2023-11-07
Il piano di Washington: tenere le chiavi della Striscia insieme ad Ankara e Doha
Mohammed bin Abdulrahman Al Thani (Ansa)
Il viaggio diplomatico di Tony Blinken fa tappa in Turchia. Dopo il cambio di regime, gli Usa mirano a coinvolgere nel futuro di Gaza le potenze che hanno sostenuto gli islamisti.La diplomazia statunitense in Medio Oriente si sta muovendo su due piani. Innanzitutto emerge la questione degli aiuti umanitari a Gaza. Ieri, il segretario di Stato americano, Tony Blinken, era in Turchia a conclusione di un tour diplomatico che lo aveva visto in precedenza toccare Israele, Giordania, Cipro e Iraq. Ad Ankara, Blinken ha avuto un colloquio con l’omologo turco, Hakan Fidan. Secondo fonti diplomatiche citate dal Daily Sabah, nel corso del faccia a faccia Fidan avrebbe pressato Blinken per convincere gli Usa a sostenere un cessate il fuoco immediato. Per Washington il quadro diplomatico è complesso. Nel suo tour, Blinken ha cercato di promuovere la linea delle «pause umanitarie», volte a garantire un maggiore afflusso di aiuti a Gaza. Un’idea che, come riportato dall’Associated Press, è stata tuttavia accolta con scetticismo sia da Benjamin Netanyahu (che vuole mantenere la linea dura) sia da turchi e arabi (che invece auspicano un cessate il fuoco vero e proprio). Tutto questo, mentre sullo sfondo si stagliano le tensioni diplomatiche tra Ankara e Gerusalemme, col governo turco che ha di recente richiamato il proprio ambasciatore in Israele. Attenzione però: perché Washington si sta muovendo anche su un piano, per così dire, meno visibile. Un piano, cioè, in cui si sta ipotizzando il futuro politico della Striscia nell’ambito di un eventuale scenario post Hamas. L’altro ieri, Reuters ha riportato che, mentre si trovava in Iraq, Blinken ha detto che l’Anp «dovrebbe svolgere un ruolo centrale nel futuro della Striscia di Gaza». «Oltre a cercare di garantire che il conflitto non si estenda nella regione, Blinken sta tentando di avviare discussioni su come Gaza potrebbe essere governata dopo la completa distruzione di Hamas che Israele afferma essere il suo obiettivo», ha proseguito Reuters. «Ci assumeremo pienamente le nostre responsabilità nel quadro di una soluzione politica globale che includa tutta la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza», aveva detto dal canto suo Abu Mazen, incontrando Blinken domenica. Insomma, Washington sta evidentemente cercando una sistemazione politico-istituzionale a Gaza per un eventuale dopo Hamas. E il presidente dell’Anp non sembra aver chiuso la porta all’ipotesi di poter svolgere un ruolo significativo sotto questo aspetto. Il punto è che, per un obiettivo del genere, non basta la potenza di fuoco che attualmente Israele sta scaricando su Hamas. È necessaria anche una copertura di tipo politico. In altre parole, gli sponsor di Hamas sono d’accordo con questa strategia? E qui torniamo al recente viaggio del segretario di Stato americano. Non è affatto escludibile che, nel suo faccia a faccia con Fidan, Blinken abbia affrontato il tema. Non è inoltre forse un caso che, secondo il sito Axios, questa settimana il direttore della Cia, William Burns, oltre a recarsi in Israele, visiterà anche vari Paesi mediorientali, tra cui il Qatar. Non solo. Mentre si trovava ad Amman sabato scorso, Blinken ha avuto modo di incontrare il suo omologo qatariota, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Ankara e Doha spalleggiano storicamente Hamas e che entrambe sono alacri finanziatrici del network della Fratellanza musulmana. Washington sta quindi probabilmente cercando di spingere entrambe le capitali a sostenere il proprio progetto di un post Hamas a Gaza. Non è tra l’altro escludibile che gli americani stiano tentando di far leva maggiormente sulla Turchia che, al di là della sua fitta rete politico-diplomatica mediorientale, fa anche parte della Nato. Un fattore, questo, che, al netto degli aspetti oggettivamente controversi, rende Ankara un interlocutore ineludibile per Washington. Non è forse un caso che anche l’Ue, tra mille contraddizioni, sembri sposare la linea statunitense. «L’organizzazione terroristica Hamas non può controllare o governare Gaza. Dovrebbero esistere una sola Autorità palestinese e uno Stato palestinese», ha detto Ursula von der Leyen. Senza infine trascurare che, alcuni giorni fa, a recarsi in Qatar è stato anche il capo del Mossad, David Barnea. È del resto evidente come lo Stato ebraico non possa non porsi il problema del post Hamas nella Striscia, anche se, stando a quanto riferito al Times of Israel domenica da un funzionario israeliano, Gerusalemme non sembrerebbe attualmente troppo convinta di affidare all’Anp il futuro politico di Gaza. E qui rispunta la domanda: è possibile convincere Doha e Ankara ad abbandonare Hamas? È presto per dirlo. L’unica cosa certa, al momento, è l’irritazione dell’Iran, con l’ayatollah Ali Khamenei che ha di recente ricevuto il leader della stessa Hamas, Ismail Haniyeh, a Teheran. Va ricordato che, negli ultimi anni, si è costituito un asse tra Qatar, Iran e Turchia: un asse che adesso gli americani devono riuscire a scardinare, se vogliono portare a casa il risultato. Teheran ha capito che cosa sta succedendo e vuole evitare di essere messa all’angolo. Guarda caso, ieri il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, ha accusato gli Usa di «incoraggiare» Israele a «uccidere e perpetrare atti crudeli». È chiaro che questa retorica è finalizzata a ostacolare eventuali convergenze di Turchia e Paesi arabi con gli americani. E quindi siamo a un bivio. Se l’operazione statunitense riesce, probabilmente si eviterà l’allargamento generalizzato del conflitto, anche se l’Iran, finendo isolato, userà probabilmente i suoi proxy per aumentare la pressione su Israele e gli occidentali. Se al contrario Blinken fallisce, è lo Stato ebraico a rischiare l’isolamento e a ritrovarsi costretto ad alzare l’asticella dello scontro con Hamas e col suo network. Che cosa faranno Qatar e Turchia? Ma soprattutto: che cosa vorranno in cambio di un’eventuale «rivoluzione diplomatica» ai danni di Teheran?
Marta Cartabia (Imagoeconomica)
Sergio Mattarella con Qu Dongyu, direttore generale della FAO, in occasione della cerimonia di inaugurazione del Museo e Rete per l'Alimentazione e l'Agricoltura (MuNe) nella ricorrenza degli 80 anni della FAO (Ansa)