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2020-04-28
Il governo inglese dice basta ai bimbi trans
Il ministro delle Pari opportunità inglese, Lizz Truss (Leon Neal/Getty Images)
La vera notizia è che, in Europa, c'è almeno un ministro delle Pari opportunità e delle donne che fa davvero il suo lavoro. Non per nulla Liz Truss, membro del governo conservatore britannico, da un paio di giorni è diventata il nemico numero uno delle associazioni Lgbt a livello mondiale. Il 22 aprile scorso la signora Truss è intervenuta in collegamento video a una seduta del Comitato per le donne e le uguaglianze della Camera dei Comuni inglese, e ha annunciato che il governo intende prendere misure drastiche per evitare che i minorenni si sottopongano a trattamenti potenzialmente dannosi. In buona sostanza, la Truss ha annunciato lo stop ai cambiamenti di sesso per i minori. «Credo fermamente che gli adulti dovrebbero avere la libertà di condurre la propria vita come ritengono opportuno», ha spiegato il ministro. «Ma penso che sia molto importante che, mentre le persone stanno ancora sviluppando le proprie capacità decisionali, siano protette dal prendere quelle decisioni irreversibili».
Come prevedibile, dopo le sue dichiarazioni si è scatenato l'inferno. Le principali organizzazioni arcobaleno britanniche hanno parlato di un attacco senza precedenti ai diritti e all'eguaglianza. Particolarmente feroce è stata Mermaids, associazione che sostiene i diritti dei ragazzini transgender, e il cui operato ha ispirato la serie tv Butterfly. Contro la Truss è partita pure una petizione online, e c'è da aspettarsi che la mobilitazione contro di lei si allarghi ulteriormente.
Anche perché la signora non si è limitata a parlare dei minorenni che soffrono di disforia di genere. In una parte del suo discorso si è concentrata anche sui transgender adulti. Il ministro ha dichiarato che il governo garantirà anche «la protezione degli spazi per i singoli sessi». Messa così sembra una frase piuttosto sibillina, ma se si conosce il contesto inglese si capisce che si tratta di un passaggio fondamentale.
Nel Regno Unito, dal 2004, è in vigore una legge chiamata Gender recognition act che consente alle persone affette da disforia di genere di cambiare sesso, previo esame da parte di un medico competente. Le associazioni trans chiedono da tempo che questo esame clinico sia eliminato, in modo che basti un'autocertificazione per cambiare genere. In pratica, vorrebbero che bastasse dichiararsi donna (o uomo) per diventarlo. L'idea - comprensibilmente - non piace non solo ai conservatori, ma pure a molte femministe di sinistra, che vedono all'orizzonte una cancellazione della femminilità.
Nel 2018 il governo inglese ha lanciato una indagine pubblica per sondare gli umori della popolazione riguardo alla legge sul gender, e le sue decisioni definitive dovrebbero essere rese note entro l'estate. La Truss, tuttavia, ha anticipato quale sia l'orientamento dell'esecutivo. Proteggere gli spazi per «il singolo sesso», in questo quadro, significa fare in modo che le donne non debbano per forza condividere spogliatoi, bagni o altro con i trans. È un'istanza, dicevamo, sostenuta da tantissime militanti femministe (che per questo motivo hanno subito ripetute aggressioni da parte di attivisti Lgbt nei mesi scorsi), ed è totalmente condivisibile.
Per quale motivo una donna dovrebbe spogliarsi di fronte a un transgender che si dichiara donna ma ha attributi maschili e potrebbe - come già accaduto in varie occasioni - usarle violenza? Proteggere le donne e i ragazzini è una responsabilità che ogni governo dovrebbe assumersi. Tanto più che i dati inglesi sul fenomeno del cambiamento di sesso fanno impallidire. Secondo i dati riportati dal Telegraph lo scorso anno, tra il 2009 e il 2010 nel Regno Unito ci furono solo 40 ragazzine intenzionate a cambiare sesso. Nel 2017-2018 sono diventate 1.806, con un aumento del 450%. Nello stesso periodo, i maschi (sedicenti) trans sono passati da 57 a 713. Parliamo di una crescita esponenziale che, secondo studiosi come Lisa Littman, potrebbe essere dovuta a «contagio sociale». Significa che molti minori - influenzati dal contesto, dai coetanei e dalla sempre più diffusa ideologia del gender fluid - dicono di voler cambiare sesso e cominciano a prendere farmaci che bloccano la pubertà. Medicinali di cui non si conoscono ancora del tutto gli effetti collaterali, tanto che Carl Heneghan - autorevole professore di Oxford - ha dichiarato che dare sostanze di questo tipo ai minorenni significa di fatto «fare esperimenti sui bambini».
Fortuna che ora una donna coraggiosa ha deciso di combattere un'ideologia che, in nome dei diritti, rischia di fare danni mostruosi. Resta da vedere se le permetteranno di andare fino in fondo.
La reazione delle cliniche gender: «Faremo trattamenti più veloci»
Chi non sembra aver intenzione di bloccare o tanto meno rallentare l'utilizzo della triptorelina sui minorenni è il Tavistock Centre di Londra. La clinica, considerata la migliore nel Regno Unito per il trattamento della disforia di genere, fa sapere che nonostante l'annuncio del governo inglese di voler vietare gli interventi di cambio sesso per i minori di 18 anni, non sospenderà in alcun modo le terapie. Anzi. «Stiamo lavorando per snellire la procedura», spiegano dal centro nel cuore della capitale britannica, «attualmente le liste d'attesa per l'avvio del trattamento con la triptorelina sono di circa due anni per i bambini e di 6 per i ragazzi dai 15 anni in su. Impossibile continuare in questo modo».
Insomma, nonostante la volontà del ministro alle Pari opportunità, Liz Truss, di porre un freno ai cambi di sesso incontrollati, il Tavistock Centre non sembra intenzionato a sottostare ai dettami del governo. Tutt'altro. La clinica, visto il business fiorente, sta pensando di rendere tutto più rapido così da smaltire i casi in arretrato prima della possibile approvazione del documento proposto da Liz Truss.
Così, solo nell'ultimo mese, nonostante l'emergenza sanitaria per il Covid 19, la clinica ha gestito ben cinquanta nuovi casi di minori che non si sentono di appartenere nel corpo in cui sono nati. Di questi, il più giovane ha solo 6 anni. «Un caso molto delicato» ci spiegano, perché «il bambino ha iniziato a esprimere il suo malessere quando aveva solo tre anni ma i genitori hanno ignorato qualsiasi segnale». Un ritardo ritenuto gravissimo per un bambino che, a tre anni, preferiva le bambole e le pentole alle macchinine. E che, per questo motivo, ha richiesto un intervento drastico. Così, oltre alla somministrazione controllata delle prime dosi di triptorelina, il bambino viene seguito attentamente, tre volte a settimana, da una psicologa che non solo sta aiutando il piccolo nella sua transizione ma sta cercando di far accettare ai genitori la vera natura del loro bambino.
«Stiamo lavorando per continuare il nostro lavoro anche in questo periodo in cui il distanziamento sociale è richiesto in tutto il mondo» ci spiegano «non abbiamo alcuna intenzione di fermare i trattamenti o di bloccare la transizione dei nostri pazienti. Sarebbe troppo pericoloso». Sospendere improvvisamente il trattamento con la triptorelina non solo vanificherebbe infatti gli sforzi compiuti per bloccare la produzione di ormoni e lo sviluppo, ma posizionerebbe i bambini in un limbo in cui non sarebbero identificabili come maschi o femmine. «Troppo rischioso, non solo a livello fisico, ma soprattutto psicologico» insistono.
Ma è davvero così? Ricorderete il nostro viaggio all'interno della clinica, le lunghe sessioni (fino a tre ore per paziente) per valutare lo stato psicologico del paziente. Gli infiniti momenti di «gioco» volti a scoprire di più sulla sessualità del bambino. E ricorderete anche di come, più e più volte, le modalità di gestione della disforia di genere al Tavistock siano state messe in discussione da quotidiani locali ed ex dipendenti del centro al punto da arrivare a rivelare che molto spesso i medici della clinica sceglievano la via più semplice per risolvere casi complicati e spingessero i giovani a «decisioni che cambiano la vita senza valutare fino in fondo la loro storia personale». Ricorderete anche del calvario di Jessica/Jayden, la diciassettenne respinta più volte dal Tavistock a causa delle liste d'attesa interminabili e il suo suicidio. O del continuo cambio di sesso di un altro dei pazienti del Tavistock che, pur essendo appena ventenne, ha già effettuato il passaggio da maschio a femmina e viceversa per ben tre volte.
Accelerare le procedure è davvero una buona idea? Il buon senso, quello che sembra muovere il ministro Truss, direbbe di no. Ma al Tavistock Centre tutto sembra puntare alla direzione opposta. Qualcuno direbbe «money always wins», ovvero «i soldi vincono sempre». Ma la clinica assicura: «Nessun business. Abbiamo a cuore solo il bene dei nostri pazienti». Chissà.
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Riduci
Liz Truss, ministro delle Pari opportunità, annuncia lo stop ai cambiamenti di sesso per i minori di 18 anni: «Vanno protetti da decisioni irreversibili». Le associazioni Lgbt si scatenano e gridano alla violazione dei diritti. In estate la decisione finale.Il Tavistock Centre di Londra solo nell'ultimo mese ha gestito 50 nuovi casi di ragazzini.Lo speciale contiene due articoli.La vera notizia è che, in Europa, c'è almeno un ministro delle Pari opportunità e delle donne che fa davvero il suo lavoro. Non per nulla Liz Truss, membro del governo conservatore britannico, da un paio di giorni è diventata il nemico numero uno delle associazioni Lgbt a livello mondiale. Il 22 aprile scorso la signora Truss è intervenuta in collegamento video a una seduta del Comitato per le donne e le uguaglianze della Camera dei Comuni inglese, e ha annunciato che il governo intende prendere misure drastiche per evitare che i minorenni si sottopongano a trattamenti potenzialmente dannosi. In buona sostanza, la Truss ha annunciato lo stop ai cambiamenti di sesso per i minori. «Credo fermamente che gli adulti dovrebbero avere la libertà di condurre la propria vita come ritengono opportuno», ha spiegato il ministro. «Ma penso che sia molto importante che, mentre le persone stanno ancora sviluppando le proprie capacità decisionali, siano protette dal prendere quelle decisioni irreversibili». Come prevedibile, dopo le sue dichiarazioni si è scatenato l'inferno. Le principali organizzazioni arcobaleno britanniche hanno parlato di un attacco senza precedenti ai diritti e all'eguaglianza. Particolarmente feroce è stata Mermaids, associazione che sostiene i diritti dei ragazzini transgender, e il cui operato ha ispirato la serie tv Butterfly. Contro la Truss è partita pure una petizione online, e c'è da aspettarsi che la mobilitazione contro di lei si allarghi ulteriormente. Anche perché la signora non si è limitata a parlare dei minorenni che soffrono di disforia di genere. In una parte del suo discorso si è concentrata anche sui transgender adulti. Il ministro ha dichiarato che il governo garantirà anche «la protezione degli spazi per i singoli sessi». Messa così sembra una frase piuttosto sibillina, ma se si conosce il contesto inglese si capisce che si tratta di un passaggio fondamentale. Nel Regno Unito, dal 2004, è in vigore una legge chiamata Gender recognition act che consente alle persone affette da disforia di genere di cambiare sesso, previo esame da parte di un medico competente. Le associazioni trans chiedono da tempo che questo esame clinico sia eliminato, in modo che basti un'autocertificazione per cambiare genere. In pratica, vorrebbero che bastasse dichiararsi donna (o uomo) per diventarlo. L'idea - comprensibilmente - non piace non solo ai conservatori, ma pure a molte femministe di sinistra, che vedono all'orizzonte una cancellazione della femminilità. Nel 2018 il governo inglese ha lanciato una indagine pubblica per sondare gli umori della popolazione riguardo alla legge sul gender, e le sue decisioni definitive dovrebbero essere rese note entro l'estate. La Truss, tuttavia, ha anticipato quale sia l'orientamento dell'esecutivo. Proteggere gli spazi per «il singolo sesso», in questo quadro, significa fare in modo che le donne non debbano per forza condividere spogliatoi, bagni o altro con i trans. È un'istanza, dicevamo, sostenuta da tantissime militanti femministe (che per questo motivo hanno subito ripetute aggressioni da parte di attivisti Lgbt nei mesi scorsi), ed è totalmente condivisibile. Per quale motivo una donna dovrebbe spogliarsi di fronte a un transgender che si dichiara donna ma ha attributi maschili e potrebbe - come già accaduto in varie occasioni - usarle violenza? Proteggere le donne e i ragazzini è una responsabilità che ogni governo dovrebbe assumersi. Tanto più che i dati inglesi sul fenomeno del cambiamento di sesso fanno impallidire. Secondo i dati riportati dal Telegraph lo scorso anno, tra il 2009 e il 2010 nel Regno Unito ci furono solo 40 ragazzine intenzionate a cambiare sesso. Nel 2017-2018 sono diventate 1.806, con un aumento del 450%. Nello stesso periodo, i maschi (sedicenti) trans sono passati da 57 a 713. Parliamo di una crescita esponenziale che, secondo studiosi come Lisa Littman, potrebbe essere dovuta a «contagio sociale». Significa che molti minori - influenzati dal contesto, dai coetanei e dalla sempre più diffusa ideologia del gender fluid - dicono di voler cambiare sesso e cominciano a prendere farmaci che bloccano la pubertà. Medicinali di cui non si conoscono ancora del tutto gli effetti collaterali, tanto che Carl Heneghan - autorevole professore di Oxford - ha dichiarato che dare sostanze di questo tipo ai minorenni significa di fatto «fare esperimenti sui bambini».Fortuna che ora una donna coraggiosa ha deciso di combattere un'ideologia che, in nome dei diritti, rischia di fare danni mostruosi. Resta da vedere se le permetteranno di andare fino in fondo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-governo-inglese-dice-basta-ai-bimbi-trans-2645856927.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-reazione-delle-cliniche-gender-faremo-trattamenti-piu-veloci" data-post-id="2645856927" data-published-at="1588010284" data-use-pagination="False"> La reazione delle cliniche gender: «Faremo trattamenti più veloci» Chi non sembra aver intenzione di bloccare o tanto meno rallentare l'utilizzo della triptorelina sui minorenni è il Tavistock Centre di Londra. La clinica, considerata la migliore nel Regno Unito per il trattamento della disforia di genere, fa sapere che nonostante l'annuncio del governo inglese di voler vietare gli interventi di cambio sesso per i minori di 18 anni, non sospenderà in alcun modo le terapie. Anzi. «Stiamo lavorando per snellire la procedura», spiegano dal centro nel cuore della capitale britannica, «attualmente le liste d'attesa per l'avvio del trattamento con la triptorelina sono di circa due anni per i bambini e di 6 per i ragazzi dai 15 anni in su. Impossibile continuare in questo modo». Insomma, nonostante la volontà del ministro alle Pari opportunità, Liz Truss, di porre un freno ai cambi di sesso incontrollati, il Tavistock Centre non sembra intenzionato a sottostare ai dettami del governo. Tutt'altro. La clinica, visto il business fiorente, sta pensando di rendere tutto più rapido così da smaltire i casi in arretrato prima della possibile approvazione del documento proposto da Liz Truss. Così, solo nell'ultimo mese, nonostante l'emergenza sanitaria per il Covid 19, la clinica ha gestito ben cinquanta nuovi casi di minori che non si sentono di appartenere nel corpo in cui sono nati. Di questi, il più giovane ha solo 6 anni. «Un caso molto delicato» ci spiegano, perché «il bambino ha iniziato a esprimere il suo malessere quando aveva solo tre anni ma i genitori hanno ignorato qualsiasi segnale». Un ritardo ritenuto gravissimo per un bambino che, a tre anni, preferiva le bambole e le pentole alle macchinine. E che, per questo motivo, ha richiesto un intervento drastico. Così, oltre alla somministrazione controllata delle prime dosi di triptorelina, il bambino viene seguito attentamente, tre volte a settimana, da una psicologa che non solo sta aiutando il piccolo nella sua transizione ma sta cercando di far accettare ai genitori la vera natura del loro bambino. «Stiamo lavorando per continuare il nostro lavoro anche in questo periodo in cui il distanziamento sociale è richiesto in tutto il mondo» ci spiegano «non abbiamo alcuna intenzione di fermare i trattamenti o di bloccare la transizione dei nostri pazienti. Sarebbe troppo pericoloso». Sospendere improvvisamente il trattamento con la triptorelina non solo vanificherebbe infatti gli sforzi compiuti per bloccare la produzione di ormoni e lo sviluppo, ma posizionerebbe i bambini in un limbo in cui non sarebbero identificabili come maschi o femmine. «Troppo rischioso, non solo a livello fisico, ma soprattutto psicologico» insistono. Ma è davvero così? Ricorderete il nostro viaggio all'interno della clinica, le lunghe sessioni (fino a tre ore per paziente) per valutare lo stato psicologico del paziente. Gli infiniti momenti di «gioco» volti a scoprire di più sulla sessualità del bambino. E ricorderete anche di come, più e più volte, le modalità di gestione della disforia di genere al Tavistock siano state messe in discussione da quotidiani locali ed ex dipendenti del centro al punto da arrivare a rivelare che molto spesso i medici della clinica sceglievano la via più semplice per risolvere casi complicati e spingessero i giovani a «decisioni che cambiano la vita senza valutare fino in fondo la loro storia personale». Ricorderete anche del calvario di Jessica/Jayden, la diciassettenne respinta più volte dal Tavistock a causa delle liste d'attesa interminabili e il suo suicidio. O del continuo cambio di sesso di un altro dei pazienti del Tavistock che, pur essendo appena ventenne, ha già effettuato il passaggio da maschio a femmina e viceversa per ben tre volte. Accelerare le procedure è davvero una buona idea? Il buon senso, quello che sembra muovere il ministro Truss, direbbe di no. Ma al Tavistock Centre tutto sembra puntare alla direzione opposta. Qualcuno direbbe «money always wins», ovvero «i soldi vincono sempre». Ma la clinica assicura: «Nessun business. Abbiamo a cuore solo il bene dei nostri pazienti». Chissà.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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