2020-02-06
Di Maio
va in piazza contro Giuseppi
L'ex capo politico del Movimento invita i cittadini a mobilitarsi il 15 febbraio per opporsi «alla restaurazione voluta dal sistema». Un paradosso, visto che è nella maggioranza. O forse un piano per farsi una sua corrente.Luigi Di Maio chiama a raccolta ciò che resta del Movimento 5 stelle. Lo fa convocando una manifestazione di piazza contro i rischi di una restaurazione del potere costituito. Argomento del contendere, il tentativo di far rientrare dalla finestra il taglio dei vitalizi parlamentari che la precedente maggioranza gialloblù aveva fatto uscire dalla porta. L'adunata del 15 febbraio ha però come altro obiettivo la difesa dello stop alla prescrizione, riforma che i grillini hanno tenuto a battesimo con il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, e a cui sia Pd che Italia viva vorrebbero fare il funerale. In pratica, il ministro degli Esteri va in piazza contro il governo di cui è membro o, per lo meno, contro una parte di esso. Perché a voler restaurare la prescrizione così com'era c'è sì l'opposizione, composta da Forza Italia, Fratelli d'Italia e Lega, ma soprattutto ci sono Zingaretti, Renzi e compagni. I vitalizi aboliti con il precedente governo li vorrebbero far rivivere un po' tutti, ma anche qui sono le maggioranze interne alle Camere che tifano perché uno dei benefit più criticati della cosiddetta Casta ritorni in auge. Sì, insomma, Di Maio si è dimesso da leader dei 5 stelle, rinunciando anche al ruolo di capo delegazione al governo, non perché abbia intenzione di mettersi in panchina, ma da ciò che si capisce perché ha voglia di tenersi le mani libere. Certo, fa un po' effetto vedere uno che sta seduto nel Consiglio dei ministri, ma che al tempo stesso decide di sedersi tra quelli che contestano le decisioni del Consiglio dei ministri o per lo meno di chi quel Consiglio lo appoggia. Tuttavia ormai la politica ci ha abituato ai colpi di scena e anche al ribaltamento dei ruoli. Prima avevamo un Matteo Renzi che sputava ogni giorno in faccia ai grillini, ma poi lo stesso Renzi ha deciso all'improvviso di andarci a braccetto, salvo decidere di nuovo che, pur essendo al governo insieme con i 5 stelle, si poteva anche sparargli contro. Adesso assistiamo a un Di Maio che fa due parti in commedia, ossia il ministro e l'anti ministro. Tutto ciò potrà apparire bizzarro e forse lo è, ma a prescindere da questo vale la pena di domandarsi perché il ministro degli Esteri abbia scelto di tenere i piedi in due scarpe, rimanendo al governo, ma anche mettendosi all'opposizione. Tattica? Tentativo di confondere le acque oppure di tenere unite anime diverse all'interno del movimento? Forse la risposta giusta è che Di Maio si è reso conto di quanto le posizioni grilline non siano più conciliabili e dunque ritenga di prendere la guida di una delle correnti pentastellate, magari rendendosi protagonista anche di qualche colpo di scena.Parliamoci chiaro: le dimissioni del capo politico a pochi giorni dalle elezioni regionali in Emilia Romagna, appuntamento al quale Di Maio sarebbe volentieri arrivato senza presentare una lista del Movimento, sono state una mossa per smarcarsi un attimo prima della tempesta, ma anche un modo per prendere le distanze da un nume tutelare un po' ingombrante come Beppe Grillo, con il quale non sempre ha condiviso la linea, soprattutto quella che riguardava l'alleanza con il Pd. E poi, facendo ciao ciao prima del voto, il ministro si è pure sganciato dall'abbraccio del presidente del Consiglio, le cui abili mani d'illusionista prima o poi l'avrebbero strangolato. Sì, Di Maio si è tolto la casacca del leader, ma probabilmente si prepara a indossarne una da capo popolo. Già nelle scorse settimane immaginavamo una scissione all'interno dei 5 stelle e ora, con la mossa della chiamata alle armi in piazza, ne siamo ancora più convinti. Il «ragazzo» di Pomigliano potrebbe infatti guidare una corrente, ma forse addirittura un partito, perché è meglio essere capi di un movimento che ha il 5 per cento che gregari di uno che raccoglie il 15. Come dimostra Renzi, se si vuole, in una situazione tanto precaria come quella attuale, anche il 4 per cento può valere per dettare legge. E poi, come a Roma sanno anche i sanpietrini, nonostante le liti in campagna elettorale, Di Maio preferiva il governo gialloblù a quello giallorosso. Ma se questa è l'idea, per i pentacompagni potrebbero essere dolori. Altro che guardarsi da Renzi... occhio a Luigino.
Getty Images
Le manifestazioni guidate dalla Generazione Z contro corruzione e nepotismo hanno provocato almeno 23 morti e centinaia di feriti. In fiamme edifici istituzionali, ministri dimissionari e coprifuoco imposto dall’esercito mentre la crisi politica si aggrava.
La Procura di Torino indaga su un presunto sistema di frode fiscale basato su appalti fittizi e somministrazione irregolare di manodopera. Nove persone e dieci società coinvolte, beni sequestrati e amministrazione giudiziaria di una società con 500 dipendenti.