2018-05-03
Il rapper Kanye West sgancia la bomba: «La schiavitù dei neri fu una loro scelta»
Le dichiarazioni forti dell'artista suscitano l'ira di colleghi e commentatori che già lo avevano messo nel mirino dopo le sue frasi per Donald Trump. Kanye West ha proprio deciso di far arrabbiare tutti. Dopo le foto in cui si faceva ritrarre accanto a Donald Trump, con parole di miele nei confronti dell'inquilino della Casa Bianca, ora il rapper nero ha deciso di infrangere un altro tabù della sua comunità: lo schiavismo. In un'intervista a Tmz, West ha definito 400 anni di schiavitù per gli afroamericani una «scelta»: «Quando senti parlare di schiavitù per 400 anni... 400 anni? Suona come una scelta. Sei stato lì per 400 anni ed è tutto per te. È come essere mentalmente in prigione. Mi piace la parola “prigione" perché la schiavitù sta agli afroamericani come l'Olocausto sta agli ebrei. La prigione è qualcosa che ci unisce come un'unica razza, bianchi e neri, siamo la razza umana».Non si capisce bene dove il rapper volesse andare a parare, in verità, ma la frase è abbastanza ambigua per suscitare un vespaio. «La retorica di Kanye continua ad alimentare il razzismo della gente di destra convinta che gli afro-americani siano responsabili per la loro oppressione», ha scritto l'attivista per i diritti civili, DeRay Mckesson. Per il commentatore della Cnn, Marc Lamont Hill, «non c'è mai stato un momento nella storia in cui gli afroamericani non hanno resistito alla schiavitù. Alcuni si sono gettati dalle navi, altri hanno ucciso i padroni, altri l'hanno fatto attraverso forme quotidiane di resistenza, la nostra resistenza ha portato alla nostra libertà». Il rapper ha poi twittato una serie di messaggi per chiarire il suo pensiero. «Naturalmente so che gli schiavi non sono stati incatenati e messi su una barca per loro libera volontà. Il mio punto è che se siamo rimasti in questa posizione anche se i numeri erano dalla nostra parte, significa che eravamo mentalmente imprigionati». Da qui, l'appello al «libero pensiero»: «Non possiamo essere mentalmente imprigionati per altri 400 anni. Abbiamo bisogno del pensiero libero adesso. Anche la dichiarazione era un esempio di libero pensiero, era solo un'idea».Non è la prima volta che un idolo della comunità nera deraglia dal politicamente corretto sui cui binari si ritiene che egli debba obbligatoriamente viaggiare: qualche mese fa, nel pieno della campagna iconoclasta contro le statue degli esponenti sudisti, Charles Barkley, uno dei giocatori di pallacanestro più forti della storia, rifiutò energicamente di farsi tirare per la giacca: «Non voglio perdere tempo a preoccuparmi di queste statue confederate. Questo è sprecare energia. Sai cosa devo fare? Continuerò a fare grandi cose. Continuerò a cercare di fare la differenza, a essere il numero uno nella comunità nera - perché sono nero - ma cercherò anche di fare cose buone nel mondo. Non sprecherò il mio tempo urlando contro un neonazista che mi odia, non importa, e non sprecherò il mio tempo a preoccuparmi per queste statue che stanno in tutto il Paese. Quello che noi persone nere dobbiamo fare è preoccuparci di ottenere la nostra istruzione, dobbiamo smettere di ucciderci, dobbiamo cercare di trovare un modo per avere più opportunità economiche e cose del genere. Queste cose sono importanti e significative. Sai, sto perdendo tempo e energia se sto urlando a un neonazista, o dicendo a qualcuno di prendersela con delle statue». Temi differenti, ma con una costante: l'idea che, al netto delle forme storiche di oppressione nei confronti dei neri, la comunità afroamericana abbia i suoi principali nemici al suo interno, nel pregiudizio che tiene incatenata la gente a rituali vittimistici anziché all'impegno per l'auto miglioramento. Ma, dicevamo, West non è nuovo a prese di posizioni eterodosse. Qualche giorno fa, in un pomeriggio in cui evidentemente non era così oberato di lavoro, ha twittato 80 cinguettii, molti dei quali contenenti complimenti nei confronti di Donald Trump. Prima ha postato le foto del cappellino rosso con la scritta «Make America Great Again», autografato dal presidente. Poi, per rispondere a chi lo criticava, ha twittato: «Potete non essere d'accordo con Trump, ma la folla non può impedirmi di amarlo. Siamo entrambi energia del drago. Lui è mio fratello. Amo tutti. Non sono d'accordo con tutto ciò che fa. Questo è ciò che ci rende individui. E abbiamo il diritto al pensiero indipendente». Qualche ora dopo, West ha scritto anche che «Obama è stato presidente per otto anni e a Chicago non è cambiato nulla». Anche nell'ultima intervista, quella delle frasi sulla schiavitù, West ha ribadito il suo sostegno al tycoon repubblicano, chiamandolo il suo «ragazzo» e spiegando di aver postato l'immagine del cappellino perché «sento una libertà nel fare qualcosa che tutti mi dicono di non fare». La strana coppia del rapper nero e del presidente considerato vicino ai suprematisti bianchi era nata nel dicembre 2016, quando i due si erano incontrati allaTrump Tower. «Abbiamo parlato della vita, come due amici», aveva spiegato il presidente all'epoca. «Sento che sia importante avere una linea diretta con il nostro futuro presidente, se abbiamo davvero in mente di voler cambiare», aveva aggiunto il rapper che, poco prima, a conclusione di un concerto aveva commentato: «Vi ho detto che non ho votato, ma se avessi votato, avrei votato per Trump». Ma è possibile, per un nero, idolo della sua comunità, sostenere il più «bianco» fra gli inquilini della Casa Bianca? Certo che sì. A meno di non voler ridurre un essere umano al solo colore della sua pelle, che si suppone debba orientare tutti gli aspetti della sua vita, opinioni politiche comprese. Ma questa, a ben vedere, è proprio la definizione di «razzismo».
Daniel Ortega (Getty Images)
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