2020-08-24
Elena Fattori: «Il M5s non c’è più: è stato cancellato dalla fame di potere»
La senatrice espulsa Elena Fattori: «Mi chiedo se tutto il fervore degli inizi non fosse la strategia di un gruppo per arrivare in Parlamento».«Il Movimento 5 stelle è stato un grande successo popolare per via del lavoro svolto sui territori. C'è stata una rete pervasiva, forte, fatta di attivisti bravi, che sono stati sfruttati per arrivare al potere e poi abbandonati». Non usa giri di parole, la senatrice Elena Fattori. Attivista dal 2010, è una delle voci critiche della metamorfosi del Movimento, passato dalle battaglie sui territori alle guerre di potere nei Palazzi. Sul suo blog lei ha scritto: «Il Movimento 5 stelle è morto. O forse non è mai esistito». Parole forti, non crede? «Il Movimento delle origini non c'è più. L'obiettivo, almeno all'inizio, era quello di monitorare i territori, portare le istanze e i bisogni dei cittadini nelle istituzioni, al di là delle logiche di spartizione, degli interessi personali ed elettorali dei partiti».Tutto questo non c'è più?«Di fronte allo stravolgimento dei principi basilari, viene da chiedersi se tutto quello che è stato agli inizi non fosse solo una strategia attuata da un certo gruppo di persone per arrivare al potere».Che cosa intende? «Si ricorda i famosi slogan “Uno vale uno", “Siamo sindaci del nostro metro quadrato", “Tuteliamo l'ambiente"? Ecco, mi chiedo se non sia stata una semplice manovra propagandistica, per poi arrivare al potere e fare tutto il contrario. Gli attivisti, le persone in gamba sono state utilizzate per portare al potere persone arriviste».A chi si riferisce? «A quasi tutta la classe dirigente del Movimento, il gruppetto che governa. Nessuno li ha mai legittimati. Gli attuali ministri non sono mai stati scelti dalla base, non hanno avuto particolare successo elettorale sui loro territori, non hanno una storia di attivismo. Lo stesso Luigi Di Maio non ha una storia di attivismo. Vito Crimi, il reggente: da mesi ormai fa e disfa, ma nessuno lo ha mai legittimato. Sono persone che stanno lì, senza aver avuto passaggi che sarebbero normali in una segreteria di partito».Che cosa pensa del voto su Rousseau con cui è stato eliminato il limite del secondo mandato per i consiglieri comunali e si è aperto alle alleanze locali con altri partiti?«Mi sarebbe piaciuto poter votare, ma non posso farlo dal momento che sono stata cancellata dalla piattaforma».Quando si dice la democrazia…«Questa modalità di cancellare chi non è d'accordo permette di selezionare solo quelli che si adattano a ogni decisione».Che cosa avrebbe votato se avesse potuto? «Per quanto mi riguarda, penso che il primo mandato da consigliere comunale non debba essere contato, per questo sono favorevole alla deroga. Credo, tuttavia, che sia solo l'inizio». Presto si arriverà alla deroga anche per i parlamentari e i consiglieri regionali? «In tutti quelli che sono al potere non vedo una grande voglia di tornare da dove sono venuti. Probabilmente faranno dei patti per avere delle posizioni di potere, non necessariamente di governo. Magari in qualche azienda di Stato. Qualcosa si inventeranno, non ce lo vedo Luigi Di Maio a tornare nella sua Pomigliano». Aprendo alle alleanze con altri partiti, il Movimento ha tradito un altro dei suoi valori originari?«Allearsi non ha senso. Un conto sono gli accordi post-elettorali, come è successo con il governo. Altra questione è entrare a gamba tesa in un territorio senza conoscerlo. Se entri dall'alto, e non sai nulla, perdi tutta la forza del civismo». Per questo sono saltati gli accordi in Puglia e nelle Marche? «Non si possono creare dei mostri. Ho apprezzato la scelta di Antonella Laricchia, candidata in Puglia: esiste un attivismo, una storia che non si può annullare sommando i popoli. I popoli di Michele Emiliano e del Movimento 5 stelle non si sommano». Crede che il mancato accordo possa favorire la coalizione di centrodestra? «Non so se favorirà la destra, sicuramente l'alleanza non avrebbe migliorato la situazione. Non credo avrebbe funzionato, i matrimoni di interesse non sono efficaci».Eppure, per un accordo si è speso anche il premier Giuseppe Conte. Scelta fuori luogo?«Credo di sì. Il premier fa il suo mestiere, è retto da un governo di coalizione e auspica che si realizzi altrettanto sui territori. Eppure, mostra di non conoscere le realtà territoriali, ed è normale perché non le ha mai frequentate. Conte ha grande consenso come presidente del Consiglio, l'apprezzamento però non si può traslare sui territori».Qual è stato, secondo lei, il ruolo di Luigi Di Maio? Qualcuno pensa che abbia fatto «il doppio gioco»: mostrarsi favorevole all'accordo per poi sabotarlo e indebolire Conte. «Di Maio non è uno statista, non so quale sia la chiave del suo pensiero. Sicuramente il suo obiettivo è restare al potere, punto. Quali tattiche usi, sinceramente, lascia il tempo che trova. Del resto, tutte le tattiche finora hanno portato a un calo dei consensi. Non credo guardi a una strategia di lungo termine, piuttosto si dedica ai tatticismi per rimanere dov'è. Anche perché non è sostituibile».In che senso? «La nuova associazione Movimento 5 stelle ha come padri fondatori Luigi Di Maio e Davide Casaleggio. Il Movimento non può fare a meno di nessuno dei due, hanno le chiavi del castello. Per questo, non sono scalabili». Ci sarebbe un piano per indebolire Casaleggio, per sottrargli il controllo degli iscritti. «Casaleggio dà fastidio, si sta intestardendo sulla questione dei due mandati, e questo non piace alla classe dirigente del Movimento. E poi ha le chiavi del blog». Il controllo dei dati. «Chi possiede i dati ha il potere. Se io volessi fare una proposta, non potrei perché non ho i dati degli iscritti da consultare. Quelli li ha Davide Casaleggio». Può essere un problema per la sicurezza nazionale, come sostengono alcuni attivisti? «Avrebbe potuto esserlo, ora il sistema mi sembra depotenziato. Decidere, per esempio, le sorti di un governo su una piattaforma privata, a cui non hai accesso, potrebbe essere un problema, ma per ora non ho visto azioni pericolose». Tra poco meno di un mese si vota il referendum per la riduzione dei parlamentari. «Sono molto preoccupata». Anche lei si schiera per il No? «Ho votato la legge in prima lettura. Ascoltando il dibattito, mi sono schierata per il fronte opposto. Credo che l'obiettivo sia ridurre la rappresentanza e indebolire la voce del territorio. L'ago della bilancia si sposta verso il governo e rafforzare il governo vuol dire traslare il potere nelle assemblee sovranazionali». Cosa c'entra l'Europa?«Dove c'è un governo forte e un Parlamento debole, l'Europa si rafforza. La Commissione europea lavora con il governo, se il Parlamento si indebolisce si rafforzeranno altre assemblee. Stiamo svuotando la democrazia italiana per dare maggiori poteri al governo e alle istituzioni sovranazionali». La riduzione dei costi non è una motivazione sufficientemente convincente? «Per ridurre i costi, basta un ufficio di presidenza, dove il Movimento ha la maggioranza, e tagliare lo stipendio dei parlamentari. Così si otterrebbe un risparmio maggiore. L'obiettivo non è ridurre i costi, ma consolidarsi nel potere e infilare in Parlamento degli yes men». C'è chi dice che con meno onorevoli ognuno avrà più peso. Si migliorerà l'efficacia del Parlamento?«Il Parlamento non è più efficace con meno persone. Per migliorare, si intervenga sulla qualità dei membri. Si potrebbe farlo con una legge elettorale adeguata, o modificando i regolamenti di Camera e Senato. Ma non ne sento parlare». Crede che un eventuale no al referendum possa portare alla fine del governo? Si potrebbe replicare quanto accaduto con Renzi nel 2016?«Credo di no. La comunicazione del Movimento ha avuto la cura di non personalizzare il referendum. Nessuno si sta intestando la battaglia. Lo faranno dopo, vedrà, quando passerà la riforma». Dall'inizio della legislatura, più di 30 parlamentari hanno detto addio al Movimento. Che cosa si è rotto? «C'è stata una sorta di colpo di mano dei colonnelli, della classe dirigente. Prima si facevano le assemblee, si prendevano decisioni collegiali. Ora decide un gruppo ristretto. Chi ha contribuito veramente alla crescita del Movimento ha pensato che non avesse più senso continuare a legittimare persone che nessuno ha scelto». Quando ha lasciato il Movimento, ha scritto questa frase: «Non ho abbandonato la nave, ma è il capitano che mi ha lasciato senza pane e acqua». «Sono stata sospesa per non aver votato il decreto Sicurezza. O almeno formalmente, visto che facevo ancora parte del gruppo. Eppure, non potevo fare nulla: se sei sospesa, nessuno ti firma gli emendamenti, nessuno ti aiuta se devi portare un'istanza, una mozione, un'interrogazione. Non riuscivo più a fare niente. Ho chiesto di concludere la procedura entro un anno dall'inizio della sospensione. Se non l'avessero fatto, mi sarei spostata al Misto. Nonostante le mie richieste, nessuno ha mai risposto. Allo scadere dell'anno, ho cambiato gruppo parlamentare e mi hanno espulso per averlo fatto».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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