2022-10-02
«Il mio amico Tacconi mi ha fatto piangere. L’Inter? Un sogno...»
Lo storico Uomo Ragno nerazzurro, oggi allenatore: «La Serie A mi manca. L’Udinese di Sottil gioca bene, Italia senza bomber».Lo soprannominarono «deltaplano» (la definizione era di Gianni Brera) per la capacità di decollare e intercettare i palloni con virtù acrobatiche a uso e consumo del pubblico. Lo ribattezzarono poi l’Uomo Ragno, quando ormai era in pianta stabile nella classifica dei primi 20 migliori portieri del XX secolo. C’è una dote che però Walter Zenga, 62 anni portati col piglio del ventenne, si autoriconosce: «Ho smesso di giocare alla fine degli anni Novanta, ma mi sento come se avessi smesso ieri». Quasi a sottolineare che il muscolo più importante da lui allenato è il cuore, sia in campo, sia da allenatore, nonostante sulla panchina dell’Inter, squadra con cui ha creato da zero la sua leggenda di giocatore, non sia ancora riuscito a sedersi: «Credo rimarrà un sogno, ma sono pronto a nuove sfide con i club che mi cercheranno».La Serie A di quest’anno è frizzantina.«Mi piace il gioco dell’Udinese, una rivelazione. Complimenti ad Andrea Sottil. Peraltro è stato un mio giocatore». Poi c’è la Roma di Mourinho.«Ha allestito una rosa competitiva e merita grande considerazione. Pure il Napoli: lo davano per finito dopo le numerose cessioni, invece ha saputo reinventare la squadra in cui spicca un ottimo Meret tra i pali. Un giorno lo dissi a Luciano Spalletti: non lasciatevelo scappare, è un gran portiere».Lei viene da un’epoca in cui la scuola italiana dei portieri spiccava nel mondo. Oggi come stanno le cose?«Le generazioni successive alla mia si sono fatte valere. Penso a Cragno, a Viviano, che ho lanciato io. Oggi raccomando di prestare attenzione a tanti bravi giovani come Elia Caprile del Bari».Un erede di Zenga esiste?«Un giorno dissi che Perin mi somigliava in alcune caratteristiche, ma dissi anche che non sapevo se per lui fosse un complimento». (ride).Le manca allenare un club di Serie A?«Mi manca moltissimo. E lo dico già ora: sono pronto a farlo».L’ultima panchina è stata Cagliari, in piena pandemia da Covid.«Nel marzo del 2020 esonerarono Rolando Maran e mi contattarono. Poche settimane dopo iniziò il lockdown e la sospensione del campionato. Non sono stato a contatto con i giocatori per ben due mesi. A maggio abbiamo ripreso gli allenamenti, disputando 13 partite in 40 giorni. Peccato. Penso a calciatori come Mattiello, come Ragatzu. Non ho potuto lanciarli come avrei voluto».Il sogno sarebbe allenare la sua Inter.«Non lo nego. Se mi fate gli esami, potete constatare che ho sangue nerazzurro purissimo nelle vene. All’Inter ho fatto di tutto: dal raccattapalle al panchinaro, prima di impormi come portiere. È la squadra del mio cuore, logico che mi piacerebbe allenarla».Potrebbe accadere?«Sono realista. Da allenatore, per diversi motivi, non ho avuto la prontezza di impormi come ero riuscito a fare da calciatore. Temo rimanga un sogno, ma va bene così. Attendo sfide nuove in panchina».Lo Zenga allenatore ha seguito modelli di riferimento?«Ho giocato in tempi di totem leggendari. Gigi Radice, Giovanni Trapattoni, Osvaldo Bagnoli. Era un’epoca in cui la mano dell’allenatore spiccava per doti tattiche e organizzative, senza gli strumenti tecnologici di oggi». Altri nomi determinanti?«Dico Sven Goran Eriksson e Thomas Rongen».Due allenatori del suo periodo post Inter.«Fondamentali per la mia formazione. Eriksson fu con me alla Sampdoria e, nel mio secondo anno in blucerchiato, quando mi ruppi i legamenti crociati delle ginocchia, ebbi modo di apprendere dal suo modo di comportarsi e di prendere le decisioni. Rongen fu il mio allenatore in Mls, il campionato americano: mentalità olandese, grande professionalità e serenità nel gestire le situazioni extra campo».Ripensando alla sua carriera. Chiuda gli occhi e racconti il momento più bello.«La soddisfazione maggiore è di sicuro il debutto da titolare con la maglia dell’Inter». Il più brutto?«Sarebbe facile dire la semifinale di Italia 90 contro l’Argentina. Non tanto per me, quanto per il gruppo. Nell’arco di una carriera, può capitare di vivere partite maledette. Quel che conta è non aver smesso di migliorarmi e di credere in me stesso. Dopo quel Mondiale, vinsi la Coppa Uefa con l’Inter».L’attaccante che l’ha fatta soffrire di più?«Non penso a un nome specifico. Mi viene in mente un aneddoto: durante un’intervista, Mark Hateley disse che la sua maggior soddisfazione fu segnarmi una rete durante un derby. Ma dimenticò di sottolineare che poco prima di subire quel gol, feci una parata incredibile proprio su un suo tiro. Il portiere deve essere valutato non solo per la rete subita, ma per gli interventi complessivi durante l’intero match».Il suo grande rivale dell’epoca, anche in Nazionale, era Stefano Tacconi.«Quando ho sentito di recente sua moglie Laura, mi sono venute le lacrime agli occhi. Gli voglio bene. Tra noi c’era rivalità, ma ci divertivamo ad alimentarla. Lui mi ricordava di aver vinto numericamente più trofei di me. Gli rispondevo che in termini personali ero io il plurivittorioso». A proposito di Nazionale: che succede all’Italia di oggi?«Dal 2010 in poi, fatichiamo coi Mondiali e strappiamo ottimi risultati agli Europei. C’è un problema di fondo e lo identifico nella difficoltà a scovare grandi attaccanti. Le nostre punte, a differenza di quelle di altre nazioni, non giocano quasi mai in club di primissima fascia, eccezion fatta per Raspadori, oggi al Napoli».In campionato non mancano le polemiche sull’uso del Var.«Lo dice a me, che a Crotone fui penalizzato proprio da errori al Var? Ritengo opportuno che anche gli allenatori possano visionare il monitor arbitrale. E poi, oltre alla positiva innovazione delle donne arbitro, spero che a fine partita pure i direttori di gara possano sottoporsi alle interviste».Walter Zenga è noto anche per il suo carattere: è sempre stato sé stesso, senza filtri.«Non smetto mai di esserlo. Non ho mai avuto peli sulla lingua. Ho 62 anni, tutti invecchiamo, l’importante è capire come si invecchia». Come sta invecchiando lei?«Con un canale Youtube, con Tik Tok, aggiornandomi di continuo, cercando di rimanere al passo coi tempi. Mettendomi in discussione e allontanadomi dalla zona di comfort. Guardo migliaia di partite, mi faccio trovare pronto in caso di chiamata. Con la mia valigia in mano che mi porta a Dubai, mi ha portato in Romania, in Turchia, in Serbia. Ma con l’anima a Milano».
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)