2022-11-02
Il governo vuole riformare lo Spazio. Ma Parigi studia la sua rappresaglia
Giorgia Meloni pronta a rivedere l’eredità di Vittorio Colao per non soccombere alla ministeriale Esa. Il «fuoco» su Guido Crosetto già aiuta i francesi.L’Italia è il sesto Paese al mondo nella classifica degli investimenti destinati allo Spazio. Da quest’anno il budget per l’Asi, la nostra agenzia spaziale, vale un miliardo di euro. Nel complesso il settore fattura circa 10 miliardi e dà lavoro più o meno a 40.000 persone. Al di là dei numeri freddi, lo Spazio è la sfida geopolitica più importante. Lo dimostrano, da un lato, la guerra in Ucraina con l’uso intensivo dei satelliti e, dall’altro, l’asse franco-tedesco che, particolarmente sui progetti satellitari, sta cominciando a scricchiolare. Chi sottovaluta il comparto o sbaglia o lo fa in malafede. Il prossimo 22 novembre è attesa la ministeriale Esa (appuntamento dei Paesi membri dell’Agenzia spaziale europea) che dovrà approvare oltre 18 miliardi di euro di investimenti. All’Italia sarà chiesto di partecipare con una spesa di 4: non poco. Eppure, per come stanno le cose, e quindi dopo due anni di interventi targati Vittorio Colao, ci presenteremo senza una strategia e con le mani legate. I nostri soldi del Pnrr, anzi i nostri debiti del Pnrr destinati allo Spazio, sono stati in gran parte affidati in gestione diretta all’Esa, la quale per tradizione e storia documentata sviluppa concretamente le strategie francesi. L’Italia è uno dei pochi Paesi europei, se non al mondo, a detenere competenze, capacità e asset su tutta la catena del valore del settore spaziale, dall’Upstream al Downstream (sia le attività che consentono il viaggio veros lo spazio, sia quelle che vengono sviluppate a terra grazie alle scoperte spaziali, ndr), dalla progettazione alla utilizzazione dei prodotti e servizi spaziali, dai satelliti ai moduli abitati, dai sistemi di lancio ai centri di controllo e di missione, dalla elaborazione dei dati e segnali spaziali alla vendita dei loro più sofisticati servizi applicativi. Eppure il precedente governo ha preferito non intervenire sulla riorganizzazione dell’agenzia nazionale e delegare all’Europa la gestione del futuro della tecnologia più promettente. I negoziati condotti fino ad oggi in vista della ministeriale si sono basati su logiche estemporanee, spesso a salvaguardia di interessi eterodiretti dai francesi e dettati dall’Agenda Draghi-Colao-Trattato del Quirinale. Dato l’importo dei fondi sul tavolo, le decisioni che verranno prese il 22 e il 23 novembre saranno vincolanti per i prossimi 15 anni. Alla Verità risulta che il premier Giorgia Meloni abbia deciso di metterci la testa. Non solo per assegnare le deleghe a un ministro o a un sottosegretario, ma anche per cercare di riavvolgere il film e sterilizzare scelte e nomine del precedente governo. L’obiettivo è la tutela del Made in Italy. D’altronde lo ha detto chiaro nel libro di Bruno Vespa che narra del recente incontro con Emmanuel Macron: «Ho illustrato la nostra decisione di difendere il marchio made in Italy. Ho contestato l’atteggiamento predatorio che la Francia ha manifestato in qualche occasione, ho trovato una perfetta comunità d'intenti nella difesa della sovranità alimentare alla quale anche la Francia tiene molto. Gli ho detto: caro Emmanuel, tu difendi gli interessi francesi, io quelli italiani».Così ora per invertire la rotta sarà necessario rimuovere tutte le caselle riempite da Colao, o almeno quelle del 2022. Tra le fila ci sono sicuramente figure che dialogano assai con Parigi e altre che, nel curriculum, hanno troppi anni trascorsi nella fondazione Amaldi ai tempi di Roberto Battiston. Sarà necessario inoltre individuare un gruppo di lavoro che coinvolga esperti e dia maggior potere al Comint, in modo da creare una struttura in grado di controllare le attività dell’Esa. Fino ad oggi, invece, i gruppi di lavoro sono risultati una derivazione passiva di Bruxelles. È chiaro che, una volta chiarite le idee, i fondi all’Europa dovranno diminuire lasciando che crescano quelli diretti alle filiere nazionali. Sarà il caso di ristrutturare del tutto il Cira, il centro italiano di ricerche aerospaziali. Come ultimo gradino sarebbe anche opportuno mettere a frutto i risultati. Ad esempio, perché non sfruttare il patrimonio tecnologico e infrastrutturale finora sviluppato per produrre servizi, sia in ambito civile (telemedicina, osservazione della Terra per la individuazione di nuove risorse come le terre rare), sia in ambito militare, per rinforzare la cybersecurity? La domanda è retorica. Si tratta di un passo irrinunciabile e che per giunta farebbe da collante tra chi si occupa di Spazio e il comparto della Difesa. Se la Meloni dovesse anche solo mettere in atto la metà di tali riforme, possiamo aspettarci a breve la risposta francese. Di quale entità sarà la rappresaglia non è dato saperlo, ma certo il mondo di Emmanuel Macron ha già iniziato a muoversi mandando segnali precisi. Non ci riferiamo ai giornalisti che ne hanno scritto ma al tema stesso che ha messo il neo ministro della Difesa, Guido Crosetto, al centro di accuse di conflitto d’interessi. Da alcuni giorni il cofondatore di Fratelli d’Italia è nel mirino per la sua attività di consulente di aziende del comparto e di presidente Aiad fino a pochi giorni prima della nomina. Le sue attività sono sempre state alla luce del sole. Non era certo tenuto a fornire il suo 730 e, in ogni caso, come lui stesso ha detto e il ministero della Difesa ribadito, il suo incarico è stato vagliato e approvato dal Quirinale. Parole sante. Anche se molto delicate. Il rischio però è che da ora in avanti ogni attacco a Crosetto è in realtà un attacco alle aziende tricolore. Quando in futuro verrà annunciato un accordo o un appalto non tanto in Italia, ma soprattutto all’estero si alzerà subito qualche penna per mettere in discussione l’opportunità della presenza del ministro. C’è di mezzo Elettronica? Aveva fatturato in passato a Crosetto? Su questo bisogna stare attenti e la Meloni dovrà evitare tali trappole. Perché a goderne e incassare gli appalti al posto nostro saranno i francesi. Quando si tratterà di battagliare non sarà certo il Colle con la sua moral suasion a intervenire. Perché certo non compete e perché è intervenuto contro la Francia solo a tutela della propria competenza. Ricordiamo per di più che colei che ha fattivamente contribuito a stendere il Trattato del Quirinale, Emanuela D’Alessandro, adesso è ambasciatrice a Parigi. Dove è stata dislocata anche una ex collaboratrice di Rolando Mosca Moschin, già consigliere di Sergio Mattarella. Noi ci auguriamo che chi sta a Parigi sia lì a fare il cane da guardia. E non si limiti a fare il notaio del Trattato del Quirinale. La nostra Difesa ne uscirebbe a pezzi.
13 ottobre 2025: il summit per la pace di Sharm El-Sheikh (Getty Images)
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