2020-01-27
Il fortino rosso trema ma non crolla
La roccaforte per eccellenza ha tremato. Nicola Zingaretti e soci non hanno da esultare. Sono solamente dei sopravvissuti.Alla fine, la chiamata alle armi dell'antifascismo al Lambrusco è servita a evitare la grande sconfitta. A Salvini non è bastato suonare il citofono di una famiglia tunisina e chiedere se in quell'appartamento ci fossero spacciatori, intestandosi così la battaglia contro droga e immigrazione fuori controllo. Né è servito baciare il culatello e abbracciare la cucina emiliana, passando di casa in casa per sottoporsi a un'overdose a base di tortellini e mortadella, ma anche a un gran bagno di folla, anzi di massa, come solo in quella terra è possibile. Evocando la grande paura di un'estranea alla guida della Regione, cioè di qualcuno che ficcasse il naso nei loro affari, nonostante lo sforzo dell'ex ministro dell'Interno e dei suoi alleati hanno vinto i compagni. Anzi, ha vinto il sistema, un'organizzazione rodata e forgiata nella spartizione della cosa pubblica, dove amministrazione, imprenditoria e militanza hanno confini confusi da un continuo scambio d'interessi. Dove i controlli su servizi mostrati come fiore all'occhiello sono quelli che abbiamo visto in azione a Bibbiano.Sì, gli argini costruiti negli ultimi mesi lungo le sponde del Po hanno retto l'onda lunga leghista, riuscendo a impedire che tracimasse e travolgesse ogni cosa. Per evitare il pericolo si sono mobilitati in tanti, sardine e tonni, apparati e movimenti. Tutti insieme appassionatamente, in difesa dei valori progressisti. O meglio, dei valori punto e basta. Una falange multicolore saldamente schierata per scongiurare che si sciogliesse quell'intreccio di ideologia e potere con cui da decenni è dominata la Regione. Partito e sindacato, cooperative e istituzioni, controllati e controllori: un mondo dalle porte girevoli, dove nonostante la crisi, nonostante i fallimenti e gli scandali, i vasi comunicanti continuano a funzionare, garantendo la perpetuazione di un controllo ferreo sulla vita pubblica dell'intera Emilia Romagna.Salvini ha provato a mobilitare gli elettori delusi e stanchi, ma non è stato sufficiente. Il capo della Lega è diventato un virus sovranista da isolare prima che l'infezione si estendesse anche alle altre roccaforti rosse. Così, intorno a lui si è esteso una specie di cordone sanitario. Inseguito dai movimenti, contestato dai centri sociali, preso di mira dalla maggior parte dei media. Probabilmente, in conseguenza di una simile mobilitazione era scontato che finisse così, perché quell'uno contro tutti, quell'uomo solo all'assalto non poteva bucare la corazza di un potere cementato in oltre settant'anni di interessi. Tuttavia, anche se sconfitto, il centrodestra ci ha provato e per la prima volta nella storia dell'Emilia Romagna è riuscito a mettere in discussione ciò che sembrava non poter essere mai discusso. L'assalto al cuore della sinistra, al feudo rosso per eccellenza, non è stato vano. Un po' perché dimostra che anche la roccaforte non è più salda come un tempo. E un po' perché queste elezioni hanno mostrato una sinistra sostenuta solo dalla paura di perdere. Come ha spiegato un vecchio comunista di nome Emanuele Macaluso, ex direttore dell'Unità e anima critica del vecchio Pci, anche se vince, la sinistra ha perso. Perché in questa campagna elettorale non ha saputo tirar fuori un'idea concreta che non fosse uno slogan. Il programma era un elenco di buone intenzioni, sull'ambiente e sull'accoglienza, sui bisogni e sui diritti, ma non c'era una parola su come consentire realizzare tutto ciò. Soprattutto su chi pagherà il nuovo sol dell'avvenire.Certo, il muro che separa l'Emilia Romagna da Lombardia e Veneto, le regioni più vicine e non per ragioni geografiche ma economiche, non è caduto, ma ormai si capisce che è incrinato. Per vederlo crollare forse bisognerà attendere ancora un po'. Forse basterà aspettare che le sardine si rivelino per quel che sono, cioè non la speranza di un'onda di cambiamento della sinistra, ma solo dei pesci lessi. Nel frattempo resterà da vedere che succederà al governo, sul quale non si abbatteranno i calcinacci del muro emiliano, ma di certo le rovine dei 5 stelle, che di queste elezioni sono i veri grandi sconfitti. Il movimento potrebbe essere tentato di premere su Conte per recuperare un ruolo ed evitare l'emorragia di consensi. Ma potrebbe anche spaccarsi e allora per Giuseppi il trasformista durare fino al 2023 come promette sarebbe dura.
Mario Draghi e Ursula von der Leyen (Ansa)
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L’AIE cambia idea, niente picco di domanda. Tassonomia Ue, gas e nucleare restano. Stagione atlantica avara di uragani. La Germania chiede più quote di emissione. Cina in ritardo sul Net Zero. Maxi-diga in Etiopia.