
Il ritiro dalla scena politica di Raul Castro rende la figura del presidente Miguel Diaz-Canel sempre più centrale nella politica cubana. Ma le difficoltà che l'isola si trova ad affrontare sono molte. E intanto si attendono le mosse della Casa Bianca.
Si chiude un'era a Cuba. Raul Castro, fratello del defunto Lider maximo, ha lasciato la guida del Partito comunista. A certificarlo è stato l'ottavo congresso del Partito, che ha scelto l'attuale presidente cubano, Miguel Diaz-Canel, come prossimo segretario generale. Si conclude così la lunga stagione di potere della famiglia Castro, iniziata nel 1959 sulla scia della rivoluzione cubana. Tutto questo anche se, secondo vari analisti, l'ex segretario potrebbe continuare comunque ad esercitare una considerevole influenza sulle scelte politiche dell'Avana.
Del resto, si tratta di un cambio della guarda non inatteso. Era il 2018, quando Raul rinunciò alla carica di presidente, "ereditata" dal fratello nel 2008. E, in quell'occasione, annunciò che avrebbe effettuato il proprio ritiro definitivo nel 2021. La data scelta sembrerebbe avere anche una dimensione simbolica, visto che proprio quest'anno ricorrono i sessant'anni dalla fallita invasione della baia dei Porci. Diaz-Canel consolida quindi ulteriormente il potere nelle sue mani, mentre – almeno per il momento – non sembra che all'orizzonte si profilino grandi mutamenti in seno al regime castrista.
Ciò detto, va anche sottolineato che l'isola stia attraversando una fase di forti difficoltà. Nel corso del 2020, la sua economia è crollata dell'11% a causa della pandemia. Tutto questo, mentre l'isolamento sul fronte internazionale si è fatto sempre più pesante. Al di là delle sanzioni statunitensi, L'Avana ha anche dovuto fare i conti con l'indebolimento di un suo storico alleato, come il Venezuela. Infine, si registrano delle serie difficoltà nella gestione della pandemia, mentre un certo malcontento di natura politica ha iniziato a serpeggiare negli ultimi tempi: basti pensare al fatto che, lo scorso novembre, si è verificata la protesta di alcuni artisti che, manifestando davanti al ministero della Cultura, hanno chiesto il rilascio di un rapper incarcerato, oltre che delle concessioni sul fronte della libertà di espressione. Insomma, come è facile intuire, Diaz-Canel dovrà affrontare una situazione abbastanza spinosa, per quanto non sia ancora chiaro se, in un futuro più o meno prossimo, ciò lo indurrà o meno a delle riforme di stampo maggiormente liberale. Per ora, come detto, questa eventualità sembra restare remota.
Tra l'altro, sul destino dell'isola non potrà non pesare il rapporto con Washington. Nel corso del suo secondo mandato presidenziale, Barack Obama aveva aperto a una fase di distensione con L'Avana. Nel 2014, i due Paesi avevano avviato il processo di normalizzazione delle relazioni diplomatiche, mentre – meno di due anni dopo – lo stesso Obama si recò inoltre in visita nell'isola, diventando il primo presidente americano in carica a mettervi piede dai tempi (lontanissimi) di Calvin Coolidge. La situazione è poi mutata con Donald Trump che, con un occhio soprattutto all'elettorato anticastrista della Florida, ha irrigidito nuovamente le relazioni con l'isola, reintroducendo sanzioni economiche e decretando restrizioni alla possibilità di viaggiare. E adesso si attendono le mosse di Joe Biden.
Ricordiamo innanzitutto che costui è stato vicepresidente nell'arco di tutti gli otto anni dell'era Obama e che quindi ha di fatto condiviso la sua politica in materia cubana. In tutto questo, per quanto di rado, si è anche espresso sulla questione nel corso dell'ultima campagna elettorale. Nell'aprile del 2020, promise per esempio che avrebbe rispolverato l'approccio obamiano sul dossier, mentre – lo scorso ottobre – durante un comizio a Miami tornò sull'argomento, criticando la linea dell'allora presidente americano in materia. Non è del resto escludibile che sia stata proprio questo aperturismo nei confronti di Cuba ad aver contribuito alla sconfitta di Biden in Florida alle ultime presidenziali.
Come che sia, si attendono adesso sue mosse. Ma per il neo presidente si annunciano acque tempestose. Come sottolineato il mese scorso da The Hill, al Congresso è già partita la sfida. I repubblicani (con i senatori Marco Rubio, Ted Cruz e Rick Scott in testa) stanno cercando di evitare che Biden possa rimuovere Cuba dalla lista degli Stati sponsor del terrorismo. Dal canto loro, settantacinque parlamentari democratici (a partire dal deputato Jim McGovern) spingono per tornare a una distensione. Per il momento, la Casa Bianca però resta ondivaga. "Un cambiamento di politica a Cuba non è attualmente tra le massime priorità del presidente Biden", ha dichiarato a inizio marzo la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki. L'Avana rischia quindi di rivelarsi un'ennesima spina nel fianco per la politica estera dell'amministrazione Biden.