2019-05-28
Il Pd si è perso altri 111.000 elettori. La Kyenge e Gozi non vanno in Europa
Nicola Zingaretti soddisfatto per il sorpasso al M5s nelle percentuali, però i consensi calano. Silurati l'ex ministra e il «macroniano». C'è poco da festeggiare. Il Pd canta vittoria, forse perché da un po' di tempo era abituato a celebrare solo sconfitte e frustrazioni. Ma tutto è relativo, soprattutto questo presunto riscatto di un partito consumato. Che si è messo alle spalle il M5s - e questo è un successo relativo - ma è condannato a guardare la Lega da una distanza siderale. E soprattutto deve chiedersi perché non è riuscito a intercettare quasi niente dei consensi persi dai grillini in caduta libera. È pur vero che i democratici hanno ripreso fiato (nel gergo calcistico, si definirebbe «un brodino caldo»), ma la malaticcia leadership di Nicola Zingaretti non ha il merito principale. Il distacco, più teorico che reale, di Matteo Renzi, ha restituito un po' di vigore alle idee della sinistra, allontanate dalla prepotenza del Bullo. Dunque qualche simpatizzante della meteora Mdp è tornato a casa, forse più per mancanza di alternative credibili che per convinta riconversione.Eppure, paradossalmente, la disfatta del Pd renziano di un anno fa non è così distante dal risultato del Pd zingarettiano di oggi, che brinda nonostante tutto. In numeri assoluti, il risultato dell'ex segretario fu perfino migliore. In sostanza Zingaretti non ha convinto quanti speravano in un cambiamento vero e proprio. Di più: in un recupero dell'idea di sinistra mortificata da Renzi insieme ai suoi vecchi epigoni, rottamati dal verbo fiorentino. Alle europee il Pd - che in termini percentuali può dirsi parzialmente soddisfatto - ha invece perso oltre 111.000 voti rispetto al 4 marzo 2018. Gente che è rimasta a casa, che non s'è fatta scaldare dal governatore del Lazio, incapace fin qui di incidere sugli umori e sugli amori già immolati sui falò delle vanità renziane. Due riferimenti assoluti, per capire: alle europee del 2014 il Pd di Renzi aveva conquistato 11,2 milioni di voti (pari al 40,8%). Rispetto ad allora, i dem hanno perso 5,2 milioni di voti e 18 punti percentuali. E questo era un bagno di sangue previsto. Il problema per il Pd è che il senso del discorso non cambia se il paragone si fa con le ultime politiche, che già rappresentarono una depressione cosmica, anzi storica: il 4 marzo 2018 il Partito democratico prese il 18,7%, pari a 6.161.896 voti. Domenica il Pd zingarettiano ha ottenuto sì il 22,69% dei consensi, che però corrispondono a 6.050.351 di suffragi netti. I renziani se la rideranno sotto i baffi, dimenticando quanto hanno blaterato sul fuoco amico e sulla lealtà nei confronti della nuova leadership. Emblematico che sui social sia comparsa una foto postata dal renziano Michele Anzaldi, che ha messo a confronto il folto gruppo dirigente che festeggiava il trionfo del 2014 e lo scarno «vertice» dell'altra notte che applaudiva al presunto riscatto, composto da Zingaretti e Gentiloni. Questo il commento sapido: «Nel 2014 il Pd faceva il record storico del 40,8 % e nella foto del partito c'erano tutti, ad accezione proprio del segretario Renzi. L'immagine dell'unità, affondata poi dal fuoco amico. Oggi il partito unito conferma i voti di un anno fa, ma nella foto c'è solo il vertice». Con buona pace del fuoco (poco amico) che cova ancora sotto la cenere. Amen. È proprio questa specie di unità (cercata?), comunque mai raggiunta, che resta un cartello elettorale, uno slogan che non trova i contenuti per poter oggi infastidire il governo gialloblu e nemmeno una ipotetica coalizione di centrodestra, Salvini con Meloni e, semmai, con Berlusconi. Se il Pd festeggia perché ne ha maledettamente voglia, dovrebbe piuttosto chiedersi dove continua a sbagliare. E come mai dalle macerie del Movimento 5 stelle non c'è stato niente che sia tornato da dove era venuto, cioè a casa dem. Chi se n'è andato in questi anni, infastidito dall'autoreferenzialità del Pd e da chi ne ha snaturato le radici popolari, non se l'è sentita di rimettersi nelle mani di Zingaretti. Evidentemente il partito non ha saputo elaborare un progetto politico che arrivasse alla gente, se non quello di infamare e demonizzare quotidianamente Salvini, Di Maio e il resto del governo. Un sistematico e martellante «vadano a casa, stanno rovinando l'Italia», mai accompagnato da una proposta su temi seri, dalla lotta alla povertà alle tasse, sui quali, peraltro, il centrosinistra avrebbe avuto la possibilità di intervenire fino a un anno fa. Abbacinato dall'apparente crescita del 4 %, Zingaretti si culla nell'idea di bipolarismo, dopo aver teorizzato una polarizzazione, che per ora ha ottenuto l'unico effetto di polverizzare le varie anime minori della sinistra. E non ha saputo nemmeno garantire l'elezione in Europa di Caterina Avanza, pupilla di Macron, candidata con il Pd. Del resto, i francesi hanno ricambiato il «favore» con Sandro Gozi, candidato Oltralpe con i macroniani. Sono stati trombati tutti e due, a scanso di ripescaggi per la ripartizione dei seggi britannici post Brexit (nel caso di Gozi). Flop anche per l'ex ministra dem Cécile Kyenge e Beatrice Covassi, rappresentante per l'Ue in Italia. Come vedete, c'è poco da festeggiare. L'unico che - comunque vada - fa di tutto per cadere sempre in piedi, è Matteo Renzi, che si scalda con Firenze e con il successo di Dario Nardella. «La risposta più forte alla vittoria di Salvini arriva oggi da Palazzo Vecchio, grazie al bravissimo Dario Nardella», ha scritto su Facebook. Non ditegli che anche qui hanno fatto a gara perché si parlasse il meno possibile di lui. Troppo ingombrante, non si sa mai.