2019-06-22
Il giornale del Papa si scusa per il prete molestatore
La Verità segnala l'articolo del sacerdote che compì atti illeciti con una ragazzina, il direttore Andrea Monda ammette l'errore.«Mi scuso con i lettori». È una frase poco usuale nella torre d'avorio del potere mediatico, è un gesto comprensibile e doveroso quello del direttore dell'Osservatore romano, determinato dal servizio di ieri della Verità sul prete editorialista con un enorme scheletro nell'armadio. Così Andrea Monda si cosparge il capo di cenere, non si sa se spontaneamente o se indotto a farlo dai vertici del Vaticano, che non possono aver digerito a cuor leggero il boomerang di pubblicità negativa che ha travolto i sacri palazzi. Che un sacerdote condannato a 1 anno e 11 mesi per molestie sessuali su una bambina si esibisca, come è successo, in un commento sul quotidiano del Papa è raggelante.«Don Giacomo Ruggeri non è stato assunto né ha iniziato una collaborazione stabile con il nostro giornale», ha dichiarato ieri Monda all'agenzia AdnKronos. «Mi scuso con i lettori per non aver tenuto adeguatamente conto della situazione e per aver urtato la loro sensibilità». La rivelazione del nostro giornale ha suscitato l'indignazione del mondo cattolico e sulla scrivania del direttore dell'Osservatore sono arrivate mail di protesta, manifestazioni di indignazione che hanno costretto Monda a uscire allo scoperto per spiegare l'omerico scivolone. La vicenda era nota, il silenzio riguardo alla firma comparsa sotto il titolo Il silenzio a caro prezzo (dissertazione più o meno dotta sull'uso dei social) non poteva reggere a lungo. Anche perché la lotta alla pedofilia è una trincea in cui il pontefice si è calato da tempo con gesti decisi ma anche controversi, che non hanno bisogno di ulteriori ambiguità. «In merito all'articolo firmato da don Giacomo Ruggeri», ha spiegato ancora Monda nel mea culpa, «ho pensato di chiedere anche a lui, oltre ad altri esperti, un singolo contributo sugli argomenti pertinenti alla rubrica Ospedale da campo». Don Ruggeri è un simbolo negativo dal giorno in cui, nel luglio 2012, fu indagato per atti sessuali nei confronti di una ragazzina di 13 anni e atti osceni in luogo pubblico sulla spiaggia di Torrette di Fano, con tanto di filmati prodotti al processo dalla polizia. Effusioni, baci sotto l'ombrellone e in acqua, che costrinsero il titolare dello stabilimento balneare a chiamare gli agenti. E che portarono l'allora responsabile della comunicazione e dei new media della diocesi di Fano davanti ai giudici. Esperto social lo era certamente, ma con un pedigree per niente inappuntabile. Condannato in primo grado a 2 anni e 6 mesi (pena poi ridotta dalla corte di appello di Ancona a 1 anno e 11 mesi), il sacerdote fu sottoposto a processo penale canonico e poi spostato a Pordenone, dove vive, continuando a operare tra i fedeli anche giovani, poiché si occupa della formazione di preti e laici (uomini e donne) nel seminario friulano. Don Giacomo ha sempre ammesso i fatti e ha semplicemente chiesto scusa con la promessa di non ricascare nella tentazione. È l'esempio di una giustizia soffusa, ambigua, e di una metodologia ecclesiastica che privilegia l'oblio. A tal punto che il 10 maggio lo stesso direttore dell'Osservatore romano lo aveva personalmente intervistato come si fa con un luminare scientifico, riguardo ai grandi temi della rivoluzione Web e delle relazioni digitali. È impensabile immaginare che il variegato mondo cattolico non abbia saputo esprimere altre eccellenze, più adamantine o meno chiacchierate, su argomenti di questa attualità. Così, nella certezza che la polvere fosse finita anche questa volta sotto il tappeto, ecco la rivelazione, ecco lo scandalo. Ed ecco le scuse, che con un pizzico di senso del reale si potevano evitare. Il silenzio di sacrestia, a caro prezzo o no, non è mai una buona soluzione.
Il ministro della Salute Orazio Schillaci (Imagoeconomica)
Orazio Schillaci e Giuseppe Valditara (Ansa)