2018-12-10
Il lato oscuro dell’Oms. Prende fondi dai privati e governa la sanità in base ai loro interessi
Dalle pandemie influenzali inventate a quella di ebola ignorata: l'agenzia Onu per la salute è in balia dei suoi finanziatori. Altro che scienza indipendente. «Quella strana fissazione di Bill Gates per i vaccini...». L'esperta: «La sua fondazione possiede quote azionarie nelle ditte che li producono. E se chiudesse i rubinetti potrebbero naufragare tutte le campagne contro la polio». Lo speciale comprende due articoli. «Lo dice la scienza». È il motto dei «competenti», quelli che, con 13 morti per morbillo in due anni, hanno creato l'emergenza vaccinazioni, dimenticandosi dei 10.000 morti in Italia per infezioni antibiotico-resistenti. Ma alla scienza chi «lo dice»? È una domanda sensata, perché la scienza ha il suo metodo, le sue procedure, i suoi controlli di qualità, ma ha pure i suoi giri d'affari, i suoi cortocircuiti con la politica, con i grandi capitali e, quando si tratta di scienza medica, con le case farmaceutiche. Opacità incarnate proprio dall'istituzione che più di tutte dovrebbe brillare per neutralità e indipendenza: l'Organizzazione mondiale della sanità, l'agenzia Onu fondata nel 1946 con lo scopo di garantire nel mondo il diritto alla salute. L'Oms, per il biennio 2016-2017, ha utilizzato un budget da quasi 4 miliardi e mezzo di dollari. Una cifra enorme, anche se è una briciola rispetto al denaro che maneggiano i colossi del farmaco: Novartis ha registrato oltre 49 miliardi di dollari di vendite nel solo 2017, Bayer 14 miliardi e 700 milioni di euro. Ma la torta dell'agenzia Onu rimane ghiotta. Anche perché negli ultimi decenni, parallelamente alla diminuzione dei fondi degli Stati membri, è cresciuta la quota dei contributi volontari, provenienti da soggetti privati e vincolati alla realizzazione di progetti commissionati dagli stessi donatori. Per esempio, nel periodo 2016-2017 l'ammontare dei contributi volontari è stato di circa 3 miliardi e 900 milioni di dollari: quasi l'87% del budget totale. E la stragrande maggioranza di questi soldi è frutto di finanziamenti earmarked, condizionati a una precisa agenda. Per il British medical journal, nel 2017 l'80% dei fondi ricevuti dall'agenzia Onu era earmarked. L'elenco dei filantropi è sterminato ed eterogeneo. Tra di loro, non poteva mancare la tentacolare Open society di George Soros, che però nel 2017 ha offerto l'equivalente di un caffè all'Oms: la sua donazione ammonta a 55.000 dollari tondi tondi. A fare la parte del leone è la creatura di Bill Gates: la Bill & Melinda Gates foundation (che vanta un patrimonio da 40 miliardi di dollari) ha destinato all'Oms quasi 444 milioni nel 2016, di cui circa 221 vincolati e quasi 457 milioni nel 2017, di cui 213 vincolati a programmi specifici. Ma il fondatore di Microsoft dedica alla salute mondiale, o almeno alla sua visione della salute mondiale, parecchi altri soldi. La sua fondazione è infatti tra i maggiori finanziatori (1 miliardo e mezzo di dollari tra 2016 e 2018) della Gavi alliance, una partnership tra soggetti pubblici e privati che mira a incrementare la diffusione dei vaccini. E che, nel solo 2017, ha versato all'Oms oltre 150 milioni di dollari. La Gates foundation non fa mistero di voler «plasmare» il mercato dei vaccini, come si legge sul sito di Gavi alliance. Perciò Bill Gates sborsa milioni di dollari per orientare le decisioni politiche riguardanti la loro somministrazione. Da re dei computer a re dei vaccini. Forse non è un caso se dentro la fondazione ci sono dirigenti legati a doppio filo alle case farmaceutiche: ad esempio, l'amministratrice delegata, l'oncologa Sue Desmond-Hellmann, che peraltro, già presidente della sezione «sviluppo di nuovi prodotti» della Genetech. Oltre a lei, c'è il direttore del programma Hiv della fondazione, Emilio Emini, che è stato ricercatore dell'area vaccini per la Merck e Pfizer, o Penny Heaton, ex dirigente dell'area vaccini in Novartis, Novavax e Merck. In più, come ricorda il libro Immunità di legge, del Pedante e di Pier Paolo Dal Monte, nel 2013 Medici senza frontiere accusò Gavi di acquistare i vaccini «a prezzi insostenibili», dissimulando una regalia alle multinazionali. Viene da chiedersi come si ripercuotano questi intrecci sull'Oms, il cui operato, in tema di vaccinazioni, non è stato sempre immacolato. Basti pensare al caso dell'influenza suina, una finta emergenza denunciata dall'Oms nel giugno 2009, cioè pochi mesi dopo un preallarme dell'agenzia Onu, che aveva indotto molti Paesi a stipulare impegni d'acquisto di vaccini pandemici. Con tanto di assurda clausola contrattuale: gli accordi prevedevano la responsabilità a carico degli acquirenti in caso di effetti collaterali. Come se uno comprasse un elettrodomestico, ma per i malfunzionamenti, anziché essere coperto dalla garanzia, dovesse versare una penale all'azienda produttrice. Guarda caso, quei contratti sarebbero diventati vincolanti se l'Oms avesse annunciato lo scoppio di una pandemia. Ma la pandemia annunciata non si verificò. Tanto che l'European journal of epidemiology pubblicò nel 2011 un articolo dal titolo eloquente: «L'invenzione della pandemia di influenza suina». Un'altra rivista scientifica, Sleep medicine reviews, lo scorso aprile ha diffuso uno studio che mostrava un'elevata correlazione tra il vaccino per il virus della suina, l'H1N1 e la narcolessia in bambini e adolescenti. Qualcuno, però, ci aveva guadagnato: i profitti di due case produttrici del farmaco, la Csl limited e la GlaxoSmithKline, nel 2009 erano aumentati anche del 60%. Un caso, direte. Eppure, a spulciare un po', di conflitti d'interessi interni all'Oms se ne trovano. Nel 2015, ad esempio, l'agenzia Onu raccomandava per l'emisfero Nord l'uso di alcuni vaccini, tra cui uno per il già citato H1N1. E chi c'era nel comitato degli esperti che aveva siglato quel documento? La dottoressa Anne Kelso, medico australiano, costretta a segnalare «significative partecipazioni azionarie» nella Csl limited. Cioè la ditta farmaceutica che produceva il vaccino raccomandato dalla Kelso. E che dire dell'influenza aviaria? Nel 2005 l'Oms fece diventare il Tamiflu il farmaco d'elezione per il trattamento della «febbre dei polli». Nel 2009 si paventò una pandemia: per l'Italia erano stimate 150.000 potenziali vittime. Una strage. Per fortuna, l'ecatombe non ci fu. In compenso, qualche anno dopo si scoprì che il Tamiflu era inutile. E che uno degli articoli che ne doveva provare l'efficacia era basato su un solo caso di studio. Ma il farmaco prodotto dalla Roche spa (che nel 2017 ha versato all'Oms 6.628.090 dollari) aveva avuto uno sponsor altolocato: l'allora segretario di Stato americano Donald Rumsfeld, azionista di Gilead, società che in precedenza aveva detenuto il brevetto (e che a sua volta finanzia l'Oms). Rumsfeld lucrava il 22% dei ricavi derivanti dalla vendita del Tamiflu. Voi direte: meglio essere prudenti. Meglio un allarme esagerato che uno sottovalutato. Eppure l'Oms, nel caso dell'epidemia (vera) di ebola non ha mostrato la stessa solerzia riservata all'epidemia (falsa) di suina. A mesi dalla rapida propagazione della terribile malattia, i vertici dell'agenzia Onu stentavano a intervenire. L'epidemia era scoppiata a fine 2013; il primo Consiglio esecutivo dedicato all'ebola risale a fine gennaio 2015. Fino al 2016, il virus ha ucciso 11.325 persone, quasi tutte in Africa occidentale. Persino l'allora dg dell'Oms, Margaret Chan, dovette riconoscere i ritardi. Una delegata inglese al Consiglio del 2015 parlò, senza mezzi termini, di «una vergogna». C'entrerà qualcosa il fatto che il primo vaccino anti ebola fu messo a punto solo nel 2016? «Lo dice la scienza», ma a volte si ha l'impressione che alla scienza «lo dica» (o «non lo dica») qualcuno. E a proposito di influenza, quella di Bill Gates ha sollevato parecchie critiche. Molte si focalizzano sulla parzialità dell'approccio «tecnocratico» adottato dalla fondazione del magnate di Microsoft: c'è una malattia, si comprano e si distribuiscono i vaccini, la malattia scompare. Ma così si trascurano fattori importanti per l'insorgere delle patologie nelle aree sottosviluppate: aspetti sociali e ambientali, la qualità dei sistemi sanitari nazionali. Di questo tenore erano i rilievi che un rapporto dell'Osservatorio italiano sulla salute globale, presentato cinque anni fa alla Camera dei deputati, muoveva alla gestione delle cosiddette «malattie tropicali dimenticate». Nel report si leggeva che le strategie per la cura di queste patologie dipende «da ingenti donazioni di farmaci da parte delle multinazionali del settore», il che limita le opportunità di «costruire capacità nei Paesi affinché siano gli attori nazionali al posto di comando, quando si prendono decisioni che producono conseguenze sulla salute delle loro popolazioni». Che è un po' il limite della recente legislazione italiana sugli obblighi vaccinali: un'imposizione calata dall'alto, sulla base di raccomandazioni che l'Oms ci ha indirizzato con curioso tempismo. I nostri connazionali trattati come pericolosi incapaci da mettere sotto tutela. Ma a oscurare la fama dell'Oms non c'è solo il capitolo sull'origine dei finanziamenti. C'è anche il modo in cui quei fondi vengono utilizzati. Ad esempio, pare che ai dipendenti dell'organizzazione piacciano gli alberghi di lusso. Nel maggio 2017, Associated press pubblicò dei documenti che rivelavano come l'Oms avesse tirato fuori «circa 200 milioni di dollari all'anno per le spese di viaggio, più di quanto destinasse ad alcuni dei maggiori problemi sanitari, incluse Aids, tubercolosi e malaria messe insieme». Insomma, più soldi per la prima classe degli aeroplani e per gli hotel a 5 stelle, che per combattere alcune tra le peggiori malattie infettive del pianeta. Il direttore delle finanze dell'Oms aveva candidamente ammesso: «A volte i dipendenti possono manipolare un po' i loro viaggi». 200 milioni di dollari all'anno. Non male per essere «un po'». L'Oms però non è solo una colonia per le grandi fondazioni private e una torta da divorare per chi ama le trasferte deluxe. Oltre ai soldi, c'è il potere. C'è la politica. Ci sono gli scambi di favori. Tipo quello tentato dal nuovo direttore generale, eletto nel luglio 2017, l'etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus. Pochi mesi dopo aver ottenuto l'incarico, Adhanom fece nominare «ambasciatore di buona volontà» dell'Oms Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe. Un dittatore al potere dal 1980 nel Paese che deteneva un infelice record: la più alta mortalità infantile e la più bassa aspettativa di vita al mondo. Che autentica manifestazione della «buona volontà» di difendere il diritto alla salute! Mezzo mondo si ribellò a quella che il ministro della Sanità irlandese definì una nomina «offensiva e bizzarra». Ma la nomina aveva la sua logica politica: Mugabe presiedeva l'Unione africana quando Adhanom fu indicato come il candidato unico alla presidenza dell'Oms per il continente nero. Il piacere andava ricambiato... «Lo dice la scienza»: il motto dei competenti. Ma troppo spesso qualcuno, per interesse o per megalomania, «lo dice» alla scienza. Ecco perché, a questa scienza, non si dovrebbe «mandarle a dire». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-lato-oscuro-delloms-prende-fondi-dai-privati-e-governa-la-sanita-in-base-ai-loro-interessi-2622867765.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="quella-strana-fissazione-di-bill-gates-per-i-vaccini" data-post-id="2622867765" data-published-at="1757985153" data-use-pagination="False"> «Quella strana fissazione di Bill Gates per i vaccini...» Nicoletta Dentico è un'esperta di salute globale. Ai lettori della Verità sembrerà forse una strana interlocutrice, visto che tra il 1999 e il 2004 ha diretto Medici senza frontiere Italia. Ma la Dentico da tempo denuncia i difetti nella governance dell'Oms. E nel nostro Paese è probabilmente la persona più titolata a parlare di questo problema. Dottoressa, intanto grazie per aver voluto parlare con noi nonostante si trovi in Salvador... «Ma le pare. Anzi, mi scusi se è stato difficile sentirci». Andiamo subito al sodo. Esiste un problema di indipendenza dell'Oms dai finanziatori? «Esiste eccome». Troppi fondi privati? «Cominciamo con il dire che la questione riguarda anche i contributi pubblici». Cioè? «Intanto è diminuito il core funding: i governi hanno ridotto i loro stanziamenti all'Oms». E poi? «Ne hanno vincolato la maggior parte a progetti specifici». I privati invece? «Nota dolente». Lo avevamo intuito... «La penuria di fondi governativi ha costretto l'Oms a dipendere sempre di più da quelli dei soggetti privati». Ed è questo a mettere a rischio la sua indipendenza? «Senza dubbio. Basti pensare al ruolo della Bill & Melinda Gates foundation». Che, all'Oms, destina quasi 450 milioni di dollari l'anno. «È il secondo finanziatore dopo gli Stati Uniti in termini assoluti». L'agenzia Onu è diventata vassalla di Bill Gates? «Indubbiamente la fondazione ha assunto una capacità di direzionamento dell'operato dell'Oms». Che significa in concreto? «Ad esempio la Bill & Melinda Gates foundation finanzia in maniera sbilanciata il programma di lotta alla poliomielite». E che male c'è? «Se chiudesse i rubinetti, l'Oms non potrebbe più finanziare non solo questo, ma anche altri programmi contigui». Ma perché, l'Oms dirotta i fondi per le campagne anti polio? «No, ma quei soldi sono usati per finanziare ad esempio la formazione del personale sanitario». Non c'è pure il rischio che questi colossi privati impongano una governance troppo tecnocratica? «Certo. Però anche molti governi spingono in questa direzione». Cioè? «È passata l'idea che la salute sia solo una questione di medicina, una questione di farmaci. Si trascurano del tutto i determinanti sociali». Troppa logica «mercatista»? «Be', i grandi attori filantropici sguazzano in questa deriva, perché hanno una cultura improntata al marketing. E i governi sono influenzati dalle pressioni di chi produce i farmaci e quindi deve venderli». Anche l'Italia, con l'obbligo vaccinale, ha scelto la via tecnocratica... «Allora, che i vaccini abbiano avuto una funzione nell'eradicazione delle malattie è un dato di fatto. Ma i vaccini non sono la soluzione di tutti i problemi. E le vaccinazioni non sono l'unica emergenza. Basti pensare alle infezioni resistenti agli antibiotici». Qualcuno concepisce i vaccini come una panacea? «Bill Gates spinge tantissimo sui vaccini». Perché? «Mi lasci ribadire che lei sta parlando con una persona che considera i vaccini fondamentali». Chiarissimo. Detto questo, mi spiega perché Bill Gates «spinge» sui vaccini? «Si ricordi che in un primo momento la politica sulle vaccinazioni prevedeva che i loro costi restassero bassi». Non è più così? «No. Oggi i vaccini seguono sempre più l'andamento dei prezzi degli altri farmaci». E quindi... «E quindi sono diventati un settore molto lucrativo». Torniamo a Bill Gates. «Lui ha una mania per i vaccini». Una mania? «Sì. Una mania che dopo un po' diventa sospetta...». Perché sospetta? «Perché possiede diverse azioni presso le case farmaceutiche che i vaccini li producono. Si chiama conflitto d'interessi...». Di conflitti d'interessi ce ne sono pure tra i membri dell'Oms? «Ce ne sono, al tempo della deregolamentazione. Del resto l'Italia qualche anno fa si è trovata a discutere di zucchero avendo nella sua delegazione uno che lavorava per la Ferrero... Nelle agenzie Onu siamo messi piuttosto male». Ah sì? «Non esistono policy interne per combattere i conflitti d'interessi, se non le dichiarazioni che vanno prodotte da chi riveste degli incarichi». La politica ha un qualche ruolo dentro l'Oms? «La salute non è solo politica, ma geopolitica». Geopolitica? «Sì. Pensi solo alla questione dei brevetti». Mi spieghi. «I Paesi del Nord del mondo, in cui hanno sede le case farmaceutiche, vogliono mantenere il monopolio sui brevetti. Quelli del Sud o tentano di rompere questo meccanismo o cercano di fare concorrenza, come nel caso dell'India». Ma se ci sono tanti intrecci politici, tanti conflitti d'interessi, poi non è ovvio che la gente perda fiducia nella comunità scientifica? «Certo. Perciò è necessario che i governi riprendano il controllo dell'Oms con i finanziamenti pubblici». Meno mercato e più Stato? «Non solo. Se il mercato deve avere uno spazio, sia almeno un vero mercato. Aperto alla concorrenza. Libero dai monopoli».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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