
Beppe Grillo si scaglia contro il Bullo: «Avvoltoio». Ma poi si mette nelle mani del Quirinale. Per gli ex alleati solo insulti. Mentre il premier prepara la resa dei conti alle Camere.Il Movimento 5 stelle dice un secco no a Matteo Renzi, anche se continua a sorridere al Partito democratico. E intanto si affida pienamente al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. In una giornata segnata dalle lunghe riunioni dei gruppi parlamentari e da continue dichiarazioni, ieri il M5s è tornato a parlare con la voce di Beppe Grillo. In mattinata, il fondatore-garante ha rifiutato seccamente l'ipotesi di un «governo di scopo» avanzata da Renzi, e sul blog ha chiesto ai suoi gruppi parlamentari di «farsi trovare uniti e parlare unicamente con gente elevata e non in caduta libera». La mossa, forse, era stata concordata con Luigi Di Maio, che in quello stesso momento apriva l'assemblea dei parlamentari grillini con la medesima parola d'ordine: «Sergio Mattarella è l'unico che decide quando e se andare a votare». Nel blog, Grillo non aveva fatto il nome del capo dello Stato, ma con il riferimento a «gente elevata» indicava indiscutibilmente l'inquilino del colle più alto di Roma, il Quirinale. In effetti, Grillo non aveva nominato nemmeno Renzi, ma è parso chiaro si riferisse a lui parlando di «gente in caduta libera», e soprattutto con l'epiteto degli «avvoltoi persuasori» in volo attorno al Movimento 5 stelle. «È una nuova specie di sciacallaggio», ha spiegato Grillo sul blog: «Non sono elevati, non volano neppure. In realtà strisciano veloci fra gli scranni».Lo stesso Renzi, del resto, si è riconosciuto in quel ritratto ornitologico: «Grillo mi chiama avvoltoio», ha detto, «ed è un onore essere insultato da lui». L'ex segretario del Pd ha comunque insistito con l'idea di un governo istituzionale «per evitare l'aumento dell'Iva e per completare la riforma costituzionale» voluta dai grillini, con il taglio di 345 parlamentari il cui voto in Aula è previsto per il 9 settembre. Ma un secco no è arrivato anche da Di Maio: «Nessuno vuole sedersi al tavolo con Renzi», ha confermato ai suoi deputati e senatori. E ha aggiunto: «Prima tagliamo i parlamentari, poi sarà il presidente Mattarella a decidere i tempi del voto». Il leader grillino ha dichiarato anche che «la Lega deve far dimettere i suoi ministri dal governo, perché non può votare contro sé stessa». Ha spiegato poi che il M5s resta «al fianco del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che nella sua relazione alle Camere dirà a tutti quello che abbiamo fatto, quello che avremmo potuto fare e quello che non riusciremo a fare. I leghisti, a quel punto, ci dovranno guardare negli occhi».Queste parole lasciano prevedere che la relazione di Conte al Parlamento, il giorno del dibattito sulla mozione di sfiducia leghista, sarà durissima. Ma anche i toni usati ieri da Di Maio contro Matteo Salvini sono stati i più aspri dall'avvio della crisi. Il ministro dell'Interno, nelle parole del leader grillino, è diventato addirittura «un traditore», che dovrà rispondere agli italiani della decisione di «buttare giù un governo che aveva più del 50% del gradimento e stava cambiando le cose». Di Maio ha apostrofato Salvini anche con frasi deliberatamente offensive: «Buon ritorno ad Arcore, Dudù», gli ha augurato.Molti di questi concetti sono stati replicati in un video di cinque minuti, uscito in serata su Facebook. Qui Di Maio ha ribadito di non volersi affatto «sedere a un tavolo con Renzi», poi è tornato ad accusare il Carroccio di aver «pugnalato alle spalle gli italiani», e ha ironizzato sull'idea che la Lega possa votare la sfiducia ai suoi stessi ministri: «Per questo credo sia giusto farli dimettere», ha ridacchiato. È una richiesta che adesso rischia di creare qualche imbarazzo a Salvini, il quale finora non aveva ancora deciso la mossa, ma si stava preparando a farla. Se ora il leader leghista deciderà di ritirare la sua delegazione dal governo, infatti, sembrerà subire il diktat dell'ex alleato. Si vedrà quali saranno gli sviluppi di questa partita a scacchi.Quanto alle trattative con gli altri partiti su nuove maggioranze, Di Maio ha negato contatti e trattative di sorta: «Il cronoprogramma è chiaro», ha detto nel video: «La prima cosa è votare il taglio dei seggi alla Camera e al Senato. E io non mi rivolgo ai partiti, ma ai parlamentari: a chi ci sta». Nel video, Di Maio ha poi detto di essere pronto a «tornare a votare», ma ha criticato il dibattito in corso sul quando e come farlo: «È solo il presidente della Repubblica che decide quando e come si va al voto», ha detto. Ed evidentemente immemore delle sue richieste di impeachment del maggio 2018 ha dichiarato: «Dobbiamo tutti avere piena fiducia nel presidente della Repubblica». Infine, il leader grillino ha ricordato che in Italia «non si vota in autunno dal 1919». E tutto questo lascia pensare che il M5s in realtà non abbia fretta di andare alle urne. I contatti tra M5s e Pd, del resto, continuano. Al momento, i tempi del dibattito parlamentare sono incerti. Poiché l'assemblea dei capigruppo ieri non è riuscita a trovare un'intesa unanime per la data del dibattito sulla mozione di sfiducia leghista a Conte, la presidente, Elisabetta Casellati, ha convocato l'Aula del Senato per le 18 di oggi. Qui sarà deciso il calendario della crisi. In base ai calcoli del Pd sui senatori che non riusciranno a rientrare in tempo dalle vacanze, oggi dovrebbero presentarsi 102 senatori del M5s (su 107), 45 democratici (su 51), più 12 tra Liberi e uguali e gruppo Misto: una maggioranza potenziale di 159 senatori, insomma, schierata contro i 136 presenti (forse) per Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia. Il nuovo asse tra M5s, Pd e Leu potrebbe quindi approvare un calendario che ritardi il dibattito sulla fiducia a Conte. Intanto, si continua a trattare…
«The Man on the Inside 2» (Netflix)
La serie con Ted Danson torna su Netflix il 20 novembre: una commedia leggera che racconta solitudine, terza età e nuovi inizi. Nei nuovi episodi Charles Nieuwendyk, ex ingegnere vedovo diventato spia per caso, indaga al Wheeler College.
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Si rischia una norma inapplicabile, con effetti paradossali sui rapporti sessuali ordinari e persino all’interno delle coppie.
Grazie all’accordo «bipartisan» Meloni-Schlein è stato approvato in commissione giustizia della Camera, il 12 novembre scorso, il progetto di legge a firma dell’onorevole Laura Boldrini e altri, recante quello che, dopo la probabile approvazione definitiva in Aula, dovrebbe diventare il nuovo testo dell’articolo 609 bis del codice penale, in cui è previsto il reato di violenza sessuale. Esso si differenzia dal precedente essenzialmente per il fatto che viene a essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito nella vigente formulazione della norma), ma anche quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Nuovo approccio dell'istituto di credito rivolto alle imprese pronte ad operazioni di finanza straordinaria. Le interviste a Stefano Barrese, Marco Gianolli e Alessandro Fracassi.
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Abrignani in commissione: «Nessuno consultò il Css per tutto il 2020. Ci interpellarono sugli mRna solo l’anno successivo». E Bassetti ci prova: «Ho ricevuto fondi da Pfizer per gli antibiotici, non per i vaccini».
«Quanti quesiti ha ricevuto dal ministero della Salute nel 2020, quando era membro del Consiglio superiore di sanità?», chiedeva ieri Marco Lisei, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia. La domanda era rivolta a Sergio Abrignani, ordinario di Immunologia e immunopatologia presso l’Università degli Studi di Milano, poi da marzo 2021 componente del Comitato tecnico scientifico. «Solo una volta, di illustrare che cosa fossero i vaccini a mRna e quali quelli a vettore a vettore virale», è stata la stupefacente riposta del professore. Per poi aggiungere, a un’ulteriore domanda che chiariva il ruolo suo e dei suoi colleghi: «Dopo l’alert dell’Oms del 5 gennaio 2020 non siamo stati consultati. Solo nel gennaio 2021, per rivedere il piano pandemico influenzale Panflu».






