorme successo in tutto il mondo. Ma i critici lo stroncano accusandolo di essere troppo destrorso. Solo perché racconta gli «uomini dimenticati».Joker di Todd Philips con Joaquin Phoenix ha la forza di un ciclone. Ovunque uscito, il suo passaggio risucchia tutto ciò che trova. Gli incassi sono sbalorditivi ovunque. Nel primo fine settimana quasi 100 milioni di dollari in America; 6,3 milioni di euro in Italia. È il primo film al botteghino in Inghilterra e in Messico. Ed ecco che, puntuali come un orologio svizzero, le solite vestali del «politicamente corretto» anglosassone cominciano a sentenziare. È diseducativo. È violento. È cinico. È perverso. È fascistoide. Cretinate. È un bel film tipicamente postmoderno nella forma. Originale nella sostanza. Mette paura alla sinistra benpensante, quella elegante, colta e raffinata lettrice del New Yorker (che ha distrutto il film) perché fa pensare. E fa pensare in maniera diametralmente opposta alla «vulgata progressista». Il Novecento americano è attraversato da un protagonista: il «forgotten man». La Grande depressione degli anni Trenta produce il modello: l'individuo schiacciato dalle forze inarrestabili del capitale. Rispunta fuori, dopo il New Deal e la «guerra eroica» contro i nemici della democrazia. È un fuocherello che divampa in incendio con la «sporca guerra» del Vietnam. John Rambo ne è l'esempio. Tornato a casa gli sputano addosso, e non trova lavoro neppure come parcheggiatore. Poi la grande cavalcata reaganiana prima, e clintoniana poi, gli praticano una sorta di felice anestesia. Ed eccolo, alle soglie del nuovo millennio, delinearsi nuovamente, sulle pagine e poi soprattutto sullo schermo in Fight Club (1999). L'imbonitore della «grande svolta», Obama, illude tutti. Ci si addormenta con l'orto di Michelle, ci si risveglia con gli hamburger di Trump. L'ultimo in ordine di tempo ad indossare i panni del «forgotten man», è Joker. Panni colorati e addirittura in maschera. Potrà non piacere al pensiero unico dominante: ma Joker è un ribelle, icona massmediologica giovanile dell'America contemporanea. È arrivato, a prendersi l'intero pacchetto dell'Olimpo hollywoodiano, silenzioso, così come è successo con Trump. Nessuno se l'aspettava, perché nessuno voleva misurarsi con la realtà. La ribellione, così amata dai progressisti americani sul finire degli anni Sessanta, elevata sul piedistallo della modernità, ormai è merce da guardare con sospetto. Da bandire come l'olio di palma. Da silenziare, se possibile. La ribellione odierna ha il volto e le treccine bionde di Greta. Piazza san Pietro, Parlamento europeo, traversata su barca milionaria, Nazioni unite. Slogan allarmanti: la casa ha preso fuoco. Folle oceaniche. Poi di corsa a mettersi in fila per l'ennesima meraviglia tecnologica della Apple. Anche a pestarsi per strappare l'ultimo modello della Nike. A decretare il successo di Joker non è stata la critica, né soltanto la distribuzione, la pubblicità, il divismo. Tutto ciò ha certamente contribuito. A decretare il successo sono stati i giovani. Durante la Grande depressione, è bene rammentarlo, i tanti, troppi «forgotten man» affollarono in maniera incredibile le esequie di due celebri rapinatori e assassini, Bonnie e Clyde. E sugli schermi non a caso proliferarono con successo le pellicole con protagonisti affascinanti gangster. Oggi il «forgotten man» è «young». Schiacciati da una società sempre più oppressiva, insicura, priva di futuro, la giovane generazione si identifica nell'uomo con la maschera che si ribella al sistema. È un grido di allarme del male oscuro che attanaglia un mondo non compreso. Esattamente venti anni fa in Fight Club Brad Pitt invitava Edward Norton, legato visceralmente al proprio guardaroba Armani o Calvin Klein e all'arredamento di casa in stile a Ikea, a ribellarsi. Esortava uno yuppie in carriera, sicuro di farcela imitando Gordon Gekko, a guardarsi dentro, a scoprire sé stesso, senza freni inibitori. Ora Joker, a due decenni di distanza, si rivolge ad un uditorio diverso. Perlopiù bianco, poco abbiente, lontano dall'ottovolante. Lavori malpagati, esistenze incerte, futuro inquietante. Disagio quasi assicurato. Un universo sociale e umano anonimo, lontano dalle ideologie del progresso e della finanza, e proprio per questo potenzialmente ribelle. La ribellione non incanalata nel «politicamente corretto», spaziante dalla sfera sessuale a quella ecologica, preoccupa non poco le vestali progressiste. In California, la «terra promessa» dell'umanità, temono seriamente dei nuovi riots, scaturiti non più - come accadde nel 1992 - da motivazioni razziali. Stavolta a incendiare la città potrebbero essere quelli rimasti fuori dal banchetto. Joker, il ribelle, potrebbe essere la loro guida. Per questo il New York Times gli spara addosso. La «supervillain story», come l'ha definita, meglio arginarla subito. Potrebbe fare danni irreparabili.
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.






