2020-04-19
Il rompicapo di Biden per la vicepresidenza
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Barack Obama e Joe Biden (Ansa)
Il recente endorsement di Barack Obama dovrebbe aver ormai suggellato la candidatura di Joe Biden alle presidenziali di novembre. Il condizionale resta d’obbligo, visto che l’ex vicepresidente non ha ancora blindato matematicamente la nomination democratica e stenta per ora a trovare una strategia autonoma nel proporsi come punto di riferimento nella crisi del coronavirus. Ciò detto, salvo imprevisti, è altamente probabile che sarà lui a sfidare Donald Trump a novembre.
Il recente endorsement di Barack Obama dovrebbe aver ormai suggellato la candidatura di Joe Biden alle presidenziali di novembre. Il condizionale resta d’obbligo, visto che l’ex vicepresidente non ha ancora blindato matematicamente la nomination democratica e stenta per ora a trovare una strategia autonoma nel proporsi come punto di riferimento nella crisi del coronavirus. Ciò detto, salvo imprevisti, è altamente probabile che sarà lui a sfidare Donald Trump a novembre. E questo elemento inizia a porre decisamente sul tavolo una questione: chi sceglierà Biden come candidato alla vicepresidenza? La domanda è oziosa fino a un certo punto. E’ pur vero che, secondo la vulgata, quello del vicepresidente sarebbe poco più di un compito onorifico. Ciononostante bisogna considerare alcuni fattori.In primo luogo, non è vero che storicamente tutti i vicepresidenti si siano rivelati delle figure aleatorie e scarsamente incisive (si pensi soltanto a Dick Cheney ai tempi di George W. Bush o a George H. W. Bush ai tempi di Ronald Reagan). In secondo luogo, non dimentichiamo che – in base a quanto prescrive la Costituzione americana – il vicepresidente subentri nel caso il Commander in Chief si trovi impossibilitato a svolgere le proprie funzioni (per morte, malattia, dimissioni o impedimenti di altro genere): Gerald Ford divenne presidente nel 1974 dopo il passo indietro di Richard Nixon, mentre Lyndon Johnson fu catapultato alla presidenza nel 1963 dopo l’assassinio di John F. Kennedy. Il tema quindi è valido non soltanto dal punto di vista eminentemente storico ma anche in considerazione del fatto che, qualora vincesse le presidenziali novembrine, Biden – attualmente settantasettenne – diverrebbe il presidente al primo mandato più anziano della storia americana. E’ soprattutto in questo senso che quindi la questione della candidatura democratica alla vicepresidenza assume quest’anno una decisiva importanza. In terzo luogo, non trascuriamo che solitamente la scelta del cosiddetto running mate sia funzionale a compattare un partito al suo interno: è in quest’ottica che generalmente il ticket presidenziale (sia repubblicano che democratico) viene composto da due figure politicamente legate a correnti diverse. Tutto questo, senza dimenticare comunque le eccezioni. Nel 1992, Bill Clinton scelse come vice Al Gore: un centrista molto simile a lui. E la stessa Hillary Clinton, nel 2016, optò per il senatore Tim Kaine, che apparteneva alla sua stessa corrente. E Biden? Che cosa farà?L’ex vicepresidente ha assicurato ormai da tempo che sceglierà una donna come running mate. Una promessa che rischia di rivelarsi tuttavia problematica sotto due aspetti. In primis, la scelta del vice dovrebbe essere presa quando la convention nazionale risulta ragionevolmente vicina, tenendo conto degli equilibri interni al partito. Fare una promessa come quella Biden, per di più così presto, potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, perché – qualora nel frattempo cambiasse il contesto politico e si rivelasse necessaria un’altra scelta – l’ex vicepresidente si ritroverebbe con le mani legate. E’ del resto quanto sta già accadendo: giovedì scorso, quando gli è stato chiesto se potesse prendere in considerazione la scelta del governatore del New York Andrew Cuomo come proprio vice, Biden ha infatti risposto negativamente, ribadendo l’intenzione di avere una donna al suo fianco. Eppure, puntare su Cuomo potrebbe teoricamente garantirgli una figura che – nel campo democratico – ha nelle scorse settimane acquisito una certa popolarità nella gestione della pandemia. Un versante in cui – lo abbiamo detto – Biden risulta particolarmente debole al momento. Ecco che dunque il politicamente corretto rischia di sommergere il realismo, con conseguenze elettorali potenzialmente disastrose. In secondo luogo, un sondaggio, condotto da Politico e diffuso mercoledì scorso, ha mostrato come i due terzi dei rispondenti vogliano che Biden opti per un vice con esperienza di governo, considerando il genere e il colore della pelle dei fattori decisamente secondari. Gli stessi elettori, insomma, chiedono pragmatismo e non astratte posizioni di principio. Ricordiamo comunque che, sinora, solo due volte i maggiori partiti americani hanno candidato una donna alla vicepresidenza: Geraldine Ferraro (democratica) nel 1984 e Sarah Palin (repubblicana) nel 2008.Come che sia, i nomi che stanno circolando da giorni delle papabili candidate vice sono molteplici. In particolare, si va dalla senatrice californiana Kamala Harris all’ex candidata al governatorato della Georgia Stacey Abrams. Abbiamo poi la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren e la sua collega del Minnesota Amy Klobuchar. Senza infine dimenticare l’attuale governatrice del Michigan Gretchen Whitmer. Per il momento, il nome più gettonato parrebbe quello di Kamala Harris, anche se – a ben vedere – difficilmente si rivelerebbe una scelta corretta. La Harris è afroamericana e viene dalla California: due fattori che, in sé stessi, non garantirebbero chissà quale aiuto al ticket democratico. Biden vanta infatti già il forte sostegno della comunità afroamericana, mentre la California è uno Stato progressista, che non vota per i repubblicani dal 1988: uno Stato che è dunque fortemente improbabile voterà per Trump a novembre. Ricordiamo inoltre che, nonostante un progressismo molto sbandierato, la senatrice californiana non venga granché apprezzata da varie aree della sinistra, che l’hanno spesso accusata di scarsa coerenza. Non dimentichiamo d’altronde che, l’estate scorsa, fu principalmente lei ad accusare Biden di trascorse collusioni con il segregazionismo razziale: un elemento che le creerebbe non poco imbarazzo, qualora accettasse una candidatura alla vicepresidenza. Avrebbe forse più senso puntare su Stacey Abrams, anche lei afroamericana ma della Georgia: uno Stato che vota ininterrottamente per i repubblicani dal 1996 e che (almeno teoricamente) risulta più contendibile, visto che – dal 2008 – lo scarto elettorale tra il candidato repubblicano e quello democratico è in loco inferiore al 10%. La Klobuchar e la Whitmer potrebbero invece rivelarsi preziose per conquistare il voto della Rust Belt: area storicamente dirimente, in cui Biden ha disperato bisogno di conseguire buoni risultati se vuole strappare a Trump la Casa Bianca. Tuttavia, va rilevato come la Whitmer abbia al momento una scarsa esperienza amministrativa (è governatrice soltanto dal 2019), mentre la Klobuchar, finché è stata candidata alle primarie democratiche di quest’anno, ha raccolto ben magri risultati.Abbiamo infine l’incognita della Warren: una Warren che, appena ieri, ha dato la propria disponibilità per una candidatura alla vicepresidenza. Sulla carta, sembrerebbe un’opzione vincente. Biden, che è un centrista, scegliendo la senatrice del Massachusetts federerebbe l’intero partito, aprendo le porte alla sinistra. Il punto è che non è affatto detto che la sinistra veda realmente di buon occhio la Warren: soprattutto i sandersiani l’hanno sempre considerata (non senza ragione) troppo integrata all’establishment dell’asinello e non le hanno certo perdonato il mancato endorsement allo stesso Bernie Sanders all’inizio dello scorso marzo. Anzi, il fatto stesso che la senatrice non abbia fatto quell’endorsement e si sia adesso detta disponibile a correre al fianco di Biden non fa che metterla ulteriormente in cattiva luce agli occhi dei sandersiani, alimentando – tra l’altro – i sospetti di un patto politico sottobanco con l’ex vicepresidente.
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