
Il Comune dem di Reggio Emilia firma il protocollo che prevede bagni «neutrali» e un altro genere sui documenti d'identità. Aderiscono anche università, asili nido e Ausl. La Regione Emilia Romagna approva e pensa di coinvolgere più città.Chissà, forse erano finite le minoranze perseguitate a disposizione. Fatto sta che il Partito democratico ha deciso di crearne una nuova da portare in palmo di mano: quella degli appartenenti al terzo sesso. I cari democratici non hanno le idee chiarissime in proposito, cioè non sanno bene che diamine sia questo nuovo genere. Tuttavia sono pronti a immolarsi per difenderlo. Il Comune di Reggio Emilia, roccaforte piddina guidata dal sindaco Luca Vecchi, ha sottoscritto pochi giorni fa il «Protocollo operativo per il contrasto all'omotransnegatività e per l'inclusione delle persone Lgbt». Tale documento «sancisce l'impegno strutturato delle istituzioni sottoscriventi a promuovere i diritti delle persone Lgbt e contrastare le discriminazioni». Soprattutto, però, la carta stabilisce che Reggio sarà la prima città nel nostro Paese a dotarsi di bagni «gender neutral». Il municipio reggiano «sarà il primo in Italia ad essere dotato di una terza porta delle toilette, quella dei cosiddetti bagni “neutrali"». Oltre alla toilette dei maschi e a quella delle femmine ce ne sarà una apposta per il «terzo sesso». Non solo. Il Protocollo arcobaleno prevede una miriade di azioni «contro la discriminazione». Per esempio, le barriere di sicurezza dei computer comunali veranno calibrate in modo da non bloccare le ricerche che contengano i termini «gay», «lesbica» o «transgender». Le biblioteche cittadine saranno rifornite di «un'ampia letteratura sui temi dell'orientamento Lgbt». I dipendenti dell'Ausl e gli studenti dell'Università di Modena e Reggio Emilia, poi, potranno utilizzare un «alias». In pratica, se uno studente o un impiegato dell'azienda sanitaria ha intrapreso un percorso di «transizione sessuale», potrà scrivere sul cartellino o sulla student card il suo nuovo nome, ancora prima di vedere modificati i documenti ufficiali come la carta di identità. A firmare il documento Lgbt, infatti, non è stato soltanto il Comune. Lo hanno sottoscritto pure la già citata Ausl, l'ateneo locale, la Provincia, il tribunale, gli istituti penali e, ovviamente, anche l'Istituzione scuole e nidi dell'infanzia di Reggio Emilia. Come sempre in questi casi, il Protocollo prevede anche corsi di formazione per dipendenti pubblici e insegnanti, che tradotto significa una bella razione di indottrinamento Lgbt. Alla firma del pregevole atto era presente, oltre al sindaco reggiano e ai rappresentanti di Arcigay, anche l'assessore regionale alle Pari opportunità dell'Emilia Romagna, Emma Petitti. Quest'ultima, durante un intervento radiofonico, ha spiegato che la nuova normativa reggiana servirà da esempio per tutte le altre città emiliane. L'obiettivo del Pd, dunque, è quello di esportare a livello nazionale il regolamento pro Lgbt. Gli esponenti dem emiliani sono apparsi felicissimi del risultato raggiunto, e ne hanno approfittato per riempirsi la bocca con parole come «diritti», «discriminazioni», «libertà» eccetera. È evidente, però, che nessuno di loro abbia riflettuto bene sulla portata del Protocollo fresco d'approvazione. I bagni «gender neutral» o «gender free» esistono anche in altri Paesi occidentali. Funzionano più o meno così: chi si sente donna può entrare nella toilette delle donne (lo stesso vale per quella dei maschi). In alcuni casi, è presente un terzo bagno per chi sta cambiando sesso. In altri casi, invece, fuori dai bagni non ci sono indicazioni di sorta, di modo che chiunque - a prescindere dal genere - possa utilizzarli. Negli Stati Uniti, proprio in questi giorni, è in corso una feroce discussione sulla questione. Tra le voci più contrarie ai «bagni neutri» ci sono, guarda un po', quelle delle femministe. Abigail Shrier, scrittrice e attivista per i diritti delle donne, sul Wall Street Journal, ha firmato un editoriale di fuoco intitolato «La guerra dei transgender contro le donne». A suo dire, il fatto che «i maschi biologici che si autoidentificano come femmine» abbiano «il diritto legale di entrare nei bagni delle donne» rappresenta «una minaccia fisica immediata per le donne». La signora non ha tutti i torti: se un uomo si dichiara femmina ma è fisicamente un maschio, potrebbe benissimo abusare di una donna. Non è un'idea assurda: cose simili sono accadute sia negli Usa che nel Regno Unito. I bagni neutri, dunque, non sono un «diritto in più» per la minoranza Lgbt. Sono un diritto in meno per le donne. Questo in teoria. A livello pratico, nella realtà di ogni giorno, sono del tutto inutili. Un po' come l'intero Protocollo arcobaleno emiliano. Retorica a parte, si tratta semplicemente dell'ennesimo modo per diffondere l'ideologia Lgbt nelle istituzioni pubbliche e nelle scuole. Nella migliore delle ipotesi, il documento favorirà l'indottrinamento coatto. Nella peggiore, consentirà nuove discriminazioni ai danni della popolazione femminile. Al Partito democratico, però, tutto ciò non importa. Ormai è troppo preso a occuparsi di ogni minoranza disponibile sulla piazza per riflettere sui danni che può causare alla maggioranza degli italiani. Oddio, può anche darsi che la strategia, nel luogo periodo, paghi: persi i voti degli uomini e delle donne, magari il Pd farà incetta di consensi presso il terzo sesso.
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