2020-06-24
Il M5s perde pezzi e Zingaretti è ridotto a invidiare la destra
Il dem teme il fronte compatto di Lega, Fi e Fdi alle regionali. Dopo l'addio di due pentastellate, traballano i numeri al Senato.Povero Nicola Zingaretti: il segretario del Pd, che l'anno prossimo sarà sostituito da uno dei due veri competitor per la leadership del partito, il presidente dell'Emilia-Romagna Stefano Bonaccini e l'attuale vice Andrea Orlando, vede stagliarsi all'orizzonte, come un iceberg, le elezioni regionali del prossimo settembre. Alle urne andranno oltre 16 milioni di italiani in sette Regioni (Puglia, Campania, Liguria, Veneto, Marche, Valle d'Aosta e Toscana). Mentre il centrodestra, sia pure al termine di una estenuante trattativa tra Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, è riuscito a trovare la quadra e quindi si presenterà compatto ovunque, i giallorossi attualmente al governo si divideranno.Pd contro M5s, Italia viva contro Pd, tutti contro tutti: del resto, quella giallorossa non è una coalizione politica, ma soltanto aritmetica, che si regge in piedi esclusivamente per il terrore dei parlamentari, soprattutto grillini, di tornare alle elezioni e perdere la poltrona. Zingaretti tenta l'impossibile, e attraverso un post su Facebook invita i partiti che sostengono il governo guidato da Giuseppe Conte a ritrovare una impossibile unità: «Da oggi», scrive Zingaretti, «le destre combattono unite in tutte le Regioni, anche se spesso all'opposizione sono divise. Per fortuna con candidati deboli, contestati e già bocciati in passato dagli elettori. Invece tra le forze politiche unite a sostegno del governo Conte», aggiunge il segretario dem, «prevalgono i no, i ma, i se, i forse, le divisioni. Il motivo è ridicolo: si può governare insieme quattro anni l'Italia ma non una Regione o un Comune perché questo significherebbe alleanza strategica. Ridicolo!».Sarà pure ridicolo, ma così è, e Zingaretti lo sa da sempre: il M5s a livello locale non vuole allearsi con nessuno, e quando ci ha provato, come lo scorso ottobre in Umbria, quando sulla scheda elettorale Pd e M5s erano appaiati a sostegno del candidato Vincenzo Bianconi, il risultato è stato disastroso, con la candidata del centrodestra Donatella Tesei che ha stravinto le elezioni regionali con il 57,5%. Il M5s al 7,4% ha fatto registrare un dato catastrofico, che ha convinto i vertici del Movimento a non ripetere più l'esperimento. Ma Zingaretti non si arrende: «Il riformismo non è testimonianza», aggiunge il quasi ex segretario dem, «è la costruzione di un progetto che cambia le cose realmente per il Paese e non per raccattare voti. Io che invoco, pratico e costruisco unità sarei il matto. Ma continuerò. Prima di tutto l'Italia. Le alleanze intorno ai candidati sostenuti dal Pd sono gli unici che possono fermare le destre, il resto è l'eterno ritorno di vizi antichi di una degenerazione della politica personalistica e autoreferenziale. Tafazzi non è stato inventato per caso. Questa è la verità. Faccio un appello a tutti: confrontiamoci con la realtà», aggiunge Zingaretti, «cambiamola, ma si smettesse di guardare il mondo dal dirigibile. Andiamo avanti e combattiamo con chi ha le idee e gli strumenti per vincere».Raccogliamo l'appello di Zinga e confrontiamoci con la realtà: non solo il M5s, che con l'esclusione di qualche singolo esponente è nettamente contrario a ogni ipotesi di ripetere l'esperimento umbro, ma anche gli altri alleati di governo rispondono al segretario dem elencando i motivi per i quali l'invito all'unità appare tardivo e politicamente ipocrita. Italia viva, ad esempio, in Puglia presenta un proprio candidato alla presidenza della Regione, Ivan Scalfarotto, ma respinge con decisione l'accusa di favorire il centrodestra, che candida Raffaele Fitto di FdI. E, a dare lo stoccata a Zingaretti, è Matteo Renzi: «Se vuole unità, allora ritiri dalla corsa Michele Emiliano».«Se ne accorgono oggi», sottolinea il coordinatore di Italia viva, Ettore Rosato, «che bisogna lavorare insieme. Il Pd ha scelto da solo tutti candidati e pretende poi che gli altri li seguano. Mi sembra un modo curioso e presuntuoso di fare politica. Gli accordi che abbiamo raggiunto nelle Marche, in Toscana e in Campania li abbiamo raggiunti non con il Pd ma con i candidati alla presidenza». L'appello di Zingaretti viene respinto al mittente anche da sinistra: «Il segretario del Pd, Zingaretti», argomenta il responsabile Enti locali di Sinistra italiana, Paolo Cento, «ha ragione a evocare Tafazzi, ma dovrebbe essere anche consapevole che spesso le divisioni dipendono dal suo partito. Emblematica la vicenda della Liguria dove un'alleanza larga anche con il M5s è bloccata per la contrarietà del Pd nei confronti di Ferruccio Sansa».Intanto, da ieri, il governo Conte non ha più la maggioranza assoluta in Senato. Una deputata, Alessandra Ermellino, e una senatrice, Alessandra Riccardi, hanno infatti detto addio al M5s. La Ermellino passerà al Gruppo misto, mentre la Riccardi ha annunciato il suo passaggio alla Lega, salutato con calore da Matteo Salvini e dal capogruppo del Carroccio Massimiliano Romeo. Dall'inizio della legislatura sono 13 i senatori grillini ad aver abbandonato il movimento, e così a Palazzo Madama ora il M5s conta 95 membri. La coalizione giallorossa scende quindi a quota 160 senatori, uno in meno rispetto alla maggioranza assoluta che al Senato è 161.
Charlie Kirk (Getty Images)
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