2019-08-23
Il tribunale decide: porte aperte agli immigrati che si fingono gay
Gli attivisti arcobaleno esultano per la «storica» sentenza della Corte d'appello di Trieste. Secondo il giudice non è necessario indagare sul vero orientamento sessuale di un richiedente asilo per concedergli accoglienza.C'è un giudice a Trieste. Un giudice della Corte d'Appello che ha emesso una sentenza storica. E controversa. Sì, perché le conseguenze del verdetto della corte friulana faranno discutere anche chi, oggi, accoglie la lettura del documento tra brindisi e festeggiamenti. Il riferimento è alla storia di un immigrato del Gambia che puntava al riconoscimento dello status di rifugiato politico e si era dichiarato gay. L'omosessualità nel suo Paese è considerata un reato, punito severamente con anni di galera. I giudici della Corte d'appello di Trieste, esaminando il caso, hanno ritenuto che non «è necessario indagare su quale sia l'effettivo orientamento sessuale del soggetto richiedente asilo, essendo sufficiente il modo in cui lo stesso viene percepito nel Paese d'origine a renderlo idoneo a divenire fonte di persecuzione». È bene ribadire quanto stabilito dal dispositivo: non serve «dimostrare» di essere omosessuale, basta dichiararlo. E all'aria anni di battaglie della stessa comunità Lgbt che oggi festeggia la sentenza. Già, perché basterà dichiararsi gay per ottenere il riconoscimento di uno status di rifugiato. Il migrante, che ha compiuto da poco 23 anni, era arrivato in Italia nel 2016 e aveva dichiarato di essere gay nel momento in cui aveva fatto richiesta d'asilo. La Commissione valutatrice di Gorizia e il Tribunale di Trieste, però, non avevano dato credito alle dichiarazioni, ritenendo che il gambiano avesse mentito solo per avere lo status di rifugiato. La Corte d'Appello, invece, ha accolto il suo ricorso, stabilendo, appunto, che non sia necessario verificare quali siano realmente i suoi orientamenti sessuali. Aprendo il campo, inevitabilmente, alla possibilità di mentire e raggirare - da parte di soggetti interessati - le leggi in materia di accoglienza. Il ventitreenne ha raccontato alla commissione territoriale friulana di provenire dalla città di Birikama, in Gambia, e di avere potuto frequentare solo un mese di scuola; è stato costretto ad abbandonare gli studi e, a 10 anni, ha intrapreso un percorso lavorativo come manovale addetto alle saldature. «Ho avuto tre rapporti sessuali con un collega e vicino di casa, che poi è stato arrestato», così avrebbe detto il migrante come riporta un articolo del quotidiano Il Friuli. L'elemento essenziale tenuto in considerazione dai giudici risiede nel fatto che, al di là del reale orientamento sessuale, il giovane era additato nella sua comunità di appartenenza come gay e quindi avrebbe rischiato di essere incarcerato, con una pena fino a 14 anni. Quello di Gorizia è solo l'ultimo di una lunga serie di casi. È' stato accertato, infatti, che alcuni immigrati raccontavano storie fasulle pur di ottenere l'idoneità. Ma non è certo questo l'aspetto che interessa la comunità gay ed Lgbt. Chi si batte da anni per il riconoscimento dei diritti degli omosessuali anziché contestare una sentenza che avalla la «zona grigia» delle autocertificazioni di orientamenti sessuali, esulta indicando il verdetto come conquista di civiltà. La prima sezione civile della Corte d'Appello di Trieste ha dunque reputato che le imprecisioni relative al racconto del migrante fossero «marginali», in quanto «l'elemento essenziale» era un altro. Il ventitreenne era stato raggiunto da un decreto di espulsione. Accogliendo l'appello presentato dagli avvocati Roberta De Simone e Claudio Faggion contro il ministero dell'Interno, i giudici di secondo grado hanno stabilito che «il racconto è compatibile con le informazioni sulla condizione delle persone Lgbt in Gambia tratte dal rapporto Easo (European Asylum Support Office, l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo, ndr) del dicembre 2017», ed in particolare «con l'inasprimento delle disposizioni sull'omosessualità intervenuto nel 2014 ad opera dell'ex presidente Jammeh, con la riferita attività della Nia (National Intelligence Agency, il servizio segreto gambiano, ndr) che di porta in porta ricercava omosessuali, e con i conseguenti arresti, maltrattamenti e torture degli arrestati», anche perché non risulta che «le leggi contro l'omosessualità siano state modificate dal nuovo presidente Adama Barrow, dimostratosi molto cauto quanto alla sua posizione relativamente alla normativa gambiana sull'omosessualità». Essendo stato «ritenuto sussistente un fondato timore di persecuzione» del migranti, in ragione «della sua appartenenza al gruppo sociale dei soggetti Lgbt», nei suoi confronti non sono scattate le semplici protezioni umanitaria o sussidiaria, ma è stato disposto lo status di vero e proprio rifugiato. E il Viminale è stato condannato a pagare oltre metà delle spese di lite giudiziaria. Il rischio è evidente: quanti migranti si dichiareranno gay, in futuro, solo per avere lo status? Se non bisogna indagare, come verrà smascherato il loro inganno? A porsi queste domande non è il partito della famiglia, bensì il sito internet Nonegrind.it, social community di gay e Lgbt.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)